Ippocrate A Kilkis

Pubblicato da Blicero il 19.03.2012

(Illustrazione: Manos Symeonakis)

“Perché non occupate l’ospedale?” Leta Zotaki – direttrice 58enne del reparto di radiologia dell’ospedale pubblico di Kilkis (una città di circa 54mila abitanti nella Grecia settentrionale) e presidente del sindacato E.N.I.K. della struttura – ascolta attentamente l’amico e compositore greco Spyros Raftopoulos. “Quello che sta succedendo oggi è che, dal momento successivo alle elezioni, i nostri cosiddetti rappresentanti fanno quello che vogliono. Da cittadini ci trasformiamo in sudditi. Chiamala pure “rappresentanza al contrario’”.

Negli ultimi mesi Zotaki ha visto il suo ospedale travolto dall’orgia del debito. Il personale è perennemente sotto organico e non vede lo stipendio da mesi. In più, c’è una scarsità di medicinali e attrezzature tale da costringere spesso i pazienti a portarsi da casa i materiali necessari alle cure. Il declino di Kilkis è speculare a quello del sistema sanitario nazionale greco – ormai prossimo al collasso totale. Un articolo del Wall Street Journal dello scorso novembre delinea bene la situazione: “La costituzione greca obbliga lo Stato a fornire assistenza sanitaria ai cittadini. E lo fa, più o meno. Ma il sistema è un disastro. È pieno di debiti, afflitto dalla corruzione […] e azzoppato da inefficienza e iniquità. Sotto molti aspetti, il sistema sanitario è un microcosmo della Grecia stessa”. La profonda crisi della sanità, inoltre, ha creato due sistemi paralleli: uno privato, accessibile solamente ai greci più facoltosi, e un altro semi-clandestino, fondato sulle mazzette.

Da quanto ha vissuto sulla sua pelle, Zotaki non ha dubbi: “La sanità pubblica è sotto attacco. La crisi è solo una scusa. In realtà, stanno spingendo la gente a rivolgersi al settore privato”. In passato, i lavoratori del suo ospedale avevano indetto scioperi, organizzato manifestazioni e utilizzato altre forme di protesta per portare all’attenzione del pubblico, e soprattutto delle autorità, la loro condizione. Ma non era successo nulla: il governo non solo era rimasto indifferente, ma anzi aveva risposto somministrando ulteriori iniezioni di tagli & austerity.

Quando molti anni prima aveva studiato medicina all’Università di Salonicco, Leta Zotaki non avrebbe mai pensato di dover fare politica per esercitare dignitosamente la sua professione. “Se lo Stato non riesce a garantire cure mediche gratuite, la sicurezza sociale e l’istruzione per tutti – dice il medico – allora il significato stesso della parola ‘Stato’ si svuota del tutto”.

I due amici si fissano – forse a lungo, forse per qualche secondo. Zotaki pensa alla figlia di 27 anni e al suo futuro che sta virando ogni giorno di più verso la distopia.

Già, perché non occupare l’ospedale?

***

“Contrari?”

Silenzio.

“Favorevoli?”

È la mattina del 30 gennaio 2012 e una selva di mani si alza compostamente verso il soffitto della stanza che ospita la riunione del sindacato dei medici dell’ospedale di Kilkis. Per Leta Zotaki e colleghi è un momento di cardinale importanza: la proposta dell’occupazione è passata all’unanimità. Da lì in poi non si sarebbe più tornati indietro. “Loro preferiscono usare i nostri soldi per ripagare un debito che hanno creato da soli – aveva detto Zotaki – Non per curare il nostro sistema sanitario moribondo”. Era arrivato il momento di rispondere – e di rendere pubbliche le loro intenzioni.

Il 4 febbraio l’Assemblea Generale del personale sanitario dirama un comunicato in cui dichiara di aver assunto il controllo dell’ospedale, ricorda al governo di non essere esentato “dalle sue responsabilità finanziarie” ed infine, qualora le richieste dell’assemblea non venissero esaudite, si dice pronta a ricercare “il supporto della comunità locale e all’opinione pubblica per salvare l’ospedale e difendere la sanità pubblica”.

