WikiLeaks, O Della Grande Abbuffata

Pubblicato da Blicero il 30.11.2010

Se i popoli si conoscessero meglio, si odierebbero di più. – Ennio Flaiano

(02:20:57 AM) Manning: be’, è stato inviato a WL [WikiLeaks, nda]
(02:21:18 AM) Manning: e dio solo sa cosa può succedere ora
(02:22:27 AM) Manning: si spera discussioni a livello mondiale, dibattiti, e riforme
(02:23:06 AM) Manning: se questo non dovesse accadere…allora siamo maledetti
(02:23:18 AM) Manning: come specie
(02:24:13 AM) Manning: se non succede nulla getterò ufficialmente la spugna su questa società

Era il 25 maggio scorso quando il ventiduenne Bradley Manning – l’ex analista militare di intelligence che quasi sicuramente ha passato all’organizzazione di Julian Assange il video dell’attacco aereo a Baghdad (“Collateral Murder“) e i circa 260mila cablogrammi diplomatici usciti il 28 novembre – stava chattando con Adrian Lamo, un famoso gray hat hacker1 che ammirava e di cui aveva letto il profilo su Wired, raccontandogli di aver messo 1,6 gb di file segreti e riservati in un cd etichettato “Lady Gaga”. “Non posso credere a quello che ti sto confessando” dice in un’altra chat…Ed infatti Lamo, contravvenendo agli standard etici minimi di ogni hacker/giornalista, vendette ignobilmente il suo confidente agli investigatori dell’esercito perché riteneva che quei documenti fossero pericolosi per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Non sappiamo se Manning, rinchiuso nel carcere militare di Quantico (Virginia) in attesa di giudizio2, abbia potuto assistere a quello che sta succedendo e che succederà nei prossimi mesi. Ma noi lo sappiamo, eccome: il cablegate è la fuga di notizie più grande della storia, una fuga che probabilmente ridisegnerà gli assetti di potere – o quantomeno cambierà un certo modo di fare politica estera negli anni a venire. Discussioni globali, dibattiti, dispacci diplomatici che rimbalzano incontrollabili per la rete, dati pronti ad essere sviscerati e tallonati nei loro meandri più reconditi da eserciti e plotoni di analisti professionisti e amatoriali, una rivoluzione in formato .CSV che goccia per goccia sta riempiendo l’oceano di opacità e segretezza che da tempo immemore separa l’Istituzione dall’Individuo, tutto alla portata di tutti, in tempo reale…Eppure la prima, piccola tranche di cable non rivela nulla di realmente sconvolgente, non ha l’immediatezza degli orrori della guerra, non fa sentire il sibilo degli Hellfire di un Apache, non ci fa assistere a massacri nudi & crudi filtrati dal gergo militare.

Sono principalmente considerazioni di alti funzionari, racconti di incontri tra Stati, gossip diplomatico…Putin è Batman e Medvedev è il suo sottomesso Robin, Gheddafi un ipocondriaco gonfio di botox e dipendente da procaci infermiere ucraine, Ahmadinejad è Hitler, Mugabe un vecchio pazzo bastardo, Kim Jong-il un flaccido coglione epilettico, gli sceicchi arabi dei leader dotati di un sistema di circolazione alimentato a petrolio che vogliono bombardare l’Iran e la Clinton una che dà ordini di spiare le alte sfere dell’Onu, compreso il Segretario Ban Ki-moon – probabilmente più per accertare che in lui ci siano segni di vita che altro.

