Breaking Primarie

Pubblicato da Blicero il 23.10.2012

(Racconto scritto a quattro mani con Melissa P2.)

«Instabile, volatile, pericolosa. Questa è la politica».

Si sentono sirene in lontananza, e sul camper lanciato in una corsa disperata è un macello. I fumi delle polemiche sull’incontro con la finanza milanese sono asfissianti, il cadavere di Zoro sbatte a destra e manca accompagnando stancamente le sbandate del mezzo.

Renzi ha la faccia di uno che sta facendo un discorsetto al suo sfintere senza riuscire a convincerlo del tutto. Nel sedile del passeggero c’è Gori, mezzo morto e riverso sul cruscotto. All’ennesima sterzata troppo brusca, l’RV Fleetwood Bounder dell’86 comprato usato con parte del premio vinto alla Ruota della Fortuna esce di strada, arenandosi in un tripudio di polvere e lamiere.

Renzi scende trafelato e si guarda attorno alla ricerca di un punto di riparo sicuro. Tira fuori l’iPhone e comincia a filmarsi: «Ti amo, Agnese. Vi amo, figli miei. Mi considererete un essere abietto, già lo so, ma sappiate che tutto questo l’ho fatto per voi, solo per voi. Per darvi un futuro migliore, un futuro in cui il debito pubblico sorpasserà appena i 1000 miliardi di euro e il New Labour sarà una religione esentasse».

Le sirene della polizia – perché ne è certo, cazzo: quelle sono le sirene della polizia – si avvicinano inesorabili con il loro lugubre ritmo. Renzi esplode, trema, si mette a piangere. Nella sua testa s’avvia una serie di flashback.

Il dermatologo era là, di fronte a lui, impettito e col suo sguardo austero, a macinare parole con la lentezza inesorabile del tempo che scivola via, la melancolia della vita che non ritornerà più e l’ineluttabilità delle frasi retoriche. In quell’infinito frangente in cui gli venivano illustrati i risultati della verifica istologica su un suo neo, il piccolo sedicenne Renzi non riuscì a far meno di pensare che i suoi figli e i figli dei suoi figli non avrebbero ereditato niente e che, anche se lo avessero fatto, una pressione fiscale troppo alta avrebbe azzannato i loro risparmi. Fu lì che scattò la molla: avrebbe dovuto agire per il bene pubblico (e privato), sfruttando tutto il poco tempo che gli restava.

E così, gonfio di determinazione, Renzi cercò di mettere in piedi tutta la faccenda. Dal piedistallo del suo ardore non faceva che mettere a tacere qualsiasi dubbio Giorgio tentasse di sollevare.

– Silvio? Silvio andrà in prigione. Coi tuoi programmi fai soldi a palate, d’accordo, ma lo so che senti di non avere niente, che hai come la sensazione di essere al punto di partenza. Ma tu sei nel giro. E io conosco come reagisce la gente alla politica. Stavo pensando che magari io e te, Giorgio, potremmo diventare soci.

– Lei vuole cucinare nel lungo crepuscolo del berlusconismo? Con me? Lei ed io?

– Esatto. Nell’attuale realtà politica, tutta emotiva, la popolarità sostituisce la legittimazione; la vittoria la credibilità; e i sondaggi l’ideologia. Una volta agganciato emotivamente, l’elettore sospende la propria capacità critica e finisce per votare anche chi, a conti fatti, non gli converrebbe. Con la tua esperienza e le mie capacità possiamo ottenere ciò che vogliamo.

Sentiva la logica delle sue argomentazioni procedere come uno schiacciasassi che preparava il terreno per La Strada Che Avrebbe Portato Al Degno Avvenire.

Gori dal canto suo cercava invano di resistere a quel canto di sirena distogliendo infantilmente lo sguardo, sudando freddo, cercando in estrema difesa di appigliarsi alla sua rabbia interiore. Il discorso di Renzi era ormai un fiume in piena, semplicemente incontenibile.

– Guarda qua. Questa è una beuta di raccolta in stile Kjedsomhet, 800 millilitri. Molto rara, e indispensabile per distillare ostacoli da superare, come il non aver numi tutelari all’interno del Partito. Tu avresti poi la tua solita attrezzatura per la narrazione emotiva: becher di Griffin per debolezze e umanizzazione, come il mio essere un toscanaccio, pregio e difetto; non s’immedesimerebbero e non mi amerebbero senza.

Renzi sfoderò la Beuta di Erlenmeyer e continuò la sua affabulazione.

– Con questa bisogna far appassionare l’elettore tramite la propria visione. Cosa voglio? Voglio un’Italia grande quanto la magnificenza di Firenze, voglio rottamare le cariatidi partitiche, mettere definitivamente da parte il welfare, spaccare il culo ai sindacati e ridare lustro al brand italiano nel mondo. Voglio. Un. Fottuto. Nuovo. Rinascimento.