Dal 6 febbraio – e fino a quando non saranno regolarmente erogati gli stipendi e pagate le spese sanitarie – il personale tratterà solamente le emergenze: “Avendo bene in mente la nostra missione sociale e le nostre obbligazioni morali, proteggeremo la salute dei cittadini che vengono in ospedale fornendo assistenza sanitaria gratuita a chi ne avesse bisogno”. Nel comunicato, inoltre, l’assemblea riconosce che “gli attuali e perduranti problemi del Ε.Σ.Υ (il sistema sanitario nazionale) non possono essere risolti con specifiche e isolate richieste […], dal momento che questi problemi sono il prodotto di una più generale politica governativa fatta contro la popolazione e del neoliberismo globale”.

Il 20 febbraio un gruppo di medici ed infermieri occupa l’ufficio del direttore dell’ospedale. Un secondo gruppo entra negli uffici amministrativi e un terzo blocca i pagamenti dei pazienti. Il direttore comincia a minacciare gli occupanti e chiama la polizia. “L’abbiamo semplicemente ignorato”, afferma la dottoressa Leta Zotaki a La Privata Repubblica. Gli agenti arrivano all’ospedale, ma l’occupazione è assolutamente pacifica. “È tutto a posto qui?”, domanda un poliziotto. Zotaki e colleghi rispondono: “Va tutto bene. Grazie e arrivederci”. Alla fine della giornata non viene sporta nessuna denuncia.

I partiti sono assolutamente latitanti. “Nessun politico ha reagito alla nostra occupazione. Non abbiamo sentito una singola parola di supporto. Sono quasi tentato dal dire: ‘Per fortuna!’ – dichiara Zotaki – Più che una soluzione, consideriamo i partiti come una parte del problema. Se vogliono supportarci sotto un punto di vista morale, sono i benvenuti. Ma non accetteremo il loro coinvolgimento nell’assemblea o nel nostro processo decisionale”.

Sotto l’occupazione, i compiti originari dei dottori e del personale non sono minimamente cambiati. Solamente il carico di lavoro burocratico si è appesantito. I pazienti e i cittadini di Kilkis (e di tutta la Grecia) sono favorevoli della decisione dell’E.N.I.K. e, sin dal primo giorno, hanno dimostrato un grande supporto alla causa. Leta Zotaki lo conferma in pieno: “La gente ci chiede di continuare a combattere, di non mollare. Le loro speranze sono direttamente connesse con le battaglie come le nostre, quelle dei lavoratori di ‘Halyvourgia Ellados’, di ‘Alter TV’, del giornale ‘Eleftherotypia’ e di molte altre occupazioni che si stanno verificando in Grecia e in altri Paesi”.

Una simile adesione popolare per l’occupazione di un ospedale non è per nulla sorprendente. Anzi. Per capire lo stato in cui versano sanità e welfare greci è utile riportare un recente post del un blogger greco Kartesios1:

Mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha detto: “Vendo un rene, amico, ma almeno la salverò”. Era arrabbiato ma risoluto. Sapevo che stava facendo sul serio.

Il mio amico è disoccupato. Licenziato. Lei, sua moglie, è un’infermeria che prende 700 euro al mese. Le hanno diagnosticato un cancro al seno.

Entrambi hanno meno di 40 anni. Quando sono andati in un ospedale pubblico gli è stato detto qualcosa a proposito di una lista d’attesa per l’operazione e della carenza di personale. In quelli privati, il costo di 3.000 euro per l’operazione non era negoziabile. L’assicurazione pubblica non copre nemmeno la risonanza. […] Lui ha deciso. “Vendo un rene. Andrò da qualcuno a venderlo”.

In definitiva, si sta cercando di dimostrare qualcosa a livello politico all’ospedale di Kilkis? “Certamente – risponde Leta Zotaki – Vogliamo far vedere che le persone hanno il potere e l’abilità di cambiare le cose, sia politicamente che socialmente. Abbiamo bisogno di unità e solidarietà. Dobbiamo ricordarci che siamo la maggioranza e la parte più forte: l’unico problema è che molti di noi non ne sono consapevoli, e sono riluttanti ad affrontare i problemi”.

Da dove può arrivare una soluzione, dunque? “Di sicuro non dall’alto. Verrà dal basso. Questo è quello che stiamo cercando di dimostrare”.

  1. La traduzione dal greco è stata fatta dal giornalista freelance Kostas Kallergis del blog When The Crisis Hit The Fan. []

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