È semplicemente bastato l’annuncio della pubblicazione dei cable per spostare il livello di paranoia percepita da “Psicosi Collettiva Da Guerra Al Terrore” a “Baia dei Porci 2.0”, mentre la pubblicazione stessa sta facendo crollare le mura del Tempio-Dipartimento di Stato e ha fatto dire a Frattini3, che Assange VUOLE DISTRUGGERE IL MONDO – e questo secondo la Frattini-visione che vuole il mondo complesso come un episodio di Tom e Jerry. Fortunatamente anche altri si sono aggiunti al coro delle Dichiarazioni Da Contro-Usare Ironicamente Per Confermare Il Nostro Irresistibile Successo: su tutti il deputato repubblicano Peter King (futuro presidente dell’Homeland Security Committee della Camera USA), che ha chiesto al suo governo di inserire WikiLeaks nella lista delle organizzazioni terroriste internazionali. L’ambasciatore americano a Londra Louis Susman, invece, ha rilasciato un interessante comunicato:

“Questi messaggi sono il resoconto quotidiano dell’attività diplomatica condotta dalle nostre ambasciate in tutto il mondo. I cablogrammi diplomatici informano le decisioni di politica estera fatte dal governo degli Stati Uniti, ma non dovrebbero essere visti come rappresentative della stessa politica americana. Sono una parte della cooperazione estensiva che intratteniamo con gli altri stati, che è basata su una fiducia tale da permettere di condividere confidenzialmente prospettive o eventi. Quando questa fiducia viene meno, ciò è dannoso per gli Stati Uniti e per i nostri interessi.”

E gli interessi, in questa vicenda, sono chiaramente contrapposti: il primo è quello della trasparenza nelle scelte politiche di governo; il secondo è quello della discrezione che il governo deve usare per maturare quelle scelte. Per il governo americano il bilanciamento di questo conflitto pende ovviamente verso la segretezza; WikiLeaks va nella direzione completamente opposta. Le cose sono ovviamente inconciliabili – e per ora WikiLeaks sembra aver vinto.

In un articolo sul Guardian di qualche tempo fa, l’editor-in-chief Julian Assange disse:

I giornalisti vedono una cosa e subito cercano di trovargli una base logica. In generale è così che si fa la storia. Vediamo qualcosa nel presente e cerchiamo di costruire una storia in grado di spiegarla. Ma non è quello che vedo io.

L’obiettivo più volte dichiarato di WikiLeaks, oltre a quello di garantire un grado di trasparenza quasi assoluto per controllare l’operato dei governi attraverso la pubblicazione di materiale riservato, è quello di cambiare il modo di fare e fruire l’informazione. Assange lo chiama giornalismo scientifico. “C’è un immediato sbilanciamento di potere nel fatto che i lettori non sono messi in condizione di verificare quello che è detto loro, e questo porta all’abuso”. Che ci sia un cambiamento epocale in corso è pacifico, almeno stando alla maggior parte degli osservatori. Ma siamo veramente pronti ad accettarlo? Quali saranno le conseguenze di questo nuovo modo di intendere l’informazione? Dove ci porterà questo cambiamento? Infine, c’è davvero un cambiamento che va al di là de “i media tradizionali stanno diventando obsoleti come lo è l’elettronica francese in ambito musicale”?

Il cablegate, molto più dei war log iracheni e afghani, sarà il banco di prova iniziale dell’informazione del XXI secolo. Più che di trasparenza, questa volta si tratta di profondità: è la storia in presa diretta che spiega il presente; non è il presente che vediamo e a cui si cerca di costruire attorno una storia.

I 260mila cablogrammi hanno infatti un interesse quasi più storico che prettamente giornalistico. Nel XX secolo avremmo dovuto aspettare almeno 30-40 anni per accedere ad una minima parte di questi cable. Ora, invece, è tutto online. Subito. Questi documenti, come detto dall’ambasciatore Susman, illuminano le pratiche fuori scena del potere, quello che pensa, come pensa, la ratio che sta alla base delle sue decisioni, l’emorragia di denaro impiegato per soddisfare la fame di sicurezza e contro-terrorismo; e il tutto in maniera quasi clinica – è come se dal 2007 ad oggi un intero apparato statale fosse stato fatto sdraiare su un lettino all’interno del gantry di una TAC di cristallo, un invisibile macchinario digitale e collettivo finalmente pronto ad un’impietosa & implacabile acquisizione dei dati e alla susseguente diagnosi…In questo momento siamo ancora alla raccolta dati, e non sappiamo quando il lettino si staccherà dall’incastellatura, quali saranno i risultati della diagnosi e soprattutto quale sarà la cura.