Renzi era a un passo dall’avere la bava alla bocca, ogni poro del suo viso pareva assurdamente sul punto di averla. Quando afferrò un altro alambicco le sue iridi luccicavano come quelle di un ex carcerato che può finalmente malmenare di nuovo la moglie.

– Questo è il pezzo forte, un matraccio di bollitura a fondo sferico, 5000 millilitri in cui far ribollire la mia unicità: un volto comune da stereotipo cinematografico medio; un look capace di mescolare e ibridare in stile e parole eleganza e informalità, ossia il casual, ma col senso di rispetto per le Istituzioni; e soprattutto la storia di un giovane che finalmente ce l’ha fatta ma non-si-è-dimenticato-di-noi-gente-comune e che dentro di sé ha l’urgenza del dare-restituire-donare ai suoi elettori quello che gli spetta.

Un barlume di coraggio di Gori affiorò ingenuamente. Renzi sulle prime rispose con la pacatezza di chi, vedendo qualcosa di insensato nelle parole dell’altro, aspetta solo che l’interlocutore riconosca l’errore da sé.

– Beh – disse Gori – io cucino in uno di quelli. Quello grande.

– Uno di questi? No, questa è una beuta volumetrica. Non cucinerai in una di queste.

– Sì, lo farò.

Gori opponeva resistenza, istintivamente. Ma Renzi non solo aveva già deciso: sentiva di esporre nient’altro che la Verità Oggettiva.

– No, non lo farai. Una beuta volumetrica serve a differenziarmi dai miei avversari creando un legame emotivo con l’elettorato. Non applicherai la fredda distanza dei New Media ad una beuta volumetrica. Non hai imparato niente dalle lezioni della Lega? Non mi sorprende. La presenza nel territorio è fondamentale, non basta apparire se non ci si mostra fiscamente vicino alla gente.

– Parli come un coglione. Stammi a sentire. Questa non è politica, ok? Questa è arte. Cucinare propaganda è arte. E la merda che cucino è una bomba, quindi non azzardarti a tenermi comizio.

– La merda che cucini è merda, Giorgio. Ho visto come lavoravi. Facevi pena. Tu ed io non produrremo spazzatura. Creeremo un prodotto politicamente puro e stabile con le caratteristiche che vogliamo. Senza dinosauri. Non tagliato con la vecchia dirigenza. Giovane, hip, filmico e senza l’elemento reality.

– No, no: l’elemento reality è la mia firma.

– Non più.

– Sì, be’, lo vedremo.

– Lascia perdere e dimmi piuttosto come lavoreremo.

– Dimmelo tu. Sei tu quello che vuole limitare l’uso di tecnologie per paura di diventare una marionetta wireless.

Renzi abbassò un attimo lo sguardo, poi riemerse dai recessi del suo Piano.

– Un camper. Ecco cosa ci vuole: un camper. Il veicolo dell’italiano medio. L’odore di mostarda mischiata ai pannolini schizzati di merda, l’avventura col guscio, la chiocciola 1.0.

A poco a poco , grazie alle prime riunione programmatiche su Skype e la ricerca dei giusti hashtag, il disprezzo e la strafottenza iniziali di Gori si affievolirono. La sete di potere e decisionismo di Renzi, au contraire, aumentarono.

Sul deserto dell’ennesima Piazza Italia erano calati la notte e il silenzio.

All’interno del camper, stakanovista e chino sulla propaganda dell’indomani, Renzi avvertì prima un leggero formicolio alla nuca, poi un crescente senso di stordimento.

Quando s’accorse che aveva indossato la maschera protettiva con l’accortezza d’un dilettante, perse conoscenza. Contaminato dai veleni e dalle beghe della vecchia politica esalati da barrette di giornalismo d’infotainment, cominciò a imparanoiarsi e per un tempo indefinito si fece ossessionare dalla figura di Massimo D’Alema.

Anche se lui fosse riuscito a farcela, gli sarebbe toccata la sorte dei vari Veltroni & Franceschini? Sarebbe stato lavorato anche lui ai fianchi, lentamente e subdolamente, con battutine al vetriolo in privato mentre in pubblico veniva osannato? L’escalation di tormenti culminò con la visione di D’Alema che celebra Veltroni per essere arrivato in cima al PD:

«Voglio fare un brindisi, un brindisi al nostro Segretario. Vieni qui. Walter, hai un cervello delle dimensioni dell’EUR, ma non lo useremo contro di te. Perché hai il cuore al posto giusto, amico. Hai il cuore al posto giusto. Ti vogliamo bene, amico. Ti vogliamo bene. Tutti quanti! A Walter!»

D’Alema strizzò un occhio. Tutti i presenti alzarono festanti il proprio calice, fissando la faccia scialba di Veltroni che prima si fece patetico abbozzo d’un sorriso forzato, poi si trasformò in malcelato allarmismo, e infine assunse un pallore attonito che sfumò per logica onirica nella faccia stessa di Renzi.

