Non Possiamo Non Dirci Klaus Barbie

Pubblicato da Dott. Barbie il 25.01.2010

Esistono storie dalla parte giusta della Storia che poi vengono ritenute sbagliate dai vinti che, per puro accidente, riescono a impadronirsi delle casematte del Potere. Esistono uomini che pagano per colpe che non hanno mai avuto. Klaus Barbie è stato uno degli esempi più illustri del secolo breve.

Questo nome non dirà quasi nulla a molti qui in Italia. Eppure è un nome fondamentale per capire un certo modus operandi del Mondo Libero, quello che ha permesso a tutti noi, anime belle della sinistra pacifinta comprese, di andare la domenica a vedere una partita allo stadio, invece di dover assistere forzosamente ad una parata militare nella Piazza Rossa. Calunniato e deriso per decadi dall’Internazionale Socialista, oggetto di almeno 3/4 documentari (tra cui ne spicca uno di 4 ore di propaganda a senso unico), marchiato con lo stigma dell’indegnità da un tribunale francese mostruosamente prevenuto, a Barbie è stato negato dalla storiografia ufficiale sinistroide il ruolo di Guerriero per la Libertà. La sua unica colpa? Quella di essere stato ad Ovest del Muro di Berlino. Ma andiamo con ordine.

Nato nel 1913 a Bad Godesberg, sobborgo di Bonn, da insegnanti cattolici (il peccato originale, per i professoroni comunisti alla Sartre), nel 1933 si iscrive alla Gioventù Hitleriana, come il suo illustre compatriota Benedetto XVI. Nel 1935 entra a far parte delle SS e successivamente viene impiegato nelle file dell’SD, il servizio segreto nazista. Il suo compito in questo periodo è quello di monitorare l’attività dei cittadini tedeschi anti-tedeschi. Barbie è brillante e totalmente dedito alla causa, riscuotendo così il consenso dei suoi superiori che lo inviano ad un corso speciale per aspiranti ufficiali a Charlottenberg allo scopo di fargli fare carriera. Poi inizia la guerra.

Nel 1940 Barbie è spedito ad Amsterdam, nell’Olanda liberata dai nazisti. Incaricato della deportazione di ebrei olandesi, lo Sturmführer delle SS si guadagna rapidamente la fama di efficientissimo persecutore. Emblematico un episodio: dopo aver incrociato un venditore di gelati ebreo, Barbie lo stende a colpi di pistola in mezzo alla strada perché, a suo giudizio, la vittima non lo aveva omaggiato con il dovuto rispetto. Con tanto di corollario per le “zecche” dei centri sociali e per gli industriali gauche caviar: la maleducazione uccide, se del caso. Trasferito nel 1942 a Lione, viene nominato capo della Gestapo locale con il compito di stroncare i terroristi (o peggio: partigiani) francesi e deportare gli ebrei. Stabilisce il suo quartiere generale all’Hotel Terminus, dove escogita uno geniale stratagemma (poi ripreso da ambienti americani e finanche dalla serie televisiva “24”) per la difesa dello Stato di Diritto: i passanti vengono infatti rastrellati a caso dalle strade, tradotti all’Hotel e lì torturati fino alla rivelazione di qualsiasi tipo di informazione. La vulgata corrente gli affibbia l’appellativo di “macellaio di Lione”, in realtà è stato uno dei primi in Occidente a capire il valore della raccolta di informazioni in scenari critici, senza l’inutile corredo di diritti umani o il rispetto di farraginose procedure nella lotta ad un nemico che aveva in spregio assoluto le leggi che regolano il patto sociali tra gli uomini di buona volontà. L’arresto e l’uccisione dell’”eroe” della resistenza francese Jean Moulin è possibile solo grazie alle spifferate di un compagno di quest’ultimo – e non grazie a fantomatiche “testimonianze” o “ravvedimenti operosi” di pericolosi terroristi che poi, con ogni probabilità, sarebbero confluiti nel movimento di solidarietà algerino o, peggio ancora, palestinese.

Nel periodo francese Barbie si distingue anche per la scoperta di 44 bambini ebrei nascosti in un villaggio di Izieu e per la conseguente deportazione di questi ad Auschwitz – o almeno questo è quello che propugnano i professionisti della Shoah. Un giusto tributo a questo periodo della vita di Barbie l’abbiamo avuto recentemente con l’ultimo film di Tarantino, “Bastardi senza gloria”: la figura di Hans Landa è infatti la copia carbone del gerarca delle SS. Questa, ad ogni modo, è solamente la prima vita di Klaus Barbie.

La seconda inizia una volta finita la guerra. Dal 1945 al 1947 il nostro riesce a sfuggire con grandissima abilità agli sforzi congiunti di Alleati e francesi di arrestarlo per crimini di guerra. Passata la sbornia postbellica antinazista, gli americani, adottando un approccio finalmente laico e scevro da pregiudizi ideologici, scrivono in un rapporto datato 1947 che “un anticomunista come lui ci serve più libero che in prigione”. Ed infatti Barbie, grazie alla lungimiranza dell’agente Robert S. Taylor e dei suoi superiori, diviene a tutti gli effetti una spia del Counter Intelligence Corps (CIC), il controspionaggio dell’esercito statunitense. Ma la piattaforma collaborativa sapientemente edificata dal CIC incomincia a sgretolarsi sotto i colpi di martello dei giacobini tedeschi e francesi, che reclamano a gran voce il “criminale di guerra nazista”: l’esilio, a questo punto, è l’unica soluzione praticabile.