Chiunque può, grazie ai leak, immergersi in documenti tecnici pieni di sigle e di analisi di medio/alto livello di funzionari governativi, e al contempo guardare l’ultima puntata di Boardwalk Empire, stalkerare la propria ex su Facebook, aggiornare il proprio Tumblr e seguire gli ultimi aggiornamenti del feed reader…ma chi ha veramente la voglia e la professionalità di farlo, se non giornalisti investigativi, storici, nerd o persone realmente interessate e con le capacità culturali di decrittare cable dell’ambasciata di Ankara che spiegano le lotte di potere tra l’esercito e gli islamici turchi?

“Per quanto riguarda l’analisi politica e sociale, sarà tutto nelle mani dei network e dei movimenti”, dice Assange. Può essere, come può non essere: lui stesso, però, si è rivolto alle testate tradizionali quali Spiegel, Guardian e New York Times quando si è trattato di rendere accessibile al pubblico, in un primo momento, una grande massa di materiale complesso e oscuro.

Perché quando ci sono troppi segreti, è difficile capire quali siano quelli veramente importanti.

L’organizzazione di Assange vive l’inestricabile contraddizione di svelare segreti restando in una sorta di impenetrabile segretezza per farlo. “Il segreto sta nel nucleo più interno del potere”, dice Elias Canetti4. “È caratteristica del potere una ineguale ripartizione del vedere a fondo. Il detentore del potere conosce le intenzioni altrui, ma non lascia conoscere le proprie. Egli dev’essere sommamente riservato: nessuno può sapere ciò che egli pensa, ciò che si propone5”.

I governi (specialmente quello americano) sono terrorizzati da WikiLeaks perché Assange & co. stanno scalfendo una delle caratteristiche fondamentali del potere – ma nel fare ciò, WikiLeaks è obbligata a trasferire su di sé quel nucleo osceno sottratto al potere per evitare che quello stesso potere comprometta le operazioni e torni in possesso dei suoi segreti…La segretezza risiede nel DNA stesso dell’organizzazione e del suo sito, e diventerà sempre più pronunciata mano a mano che il materiale diventerà più numeroso, esplosivo e pericoloso.

In un poster promozionale presente nelle foto della pagina Facebook, WikiLeaks si definisce “La prima agenzia d’intelligence del popolo”, e chiunque sa che in questo mondo non c’è nulla di più opaco e sfuggente di un servizio segreto.

Si può definire concentrazione del segreto il rapporto fra il numero di coloro che esso colpisce e il numero di coloro che lo custodiscono. In base a questa definizione è facile comprendere che i nostri moderni segreti tecnici sono i più concentrati e i più pericolosi. Essi colpiscono tutti, ma solo un numero esiguo di persone ne è a conoscenza, e da cinque o dieci uomini dipende il loro impiego6.

Se prima o poi venisse fondato un WikiLeaks di WikiLeaks, non ne sarei troppo sorpreso.

Assange stesso vive come un fuggitivo, inseguito (per ora) da un mandato di cattura internazionale7 per vicende personali, usa cellulari criptati, comunicazioni criptate, non ha fissa dimora e dorme a casa di amici di amici, su divani e persino pavimenti. Dell’organizzazione si sa poco o nulla. Si conoscono i nomi di qualche attivista islandese, il metodo di invio dei documenti riservati8, i server in Svezia e in Belgio, una certa turbolenza interna che è culminata con le dimissioni del portavoce tedesco Daniel Domscheit-Berg (e quelle di altri) a seguito di un pesante diverbio con Assange, si sa che WikiLeaks non è un wiki e che l’australiano dai capelli senza colore dimostra una conduzione abbastanza cervellotica e autoritaria della sua creatura: “Sono l’anima e il cuore di questa organizzazione, il suo fondatore, filosofo, portavoce, coder originale, organizzatore, finanziatore e tutto il resto.”