Fu a quel punto che si risvegliò di soprassalto, madido. Solo con estremo sforzo riuscì a strisciare fuori dal camper e ripulirsi polmoni e mente.

Il momento è la prima infornata. Gori era sul punto di impazzire per l’euforia.

– È roba pura. Cioè, Cristo, hai fatto cristalli di propaganda politica da 6-7 centimetri. È roba purissima, di un azzurro rassicurante, che ricorda i tempi d’oro di Forza Italia. Sei un fottuto artista. Questa è arte, Mister Renzi.

– In realtà è politica relazionale elementare. Ma grazie, sono contento che sia accettabile.

– Accettabile? Sei il cuoco dei cuochi. Questa roba se la caleranno tutti, dalla Minetti alla Binetti, ogni elettore da qui a Bitonto vorrà provarla. Tu non sei come ti ricordavo quando ricoprivo di paillettes la merda edonista di Mediaset. Cioè, proprio per il cazzo.

– Devo andare, Giorgio. Ci sono altre mani da stringere, altri tweet falsamente arguti da pubblicare.

– Aspetta, aspetta. Solo una cosa. Dimmi perché lo stai facendo. Seriamente.

Renzi serrò la maschera che aveva in mano, si bloccò, e trafisse Gori con uno sguardo iniettato di sangue.

– Tu perché lo fai?

– Perché – rispose Gori tutto serio – il credo politico è la metanfetamina dei popoli.

– Colpito.

– No, dai! Mi vuoi veramente far credere che un liberal come te, con un’idea gigante di capitalismo infilata nel culo, all’età di 40 anni improvvisamente va fuori di melone e decide di cavalcare il post-berlusconismo da sinistra?

– Ho 37 anni e sono un democristiano di ferro.

– È strano, tutto questo, ok? Non quadra. Senti, se sei impazzito o qualcosa del genere è una cosa che devo sapere. Voglio dire, mi riguarda.

– Sono semplicemente sveglio, Giorgio. Sveglio e vivo.

E forse un tempo lo era stato davvero.

Le campagne toscane bruciano, schiantate dal sole. Renzi è stravolto, il volto sfregiato dalla disfatta. Eppure i sondaggi lo davano al 35%, la vittoria era a portata di mano – il rinnovamento, la rottamazione, i vertici internazionali, il numero di fan a sei cifre sulla sua pagina Facebook, il Potere. Tutte stronzate.

Il Sindaco armeggia con la pistola, prova a ficcarsela in bocca, ha un conato, infine desiste dall’ipotesi suicida. Le sirene sono lì, martellanti. «Questo giro è finita, è finita per davvero», pensa Renzi. Ecco le prime automobili comparire all’orizzonte della tangenziale. Renzi punta la pistola in loro direzione. Poi l’abbassa: quelle non sono delle volanti. Non è la polizia. Sono auto blu.

Le Lancia gli sfrecciano accanto, la camicia svolazza, i capelli finemente pettinati si agitano come un salice scosso da un wrestler. È solo un corteo di auto blu. I finestrini non sono oscurati. Renzi butta un occhio dentro gli abitacoli e vede mezza dirigenza del PD: Fassino, Chiamparino, Rosy Bindi, Fassina. Arturo Parisi è nella macchina che chiude la parata. Per un istante i loro sguardi si incrociano, e Parisi gli sorride, facendogli il gesto della vittoria.

«Fanculo», sibila Renzi. Poi crolla a terra, sbucciandosi le ginocchia sull’asfalto della provinciale. Alza gli occhi al cielo, si slaccia la cravatta e si lascia andare, ormai in preda agli spasmi. Un maremmamaiala interiore si tramuta in urla, le urla in sghignazzi macabri.

Il camper sputa fuori Gori dalle sue budella. Lo spin-doctor zoppica un po’, fa due o tre tweet e, togliendosi la maschera, si avvicina al Sindaco.

– Capo?

Renzi continua a ridere, contorcendosi orribilmente.

– Mister Renzi, tutto bene?

– Dove cazzo sono le Cayman, Giorgio? Eh? Dove sono le merdosissime Cayman?

Gori indietreggia un attimo, sinceramente turbato da quello spettacolo.

– Mister Renzi, cosa cazzo è successo a Zoro?

+ + +

(Si ringraziano Tabagista per l’input e Mario Perrotta per il fotomontaggio di Matteo “Walter White” Renzi.)

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Drop the Hate / Commenti (4)

#1

Akiller Dee
Rilasciato il 23.10.12

Strepitoso! Il tocco semantico di Melissa P. ha evidentemente fatto la differenza.

#2

El
Rilasciato il 23.10.12

Scusate il ritardo. Sono dovuto andare a prendere un cappello per potermelo togliere in senso di deferenza.

#3

L.
Rilasciato il 25.10.12

Siete geniali.

#4

Fede
Rilasciato il 06.11.12

E ogni tanto tiri fuori un piccolo capolavoro!
Renzi/Gori come Walter/Jesse… Anche se secondo me il loro rapporto è al contrario…

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