Zelda Al Basso, Megaman Alla Batteria

Pubblicato da Blicero il 13.12.2010

New York, un van si ferma in una piccola traversa di Chinatown. Dalla macchina scendono quattro ragazzi, tirano fuori un amplificatore, lo mettono sul tetto e incominciano a suonare. Chitarre, basso, batteria. E un Game Boy modificato. Un’esibizione del genere ovviamente non può non catturare l’attenzione dei passanti. Loro sono gli Anamanaguchi – ardita crasi tra Armani, Prada e Gucci – una band di giovani newyorchesi (formata dal compositore Peter Berkman, il bassista James DeVito, il chitarrista Ary Warnaar e il batterista Luke Silas) che si ispira al pop-rock leggero di Weezer, Unicorns, Beach Boys e all’8-bit di The Legend of Zelda, Megaman e molte altre cartucce con cui sono cresciute almeno due generazioni.

Suonare con NES del 1985 e Game Boy del 1989 hackati potrebbe sembrare l’apice del nerdismo, il suo punto di non ritorno (e probabilmente lo è), ma in realtà, ad un ascolto un attimo più approfondito, si tratta di sperimentare ed esplorare nuove sonorità nell’ambito chiptune (ovvero sintetizzazione di brani in tempo reale mediante i chip di console o computer), è prendere il suono che fa lo sprite di Super Mario quando mangia un fungo, i videogiochi di fine anni ’80 e costruirci attorno architetture sonore e cascate di accordi à-la-Iron Maiden. “Devi letteralmente comporre il sound dal nulla – dice un membro della band – la cosa divertente della sintetizzazione è che crei davvero il tuo suono. Se non fai così, viene uno schifo”.

Per quanto sia assurdo l’accostamento tra rock e Nintendo, gli Anamanaguchi finora hanno prodotto l’Ep “Power Supply” (2006), l’Lp “Dawn Metropolis” (2009) e composto la colonna sonora del videogioco “Scott Pilgrim vs. The World: The Game” (2010), oltre ad essersi esibiti dal vivo in diverse occasioni, sebbene i problemi e gli imprevisti derivanti dall’utilizzo di hardware più vecchi degli stessi musicisti siano sempre dietro l’angolo.

La musica degli Anamanaguchi, da loro definita come “Mario che organizza un rave-core-lofi-tronica sotto acido”, è iperattiva, melodica, energica, positiva, con un ritmo frenetico che assomiglia a quello dei giapponesi Polysics. È principalmente musica elettronica, ma piena di esperienze e sentimenti umani; ed infatti la componente più forte è quella della nostalgia. Nostalgia, sostantivo etimologicamente composto dal greco nòstos, ritorno al paese di nascita e d’appartenenza, e dal latino algia (algos), dolore, tristezza – un dolce e melanconico formicolio che attanaglia il cuore, delicato ma molto più potente della memoria, che ti porta avanti, e indietro, e intorno, e di nuovo a casa, nel tuo salotto, nella tua cameretta da adolescente, in un posto in cui sai di essere amato e al sicuro.

L’avvento di Internet, è innegabile, ha permesso a band così strane e assurde di esistere e ricevere molta più attenzione rispetto al normale circuito di distribuzione/recensione. Ma ovviamente non è solo questo. È soprattutto la presenza di un pubblico trasversale che, oltre ad emulare le vecchie console sui propri PC (e finalmente finire i vecchi cabinati senza dover spendere un capitale in gettoni), vuole rivivere quelle esperienze e tornare in quell’epoca intima e personalissima, sognare e tuffarsi nuovamente in mondi e avventure in 8/16-bit. Il tutto senza soffrire, anzi divertendosi, ma con la matura consapevolezza di essere diventati irrimediabilmente grandi.

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