Canetti scrive ancora: “Tutti i segreti sono destinati ad essere infine fatali […]. Ogni segreto è esplosivo e la sua temperatura interna cresce di continuo”. Assange, grazie anche alla sua storia personale di ex-hacker, è riuscito a coagulare intorno alla sua organizzazione il consenso della comunità hacker e di buona parte della rete, ma è costantemente soggetto alle critiche della stampa, anche di quella specializzata (su tutti il blog Threat Level di Wired)…se si vuole cambiare il giornalismo, bisogna inevitabilmente fare i conti con i giornalisti.

La serie di scoop messi a segno da WikiLeaks è impressionante, certo: ma fino a quando può sopravvivere alla sua contraddizione? Fino a quanto può reggere la pressione crescente della sua temperatura interna?

Settembre, 1991. Julian Assange, all’epoca ventenne, entra nel terminale principale di Nortel, la telecom canadese, e incomincia a vagarci dentro. Normalmente l’australiano alto e pallido penetra nel sistema di notte, quando nessuno controlla. Ma questa volta c’è un amministratore collegato. Assange, senza svelare il suo nome, scrive all’amministratore: “Ho preso il controllo. Per anni ho combattutto in questo grigiore. Ma ora ho finalmente visto la luce”.

Troppa luce può accecare.

  1. Conosciuto sulla stampa come “The homeless hacker”, l’hacker senzatetto. Protagonista del documentario rilasciato su torrent “Hackers Wanted“. Tra le imprese più conosciute di Lamo c’è l’intrusione nei server privati del New York Times avvenuta nel 2002. Lo scorso maggio a Lamo è stata diagnosticata la sindrome di Asperger. []
  2. Rischia fino a 52 anni di carcere – e c’è anche qualcuno che ha avuto il coraggio di chiedere per lui la pena di morte. []
  3. Lo stesso che prima ha gridato al complotto internazionale contro l’Italia, poi ha ridimensionato, poi ha chiesto alla magistratura di intervenire (in base a quale reato?), e soprattutto quello che nei cablogrammi ha proposto di riconvertire la produzione di oppio in Afghanistan in olio d’oliva. []
  4. Massa e potere, pgg. 350 e seguenti. []
  5. E questo è esattamente il caso del cablegate. []
  6. Sempre Massa e potere. []
  7. Piuttosto ridicolo, a dir la verità. []
  8. E qui c’è un altro surplus di segretezza, per quanto possa essere astrattamente giustificabile: WikiLeaks non conosce i nomi delle proprie fonti. Non conosce i mezzi, le motivazioni e le possibilità delle fonti. Chi può dire dunque che quello che viene mandato non sia un falso, o magari che sia vero ma subdolamente falsificato in certi punti, nomi, date o circostanze? Nessuno, nemmeno WikiLeaks – per quanto il suo processo di autenticazione sia estremamente sofisticato e all’avanguardia (“Non abbiamo mai commesso errori”). Lo stesso Assange ha detto, lo scorso 27 luglio, che la sua più grande paura è di non accorgersi di aver pubblicato dei documenti falsi. []

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Drop the Hate / Commenti (2)

#1

edap
Rilasciato il 30.11.10

puoi pubblicare tutto quello che vuoi, ma i giornali sono servi della pubblicita’ e i giornalisti servi degli editori.
Che devono vendere.

Per quanto la mole di informazioni sia esuberante, saperla leggere richiede competenza, non solo tempo. Un buon giornalista dovrebbe farlo.
Un giornalista mediocre accontenta il suo editore, e si basa su un sicuro titolo “alla novella 2000”.

Noi abbiamo giornalisti mediocri, perche’ quelli meritiamo. Non parlo solo di repubblica, ma pure del nytimes, del pais, di le monde ecc…

Ecco quindi il berlusca che fa festini, l’infermiera di gheddaffi, la merkel che non ha fantasia. Ma sticazzi, non serve un intelligence per capire ste cose, basta scendere al bar.

La piu’ grande delusione dell’evento cablegate wikileaks e’ stata la stampa.

#2

la Volpe
Rilasciato il 01.12.10

Concordo con edap. Non uno dei giornali “tradizionali” che abbia scritto che dentro si parla anche di Honduras e America Latina.

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