Fuoco Cammina Con Me: L’Italia Che Si Immola

Pubblicato da Blicero il 20.10.2012

Nel caso in cui non ve ne foste accorti, negli ultimi giorni la crisi è praticamente finita. I Sacri Mercati sono entusiasti, i broker spalmano caviale e cocaina sulle tartine e le borse «volano» dopo che Moody’s ha deciso di non gettare la Spagna nel cassonetto dell’indifferenziata. Il nostro spread è addirittura sceso fino a 313 punti base, con un rendimento dei decennali inferiore al 4,80%, «come non si vedeva dal giugno 2011, quindi prima della drammatica estate scorsa che vide l’Italia scendere nel girone dei paesi considerati a rischio». Secondo monsieur le Président François Hollande, «il peggio, vale a dire la paura dell’esplosione della zona euro, è passato».

D’accordo: la deflagrazione dell’Eurozona è stata sventata. Ma si può dire altrettanto dell’esplosione della popolazione europea? Se si dà un’occhiata al cosiddetto mondo reale – un mondo che non si scambia le business card nelle lobby degli hotel a Bruxelles, ma che si sta immiserendo a ritmi vertiginosi  – questa assurda euforia generalizzata appare ancora più grottesca.

Il 18 ottobre, lo stesso giorno in cui è iniziato l’ennesimo Consiglio Europeo in cui si è deciso di non decidere nulla, verso le due di pomeriggio Florian Damian, disoccupato romeno 55enne con sei figli a carico, è andato davanti al Quirinale con una bottiglia piena d’alcool in una mano e un accendino nell’altra. Un turista prima l’ha sentito singhiozzare («Come faccio con la mia famiglia?») poi l’ha visto darsi fuoco. Un carabiniere, accortosi del gesto, ha spento le fiamme con una coperta. Damian ora è ricoverato in ospedale in prognosi riservata, con ustioni di terzo grado sul 50% del corpo.

In Italia dal 1999, Damian vive a Pinerolo e lavorava come camionista (con contratto a tempo indeterminato) per Arcese, grossa azienda trentina di autotrasporti. Diabetico, nel 2007 un incidente lo costringe a sette mesi di malattia. La riabilitazione, però, non sarà mai completa: l’uomo ha problemi ai legamenti e dovrebbe evitare di salire sui rimorchi. «Nonostante una serie di visite mediche fatte fino all’estate del 2008, anche su richiesta della ditta, certificassero tutte i miei problemi, l’azienda non mi ha cambiato le funzioni», racconta Damian a un giornale locale.

La sua situazione personale, nel frattempo, continua a precipitare. I problemi lavorativi e familiari aggravano il diabate e l’ipertensione, e il camionista entra in profonda depressione. Il responsabile del personale di Arcese, tuttavia, respinge tutte le accuse rivolte all’azienda: «Volevamo spostarlo a magazziniere, ma i medici dicono che non può fare il camionista né l’addetto al muletto, quindi non sappiamo cosa fargli fare. In fondo l’azienda non è un ente di beneficienza». Già.

Nell’aprile del 2012 Damian viene licenziato per «giusta causa». In un video su YouTube contro il datore di lavoro, il lavoratore romeno lo apostrofa così: «Ci hai rubato tutto, anche la libertà. Sei un ladro!». Per questo video, riporta La Stampa, «è stato rinviato a giudizio per diffamazione, udienza fissata il prossimo 24 gennaio». In un altro video – piuttosto macabro, con il sennò di poi –  pubblicato il 5 agosto1, Damian si rivolge al Presidente della Repubblica con queste parole:

La ditta usa contro di me e la mia famiglia un terrorismo psicologico basato su tutti i modi: discriminazioni, ridurre in schiavitù […]. Io non sono venuto in Italia a chiedere l’elemosina a nessuno. Lavoro da 14 anni, pago i contributi, sono una persona seria. […] Non voglio altro che la giustizia italiana mi dà un aiuto per risolvere i miei problemi familiari. Sono 3 anni di incubo, non lo so fino a quando posso farlo.

L’ex camionista aveva anche scritto alla carica più alta dello Stato. E aveva ottenuto una risposta. «Gentile signor Damian – risponde il Segretario Generale della Presidenza – comprendo le difficoltà che si trova ad affrontare e desidero perciò informarla che ho inteso rimettere il suo scritto alle attenzioni e alle valutazioni delle competenti istituzioni territoriali». Il problema è che Pinerolo è una zona messa in ginocchio dalla crisi: 11mila disoccupati su centomila residenti. «Molti sono operai, spesso immigrati dell’est Europa – spiega sempre La Stampa – Nel giro di un anno sono sprofondati da una vita normale a un giaciglio dentro a un capannone dismesso». Il gesto estremo di Damian ha choccato il sindacalista della Cgil Fedele Mandarano: «Era maggio quando mi ha giurato che l’avrebbe fatto. Ho cercato di calmarlo in tutti i modi. Ma lui brandiva la nostra bandiera e diceva: “Mi darò fuoco davanti al Quirinale”. Lo abbiamo portato dagli assistenti sociali. Siamo riusciti a fargli avere l’assegno di disoccupazione. Il problema è che Florin Damian ha patito il licenziamento in maniera devastante».

Insomma, nessuna sapeva più cosa farsene di lui: divorziato, incapace di spiegare alla figlia di sei anni la sua situazione, un rottame inservibile per il mercato del lavoro. Secondo i canoni della nostra società odierna, Damian è indubbiamente un perdente, se non uno squilibrato tout court – e forse l’autoimmolazione davanti al Quirinale è stato l’ultimo, lucido tentativo di recuperare un minimo di dignità umana. La circostanza più tragica è che anche questo tentativo è fallito. La notizia è già stata fagocitata dal ciclo mediatico, spazzata via da scandali, Salva Sallusti e l’indifferenza più sorda.

È esattamente quanto successo a Angelo Di Carlo. 54 anni, romano d’origine ma forlivese d’adozione, Di Carlo si era dato fuoco la notte tra il 10 e l’11 agosto, lanciandosi contro Montecitorio. Molto attivo nel sociale, una vita passata a cercare di non annegare in un oceano di lavori più o meno stabili, da mesi era disoccupato, con la mannaia dello sfratto pronta a calargli in testa. Poche ore prima del gesto, Di Carlo aveva inviato una lettera al figlio (a cui ha lasciato tutta la sua eredità: 160 euro) e una cartolina dentro una busta bianca indirizzata a Raffaella Pirini, consigliere comunale di DestinazioneForlì.

Carissima Raffaella, ti scrivo queste poche righe per dirti che il porta a porta fatto da politici come Bellini [assessore comunale di Forlì, ndr] è una presa per i fondelli. Io ci credevo nel porta a porta. Ora sono con queste cacchio di bollette da pagare e 3 mesi di affitto arretrato. Sono molto amareggiato di come stanno andando le cose in questo Paese. Quando succedono alcune cose, ti dicono che sei matto – senza che i politici fanno nulla per questo Paese. Saluta tutti, bacioni.

Di Carlo è morto il 19 agosto, lo stesso giorno in cui il Ministro del Lavoro Elsa Fornero dichiarava a La Stampa che il governo «ha risanato il Paese» e che «la strategia del rigore è una premessa di carattere normativo, indispensabile per un progetto più duraturo». I miseri trafiletti (a pagina 20) che Corriere della Sera e Repubblica hanno dedicato a questa vicenda avevano un titolo più o meno uguale: «Non ce l’ha fatta». Invece, come ha correttamente rilevato Enrico Mentana su Vanity Fair, «purtroppo Di Carlo ce l’ha fatta, perché si è dato fuoco nel pieno della notte nella piazza deserta davanti a Montecitorio, sapendo che nessuno l’avrebbe potuto salvare dalle fiamme»:

Ce l’ha fatta a mettere in atto ciò che voleva, morire per protesta […]. Ma in qualche modo quei due articoli striminziti e secchi ci notificano anche che Di Carlo ce l’ha fatta a morire, ma non a dare tutto il senso che avrebbe sperato al suo sacrificio. Perché l’urlo finale della sua vita, contro una condizione di ingiustizia sempre più estesa e radicale per chi perde o non trova lavoro, non ha avuto che un’eco flebile sui giornali, molto meno di altre fiamme, quelle dei piromani sulle coste, o perfino quelle delle grigliate estive. L’avesse fatto per amore, o per religione, avrebbe avuto ben altro spazio, vien da pensare col cinismo del sistema informativo.

Un altro che «ce l’ha fatta» è stato Giuseppe Campaniello, 58 anni, artigiano edile originario della provincia di Caserta ma residente ad Ozzano dell’Emilia (Bologna). Il 28 marzo scorso, alle 8.20 di mattina Campaniello parcheggia la sua Fiat Punto in via Paolo Nanni Costa, davanti alla Commissione Tributaria del capoluogo felsineo. Cosparge l’interno della macchina di liquido infiammabile, poi si lascia avvolgere dalle fiamme. Morirà il 6 aprile, dopo una lunga e lentissima agonia.

L’artigiano, oltre a subire la crisi economica, era tormentato dalle pendenze con il fisco, che gli chiedeva almeno 104mila euro. La cifra, ricostruisce il Sole 24 Ore, era dovuta «per lo più per sovrafatturazioni, cioè dichiarazioni di costi maggiori di quelli realmente sostenuti, emerse nei controlli fiscali, e contro cui l’uomo aveva cercato inutilmente di far ricorso alla commissione tributaria provinciale (che gli aveva dato torto)». Dagli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate era anche nata una denuncia penale per false fatture. Proprio la stessa mattina in cui si è dato fuoco, Campaniello aveva l’udienza in Tribunale. Ma lì la notizia era arrivata solo il pomeriggio (evidentemente nelle corti di giustizia italiane non esiste Internet), e così il suo legale ha patteggiato 5 mesi e 10 giorni di reclusione mentre Campaniello era in ospedale, con ustioni letali su quasi tutto il corpo.

L’artigiano ha lasciato tre lettere. Una rivolta all’Agenzia delle Entrate: «Quello che ho fatto, l’ho fatto in buona fede, ho sempre pagato le tasse, poco ma sempre. Lasciate in pace a mia moglie, lei è una brava donna. Chiedo scusa anche a Voi». Una ad amici e colleghi: «Vado a trovare tutti nell’aldilà». Ed infine, una alla moglie:

Caro amore, sono qui che piango. Stamattina sono uscito un po’ presto, volevo svegliarti, salutarti. Ma dormivi così bene, ho avuto paura di svegliarti. Oggi è una brutta giornata. Chiedo perdono a tutti. Tra qualche mese diventerai zia. Spero che vada tutto bene. Così Danilo e Sara sono contenti, e anche tu. Un bacio a tutti, ti voglio tanto bene. Giuseppe.

Quando Angelo Di Carlo si brucia davanti alla Camera dei Deputati, Tiziana Marrone (moglie di Campaniello) viene raggiunta telefonicamente dall’Ansa per un commento – come se fosse un’esperta di suicidi per rogo. «Il 6 settembre sono cinque mesi che mio marito è venuto a mancare. Non ho visto le istituzioni, non ho visto nessuno», esordisce la vedova. «Sono sgomenta e inorridita dalle cose che stanno succedendo in Italia da un po’ di anni»:

Non ho mai preteso nulla nella vita, non ho mai chiesto nulla. Però mio marito non c’è più e io sono rimasta non solo sola, ma con tanti problemi. Mi devo dare fuoco pure io? Rischio la disperazione anch’io. Queste persone non sono depresse, né esaltati, nemmeno esauriti. Sono persone disperate che arrivano a fare questi gesti perché hanno una dignità. La vergogna fa fare queste cose. Anche Angelo Di Carlo, come tanti altri, non aveva fatto capire niente in famiglia. Tutti sapevano quale fosse la sua condizione, i problemi di lavoro, la morte della moglie, ma era un uomo normale.

C’è stato un tempo – un tempo non molto lontano – in cui sembrava che tutta Italia avesse deciso di uccidersi. Così, di punto in bianco. Piccoli imprenditori, disoccupati, gente sommersa dai debiti: falcidiati dalla crisi, uno dopo l’altro. «Emergenza suicidi», questo era il mantra. Poi, come un’onda che sale e improvvisamente s’infrange contro un muro di cemento armato, si è deciso che l’artificiosa «emergenza» doveva finire. I dati dicevano che, in fondo, la situazione non era poi così grave. I sociologi ridimensionavano il fenomeno. Verso la fine di aprile ho avuto un breve colloquio con un Giornalista Molto Importante che si era occupato di suicidi di piccoli imprenditori per un Giornale Molto Importante. Non ricordo precisamente le sue parole, ma il senso era più o meno questo: «Gli imprenditori suicidi? Sono degli imbecilli, bisogna andare contro queste persone». All’epoca ero rimasto piuttosto sbigottito. Poi mi sono accorto in fretta che quasi tutta la stampa si era conformata a questo nuovo corso.

Ed effettivamente, la trattazione della tragedia era stata irresponsabile – troppo concitata, morbosa ed esasperata. Il silenzio che è stato fatto calare sull’argomento, però, è altrettanto irresponsabile. Perché si è arrivati a fare così? Be’, evocare queste morti, ricostruire le storie personali e i fallimenti di questi loser – uomini talmente comuni che potrebbero essere chiunque – è oltremodo deprimente. E ricordare i costi umani di un sistema di welfare tra i più crudeli d’Europa dà fastidio. «Le parole sui suicidi della crisi – scrive la tweep @Lavvenelata sul suo blog “Tramonti a Nordest” – sono morte prima ancora di essere scritte, corrose dalla lucidità, dal mito del bisogna andare avanti. [Parlare di suicidi] rovina il morale alle truppe, la disperazione e la miseria sono una brutta bestia, tanto brutta che fa paura persino parlarne per timore di evocarla».

Neanche un mese fa, in Veneto tre persone si sono uccise nell’arco di 48 ore2. Il 25 settembre Livio Andreato, imprenditore edile 47enne residente a Campagna Lupia (Venezia), ha tentato di far saltare in aria la casa dei genitori, che è stato costretto a vendere per debiti. Quando i carabinieri sono arrivati sul posto, l’imprenditore – asserragliato dentro la sua Fiat Punto – si è sparato un colpo di fucile in petto. Il giorno dopo, 26 settembre, Raffaele Rubinacci si è impiccato nella sua abitazione a Noale (Venezia). Nel 2006 aveva aperto una piccola ditta artigiana, minata alle fondamenta dalla crisi: le commesse si trovavano con sempre più difficoltà, e i pagamenti dei lavori eseguiti non arrivavano. Pochi giorni dopo, un odotontecnico 58enne di Padova si è ucciso con un colpo di pistola al cuore. Anni fa aveva acceso un mutuo per ristrutturare e ingrandire il suo laboratorio ricavato nelle pertinenze della casa; ma i debiti si accumulavano, e i soldi per pagare le rate erano finiti. «Non fate il passo più lungo della gamba», ha raccomandato ai figli nel biglietto d’addio.

Però, come ci assicurano i leader dei maggiori europei, «il peggio è passato». Quando si ricomincia a crescere? «Non siamo alla vigilia di un boom», ha osservato l’economista Mario Seminerio su Phastidio:

I sistemi bancari restano in credit crunch, la domanda continua a latitare, i consumi delle famiglie sono morti, il mercato del lavoro è in condizioni tragiche e per rianimarlo serviranno robusti tagli agli stipendi nominali, magari indotti da cifre di disoccupazione inaudite. […] Il punto vero è che stiamo andando verso la cronicizzazione della crisi. Resteremo in Quaresima per molto tempo. Stapperemo una bottiglia di quello buono, solo per accorgerci che sa irrimediabilmente di tappo, quando vedremo il Pil crescere zero e non più decrescere.

Eppure, c’è già chi si è fiondato in cantina a prendere le bottiglie.

Quest’estate, infatti, il Presidente del Consiglio Mario Monti ha avuto una visione. La crisi in cui ci troviamo, ha detto durante la trasmissione radiofonica «Radio anch’io», «è un tunnel, ma la fine sta cominciando a illuminarsi, e noi e il resto d’Europa ci stiamo avvicinando alla fine del tunnel».

Sì, il premier deve avere un ottimo visore notturno, perché qui intorno non si vede nulla.

(Illustrazione: Dave Whitlam su Deviantart.)

  1. Titolo: «DISCRIMINAZIONE RASIALE PER LA NOSTA NAZIONALITA». []
  2. Ne ho scritto la settimana scorsa su Valigia Blu, e il pezzo che segue è la riproduzione di un paragrafo di quell’articolo. []

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Drop the Hate / Commenti (5)

#1

fricca
Rilasciato il 20.10.12

Sempre meglio.

#2

F. Merlo
Rilasciato il 20.10.12

Mha.

#3

Il professor Morte
Rilasciato il 20.10.12

Ho letto tutto quanto, ma non scorgo la pars construens, quindi continuo a rimanere fedele alla mia “funesta proposta”, con la quale esorto i suicidi a morire più utilmente.

#4

Fuoco Cammina Con Me: L’Italia Che Si Immola | Informare per Resistere
Rilasciato il 21.10.12

[…] In un altro video – piuttosto macabro, con il sennò di poi –  pubblicato il 5 agosto1, Damian si rivolge al Presidente della Repubblica con queste parole: La ditta usa contro di me e la […]

#5

Mattia Valloni
Rilasciato il 27.12.12

E’ anche normale che i giornali tentino di minimizzare, non ne farei uno scandalo. Il rischio di emulazione è alto, e i media amplificano sempre, nel bene e nel male. Gli unici che hanno parlato della tragedia dei suicidi per disoccupazione – almeno per quello che so io – è stata la redazione di Radio 24. Sebastiano Barisoni, Oscar Giannino con “Disperati Mai” hanno cercato di dare voce a questo dolore ben nascosto da altri palinsesti massmediatici. Parlamento in primis.

Per qualcosa di simile in altre terre hanno fatto la rivoluzione.
Sebbene la Storia – maestra solo di tragedie – insegna di non essere troppo ingenui con le rivoluzioni: palingenesi sociali e storiche che non promettono nulla di buono, se non un gran delirio, una gran caciara. In questo tempo italiano barocco, colmo di paradossi, servirebbe una presa di ragione, un illuminismo sereno che sappia risolvere i nodi problematici, senza scostarsi dal buon senso delle istituzioni. Sempre a mio modesto parere. Di scettico.
Articolo bellissimo comunque, come è sempre più raro trovare fra giornalisti patentati e professionisti.

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