Gloriosi Bastardi Con Parrucca

Pubblicato da Dott. Barbie il 18.02.2011

Stavo lì, in questo squallido appartamento fradicio e torrido di Monrovia (Liberia), ad ammirare la mia nuova ragazza. L’ho conosciuta a Montreuil, nei sobborghi di Parigi, mentre stavo concludendo un affare che riguardava la vendita di due AK-47 croati, un XM25 trafugato in Afghanistan e alcune Glock 34. I suoi genitori non avevano tutti i soldi per pagarmi, e così l’ho presa come pegno. Lei non ha opposto resistenza, specie dopo aver visto la mano mozzata del padre cadere a terra ed aver udito quel tonfo sordo e organico, contornato dal fischio strozzato delle arterie squartate del polso. Sì, ha deciso di rimanere con me. La mia Mélodie, di anni 9 e mesi 5.

È bellissima. Di tipo linfatico, respiratorio, agile, piuttosto snella. Cranio brachicefalo, faccia tondeggiante dagli zigomi poco pronunciati, orecchi da fauno, occhietti bruni un poco stretti. Faccia un poco zotica, alla française, ma astuta, esprimente un’intelligenza dominata da un’intensa vita instintiva. La sciancratura toracica vagamente aperta forma un semiarco pieno al quale risponde l’ogiva dell’inguine e del solco sottopubico, suggellata all’estremità inferiore da un giglio rovesciato, il suo gentil sesso. Mani dalle dita lunghe, affusolate e dalle palme delicate. Gambe leggere, caviglie sottili, e i ginocchi dalle rotule strette e piatte della coscia. Sulla pelle bianchissima, le macchie rossicce formano semine, strisce e colate. Un ventaglio di venuzze violacee, regolari come maglie d’una rete, minia la faccia interna delle cosce.

Per lei è tardi, è ora di dormire. L’accarezzo dolcemente, le metto la sua Parrucca Da Notte Modello Blaxploitation per coprire la calvizie auschwitziana da me caldeggiata tramite un rasoio elettrico e le affianco sotto le coperte il suo pupazzo preferito, quello senza il quale non riesce proprio a dormire. “Bonne nuit, ma petite chérie”, le sussurro. “Notte, dottor Barbie”, squittisce lei. Sorrido. Vedo un lampo di terrore attraversare i suoi occhietti. Passo la mia lingua setolata sul graffio da Opinel sul suo avambraccio sinistro. Poi, come ogni sera, le faccio una foto, da mandare a Carla del Ponte – che da anni mi cerca per avere delucidazioni sugli inconvenienti bosniaci di Omarska e Srebrenica – per comunicarle che tutto va bene, qui, che sono ancora vivo e latitante. Oggi il ritratto è venuto particolarmente bene.

Ricordo come se fosse ieri quella volta in cui io e lei ci mettemmo a vedere sul divano del nostro covo clandestino a Sofia gli ultimi aggiornamenti della newsletter “War Porn, O Orribili Massacri E Strepitose Mutilazioni Avvenute In Scenari Di Guerra Asimmetrica”, che oltre alla mia iscrizione può contare su quella di un ex mercenario della Legione Straniera che ha fornito consulenza al regime dei generali argentini degli anni ’70 ed ha avuto un ruolo di preminente importanza nella costituzione (purtroppo fallita) del Quarto Reich in Bolivia.

Il video che l’ha colpita di più è stato sicuramente quello di un soldato americano a cui sono state mozzate entrambe le gambe da una mina antiuomo durante una ricognizione in una specie di forte/trincea abbondonata. Intorno a questa, il nulla: qualche palma, il deserto, i rumori delle radio. Il sergente sta camminando, ripreso da una troupe francese, quando all’improvviso si alza una tempesta di polvere; la mina è saltata. “Fuck!” grida il soldato, chiedendo immediatamente la morfina.

La troupe continua a riprendere (e già mi immagino il Cannibal Holocaust state-of-mind del cameramen: “Continua a girare! Continua a girare!), il sergente reclama disperatamente le iniezioni di morfina, entrambe la gambe sono spappolate, ridotte a tronconi di viva carne straziata, le ferite ricoperte di sporco e polvere afghana, i suoi commilitoni continuano a chiedere aiuto via radio, e nella mia testa elaboro dottrine e dottrine sulla guerra asimmetrica, e sul significato della guerriglia, che è quello di colpire le truppe percepite come d’occupazione con tecniche ripugnanti & riprovevoli per innalzare alle stelle il livello di tensione tra queste e la popolazione civile, e il tutto infine da risolversi tramite inerarrabili massacri e bombe al fosforo e rastrellamenti e airstrike mirati e tonnelate di piombo sganciato da droni pilotati da Langley o da portaerei o da chissà dove – quando all’improvviso mi accorgo che Mélodie sta piangendo a dirotto, rumorosamente, senza appello, e io mi scopro tutto sudato e terribilmente eccitato, ansimante come una scrofa ricoperta di fango appena sgozzata in un macello kosher e con le mani madide di umori. Nudo. Con una cravatta tempestata di svastiche che tocca la punta del glande.

Questo per dire che detesto la guerra asimmetrica. Toglie tutta la poetica del conflitto. Ormai le ultime vere guerre, a parte quelle combattute nei Balcani, sono una prerogativa pressoché esclusiva dell’Africa. È quello che ho cercato di spiegare a Mélodie, invano. Ho dovuto ricorrere a metodi non convenzionali per convincerla di ciò. Metodi che renderebbero orgogliosi Takashi Miike e Lars Von Trier in una serata a base di Jägerbomb in una bettola nel porto di Baltimora. Alla fine lei si è persuasa: mi ha chiesto di andare in Liberia a conoscere i famigerati Mercenari dei monti Nimba, già ex combattenti al fianco di Charles Taylor (il presidente liberiano sotto processo per crimini di guerra in Sierra Leone al Tribunale Penale Internazionale) durante le guerre civili di fine anni ’80 e inizio anni ’90.

Sono circa una ventina. Sono armati di machete. Indossano parrucche da donne nella convinzione (sorta durante i conflitti liberiani) che queste possano deviare i proiettili. Ne hanno data una anche a me, e devo dire che mi dona alquanto. Ora stanno cercando lavoro in Costa D’Avorio, paese che è sull’orlo di una guerra civile dal 28 novembre scorso, giorno di elezioni contestatissime tra il presidente uscente (rimasto al potere) Laurent Gbagbo e il rivale Alassane Ouattara, supportato dai paesi occidentali.

Questa gente vive in funzione della guerra, un po’ come l’etnia pashtun in Afghanistan. Non sanno fare altro: sono praticamente analfabeti, non hanno né un lavoro fisso né competenze da terziario o manuale. L’unica cosa che sono capaci di fare è prodursi in slalom alla George Weah 1996-97, con decapitazioni e ferite d’arma da taglio tra truppe governative o ribelli o milizie paramilitari o semplice popolazione civile. Come si può non adorare questi mercenari?

Dopo una lunga contrattazione, ho venduto loro la mia Mélodie il giorno del suo decimo compleanno. Per un machete. Le ho ovviamente requisito il pupazzo di Hitler. Poi non ho più saputo nulla di lei. Ma nel salotto della mio nuovo rifugio di Spandau il machete fa una di quelle figure che non le dico, signora mia.

(Pubblicato su ScaricaBile)

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