Dopo il cambio di nome in Klaus Altmann, e quindi spogliato della sua identità dalla furia comunista, Barbie si rivolge ai messi di Dio in terra, alla Chiesa, che è ben felice di accoglierlo nella figura di Padre Dragonović. L’illuminato sacerdote croato, che già aveva aiutato altri nazisti bisognosi di discrezione a scappare dall’Europa travolta dal demone del giustizialismo (attraverso le “ratlines”, le vie del topo), fornisce a Barbie documenti e permessi per espatriare dall’Italia (Genova) verso la Bolivia, paese che di lì a poco avrebbe avuto un estremo bisogno di consiglieri politici e militari. E qui inizia la terza, e ultima, vita di Barbie.

Ottenuta la cittadinanza boliviana nel 1957, il Nostro incomincia a lavorare attivamente e a stretto contatto con le migliori forze dell’anticomunismo di quel paese: dittatori, torturatori, narcotrafficanti di stato, corpi paramilitari ed esercito. Grazie ai suoi preziosi consigli, alla sua esperienza nel know-how e nel benchmarking della testimonianza “indotta” e nella repressione istituzionale del dissenso non conforme, i governi dittatoriali succedutisi per 20 anni sono sempre riusciti a fiaccare la sedizione organizzata dai sovietici e dalla forze del Male. Collabora con fervore anche con i servizi segreti boliviani e, secondo alcune fonti, contribuisce alla cattura di Che Guevara nel 1967 a La Higuera. Nel 1980 è decisivo per la buona riuscita del colpo di stato (detto anche “Golpe della Cocaina” dagli allora pennivendoli finanziati dal PCUS) di Luis García Meza Tejada. Barbie coltiva anche, in quel periodo, il sogno di creare un Quarto Reich con vari elementi neonazisti provenienti dal globo terracqueo; sfortunatamente, il suo piano è bruscamente interrotto dalla rovinosa ascesa della democrazia in Bolivia, nel 1982.

Arrestato come il peggiore dei delinquenti comuni, Altmann/Barbie viene impacchettato e spedito in Francia, dove l’odio viscerale della popolazione è finalmente pronto a colpirlo in modo tale da non farlo rialzare mai più. Trascinato alla sbarra ed esposto al pubblico ludibrio, Barbie, grazie anche ad un agguerrito avvocato, tenta di far ragionare giudici e giuria sulla portata delle sue azioni, sulle ragioni di Stato che lo hanno portato a combattere per la Libertà e l’Ordine, sulle atroci implicazioni della guerra. Ma non c’è nulla da fare: l’approccio forcaiolo e giustizialista prevale su ogni riflessione prettamente politica.

Condannato all’ergastolo per “crimini contro l’umanità” sotto l’assunto del “non poteva non sapere”, Barbie muore in carcere, nel 1991, stroncato dal tumore della Malagiustizia. Ancora una volta, come per Salò, Craxi o Haider, l’inchiostro dei vincitori si è imbevuto del sangue dei vinti per schizzare vergognose pagine di Storia Ufficiale.

Nel 1974 Barbie ha detto: “Sono fiero di quello che ho fatto durante la guerra. Se non fosse stato per me la Francia sarebbe una repubblica socialista sovietica adesso”. Aggiungiamo: non solo la Francia, ma l’intero mondo occidentale.

Non serve alcuna riabilitazione: Barbie è già, a modo suo, uno statista.

(Pubblicato su ScaricaBile n° 26 – Avvertenza: il pezzo va letto nel contesto del numero, cioè una parodia dei fogliacci destrorsi-berluscloniani.)

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Drop the Hate / Commenti (5)

#1

pietro errante
Rilasciato il 03.02.10

uno dei più bei pezzi dell’ultimo Bile.
Non sapevo del legame privatarepubblica-blicero…

#2

fabrizio
Rilasciato il 02.07.10

Dalla vostra ”privata” descrizione di quella merda che E’ klaus barbie E ha rappresentato per il mondo intero:UN INFAME CRIMINALE Nazista
CHE FUGGENDO DALLA GIUSTIZIA UMANA E’ STATO PUNITO, ADEGUATAMENTE , DA DIO. RINGRAZIO IL PADRE ETERNO PER LA VENDETTA PERPETRATA.IO L’AVREI DISSANGUATO LENTAMENTE,ASPORTANDOGLI IL SANGUE CON UNA LENTA TORTURA DI 12 ORE,E PRIMA DI SGOZZARLO,GLI AVREI RECITATO I NOMI DEI BIMBI CHE QUESTA infame MERDA HA UCCISO

#3

fabrizio
Rilasciato il 02.07.10

W. carlo marx,viva lenin,stalin mao tse tung.viva el che guevara.viva la resistenza al nazi-fascismo.viva il comunismo

#4

blicero
Rilasciato il 02.07.10

QUE VIVA KLAUS

#5

klaus
Rilasciato il 16.10.12

si fabrizio e viva tua mamma che ha partorito un cazzone come te!!
studiati la storia capretta!!
e non dimentichiamo il capitano Pribke,99 anni
che sta scontando non si ancora bene quale reato (?!?!)

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