Ascesa e caduta di una ‘rivolta’ mediatico-razzista: il caso del Tiburtino III a Roma

Pubblicato da Blicero il 13.01.2018

Dopo l’arresto di uno dei leader delle proteste antimigranti in un quartiere di Roma, ho ripercorso la storia di una «ribellione» fomentata dall’estrema destra e dai media – ma molto poco presente nella realtà.

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Il 30 agosto del 2017 un pugno di residenti del Tiburtino III – un quartiere nel quadrante nord-est di Roma – assedia il presidio umanitario della Croce Rossa in via del Frantoio, dove sono ospitati un’ottantina di migranti. Le prime voci sono confuse: un immigrato avrebbe lanciato sassi contro un gruppo di bambini, e una donna sarebbe stata addirittura sequestrata all’interno del centro.

La versione non quadra un granché, ma poco importa: per una parte della stampa l’azione è giusta e comprensibile, perché i residenti sono «esasperati», e «qui non se ne può più». A corredo ci sono le solite frasi: gli immigrati «pisciano e cagano per strada», «fanno il cazzo che vogliono», al che ovviamente «non siamo razzisti, ma adesso basta».

L’episodio si inserisce in un’atmosfera di tensione che va avanti da ormai diverso tempo. L’estrema destra, infatti, porta avanti la propria strumentalizzazione trincerandosi dietro comitati di quartiere o nuove sigle. L’obiettivo è lo stesso a cui puntava la «rivolta delle periferie romane» del 2014: individuare nel centro d’accoglienza la causa di ogni tensione sociale, mettere pressione sulla politica locale, e introdurre a forza nel dibattito parole come «sostituzione etnica». L’ispirazione al modus operandi dei neonazisti greci di Alba Dorata è palese.

Perché questa strategia funzioni servono però almeno tre elementi: le vittime, gli eroi, e soprattutto l’attenzione mediatica.

E così, dopo l’assedio, le televisioni si riversano nel quartiere facendosi portare in giro da esponenti di CasaPound e Roma ai Romani (che si autodefinisce «l’ala popolare di Forza Nuova»), riprendono le varie proteste, e si concentrano ossessivamente su alcuni residenti che bucano lo schermo. Su tutti spicca Yari Dall’Ara, un uomo elevato a portavoce del «popolo» per aver dichiarato cose allucinanti, che sono presentate come «apolitiche». I neofascisti se lo contendono, lo invitano a loro riunioni come «ospite d’onore» e lo chiamano «l’eroe del Tiburtino III».

Guardando certi servizi si assiste dunque a uno scenario alla Mad Max: degrado generalizzato; paura e senso di insicurezza galoppanti; bande di «cittadini indignati» (in molti casi neofascisti travisati) che presidiano – unici a farlo – un quartiere abbandonato dalle istituzioni e soprattutto dalla «sinistra».

Tuttavia, questa avvolgente narrazione mediatica inizia a scricchiolare ben presto. La «vittima», anzitutto, non era proprio una vittima: non solo si era inventata il sequestro, ma aveva aggreddito e ferito l’immigrato accusato di aver provocato l’assedio. La violenza, poi, è rivolta esclusivamente contro i migranti: a metà settembre del 2017 un eritreo è picchiato per strada da quattro uomini.

Il quartiere, inoltre, respinge a più riprese le manovre propagandiste dell’estrema destra – scendendo anche in piazza più volte. In una lettera scritta da alcuni genitori, si legge:

Sentendoci nominati e strumentalizzati da chi non conosce o non vuol far conoscere la realtà del quartiere, sentiamo il bisogno di dire la nostra: la convivenza con il centro e i suoi ospiti non è mai stata causa di alcun problema, disagio o pericolo per nessuno. Le occasioni di incontro, anche solo per portare vestiti, giocattoli o beni di prima necessità, sono state, per chi le ha vissute, occasioni di arricchimento per scoprire il mondo oltre via Grotta di Gregna, via Tiburtina, il Gra. Come abitanti del quartiere o famiglie che qui crescono i propri figli ci sentiamo di ricordare che i molti problemi di questo territorio non sono certo recenti, né da imputare all’apertura del centro e all’arrivo di nuovi abitanti e/o ospiti.

Infine, «l’eroe» si rivela poco rappresentativo del quartiere; e in fondo, nemmeno tanto eroe. Il 12 gennaio 2018 dall’Ara è finito agli arresti domiciliari insieme ad altre due persone, dopo aver svaligiato una gelateria in via Cola di Rienzo nel quartiere Prati.

(Un manifesto di Roma ai Romani che riprende il famigerato manifesto fascista di Gino Boccasile)

Lo schema, insomma, è collaudato: c’è un caso di cronaca poco chiaro; gli stranieri sono subito additati a responsabili; l’estrema destra gonfia la sua propaganda; e i media seguono a ruota, elevando a «voci del quartiere» personaggi «coloriti», vicini a quegli stessi movimenti.

Peccato che – almeno nel caso del Tiburtino III – la rivolta sia stata principalmente televisiva. Per tutto questo tempo il resto del quartiere è restato a guardare, non ha mai appoggiato fino in fondo le proteste strumentali di alcune formazioni e ha cercato di andare avanti tra i suoi mille problemi quotidiani – i problemi veri, s’intende, non quelli inventati.

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