L’Orgia Del Suicidio

Pubblicato da Blicero il 20.07.2012

Qualche mese fa “l’emergenza suicidi” legata alla crisi economica sembrava inarrestabile. