Nella Morsa Degli Infedeli

Pubblicato da Blicero il 25.10.2008

Tutti i nodi vengono al pettine. Quando c’è il pettine.

Si chiude per l’ennesima volta un’ingiusta & inutile persecuzione giudiziaria. Calogero Mannino è stato infatti completamente mondato, grazie alla Corte d’Appello di Palermo, dalle nefandezze di cui è stato accusato per 14 lunghi anni. E’ l’ennesima batosta per il pool guidato da Caselli, è il definitivo strangolamento di quella distorsione della funzione requirente sistematicamente operata negli anni ’90 – l’epoca in cui si è cercato di accertare le responsabilità e le contiguità politico-mafiose. E’ finita l’era dei processi politici per mafia. Finalmente si è compiuto il processo della politicizzazione mafiosa, o della mafiosizzazione politica.

L’affaire Mannino risale alla fine degli anni ’80, quando la Procura di Trapani inizia ad indagare sull’allora potente politico della Dc, uno delle figure del rinnovamento (si fa per dire) indicate da De Mita dopo la scia di sangue eccellente (Dalla Chiesa, La Torre etc) lasciata dalla nuova Cosa Nostra. Il fascicolo finisce sul tavolo di Paolo Borsellino, all’epoca procuratore di Marsala, il quale lo invia alla Procura di Sciacca per competenza territoriale. Il tutto viene archiviato.

La svolta arriva il 13 febbraio del 1995, dopo un’altra indagine iniziata dalla Procura di Palermo: Mannino viene arrestato e tenuto in galera per 23 mesi, durante i quali perde 40 chili. Inizia così uno dei processi più controversi della storia giudiziaria d’Italia. Un processo totalmente viziato dalla longa manus caselliana, quasi controrivoluzionario. Un processo profondamente calato nel clima inquisitorio dell’epoca. Ci sono i battaglioni dei pentiti post-stragi, i teoremi sul concorso esterno, le prove diaboliche, le responsabilità accertate che scivolano via come olio sulla superficie della seconda Repubblica, ormai avviata verso l’uscita da Tangentopoli, completamente assorbita dallo sfascio delle procedure.

L’accusa contesta alcuni episodi chiave: un pranzo con un gruppo di ufficiali medici e con due boss; il matrimonio tra Maria Silvana Parisi e Gerlando Caruana, boss di Siculiana; i rapporti con i cugini Salvo (quelli che Andreotti negò di conoscere) all’epoca dell’assessorato regionale alle Finanze; l’accordo elettorale con Antonio Vella raccontato dal pentito Gioacchino Pennino. Elementi che in primo grado non sono sufficienti: il Tribunale assolve. Diverso il parere della Corte d’Appello, che condanna Mannino a 5 anni e 4 mesi. La Cassazione annulla il secondo grado con rinvio ad un nuovo processo: difetto di motivazione. E si arriva ai giorni nostri, con l’assoluzione non definitiva (quindi definitiva) e i vari stracciamenti di vesti sull’altare del garantismo d’accatto.

Il quarto livello

Il problema principale di questi processi travalica i ristretti confini giudiziari. Il piano in cui certi rapporti crescono, si svolgono e trovano opache convergenze è molto oscillante, viscido, scivoloso – praticamente impossibile da delineare con gli strumenti giuridici così configurati1. Non è nemmeno corretto tirare in ballo il “terzo livello”, cioè quel fantomatico luogo giornalistico/di costume in cui la mafia incontra la politica per decidere le sorti del paese: semplicemente, non esiste. Un altro grave errore è quello di basare il giudizio sull’inquisito/imputato esclusivamente sulle risultanze processuali. Andreotti è stato prescritto fino al 1980, ma è praticamente impossibile considerarlo un mafioso; nemmeno Contrada, a mio modo di vedere, è un mafioso. La questione è leggermente più complessa.

Questi sono solo retaggi manichei che servono a tenere in vita la contrapposizione tra Stato e Antistato – una lotta tra Bene e Male estramemente comoda sia a una parte dell’antimafia che alla mafia perchè semplifica all’ennesima potenza il quadro generale. Non è così che va. La mafia ha bisogno dello Stato, di un canale in cui immergersi per mediare, fare affari, trovare soluzioni politiche alle controversie. Lo stesso Stato ha bisogno della mafia: servono voti, finanziamenti, interventi extra-ordinem.

E’ un rapporto sinallagmatico, non contrapposto. Uno scenario liquido che vive di segnali: un matrimonio (sempre che di mezzo non ci sia una mostra di vichinghi), una cena equivoca, il suggerimento di cercare delle microspie nel salotto di casa, un’elargizione particolarmente generosa, una parola che sfugge in conferenza stampa, sui giornali, in televisione. Il sottointeso è il vero detto. Questo è un campo dove la giustizia non riesce ad arrivare, vuoi per la contingentazione legislativa, vuoi per la carenza strumentale & strutturale, vuoi per la lunghezza dei procedimenti: in 16 anni cambiano le condizioni politiche, muta il significato di certe condotte, si ridefiniscono le priorità giurisprudenziali2.

(Foto: Flickr)

Il problema è a monte. Il problema è civico/etico/sociale. Baciare un boss non è reato, però è un comportamento riprovevole a cui dovrebbe seguire una dura sanzione sociale – sanzione che puntualmente non arriva mai. La complicità, in certi casi, inizia con l’acquiescenza e si cristallizza con il tacito consenso.

Ad ogni assoluzione3 consegue l’annientamento/azzeramento globale dei sospetti di contiguità politico-mafiose; l’inquinamento della vita pubblica operato dalla criminalità organizzata diventa un argomento da opporre a chi aveva provato ad accertare uno straccio di responsabilità. Mannino è stato assolto? Allora la mafia non esiste. E se esiste, è solo militare: ma dal momento che non spara più un colpo, non esiste neanche quella. Dunque la mafia non esiste tout court, o al massimo è un fenomeno fisiologicamente tollerabile. Cosavuolesignoraèsemprestatocosì. Si Fa Così Dai Tempi Dei Tempi, Chi Siamo Noi Per Cambiare Qualcosa.

Questa è la razionalità del quarto livello, quello in cui si elimina l’intrinseca valenza di certe risultanze, in cui si disarticolano nitide rispondenze ed in cui la recisione di sottili collegamenti elimina alla radice la ricerca di una verità sia pur approssimativa – uno spunto di dibattito, che regolarmente viene soffocato dalla dispersione scientifica degli eventi.

Qualcuno, molti anni fa, aveva ben delineato tale situazione:

Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia […]. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! […] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!”

Fortunatamente, questo qualcuno l’hanno ammazzato nel 1992. Il giustizialismo militante e i teoremi complottistici l’avevano già corrotto abbastanza – lo so perchè l’ho letto nell’agenda rossa.

Questa è l’alba di nuova stagione. Una stagione di desertificazione ideologica e ideale, un diuturno servaggio in un mondo cadenzato esclusivamente dal fluire incessante delle transazioni commerciali, dall’impunità impenetrabile e dalle insondabili collusioni.

Una stagione dove Loro non cambieranno. Mai.

  1. Per ravvisare il concorso esterno in associazione mafiosa, ad esempio, è necessario provare la consapevolezza dell’imputato dell’efficacia causale della sua attività di sostegno: egli deve sapere e volere che il suo contributo è diretto alla realizzazione del programma criminoso del sodalizio mafioso. Inutile dire che una prova di questo genere è molto difficile da dimostrare. []
  2. Esemplificativi sono gli scontri in seno alla Procura di Palermo per la gestione del caso Cuffaro. []
  3. E’ uno strano deja vu, l’Uroboro dei rapporti tra mafia e politica: le stesse identiche reazioni si erano viste con Gaspare Giudice. []

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Drop the Hate / Commenti (4)

#2

Silent Enigma
Rilasciato il 26.10.08

Sempre molto lucide le tue analisi. Le parole giuste al posto giusto

#3

inaudita altera parte
Rilasciato il 26.10.08

caro pr pongo una domanda? perchè? voglio dire un processo lungo anni, a quale certezza può portare, letti tutti (quasi) gli incartamenti del caso – Mannino- alla fine non ho capito molto…o forse ho capito troppo…ma ripeto quale certezza si ha oggi?Assolto ok..ma da cosa?per che cosa?neanche lo si capisce più….sacrosante due tue frasi: Chi siamo noi per cambiare qualcosa? e: una stagione dove non cambieranno mai. meglio…non cambierà mai niente.

#4

Gli Eroi Non Parlano: lunga vita al concorso esterno in associazione mafiosa - La Privata Repubblica
Rilasciato il 06.01.09

[…] la mafia se la sta passando molto bene. I processi politici sono finiti con l’assoluzione di Mannino – in attesa della purificazione giuridiziaria per Dell’Utri in appello. La riforma della […]

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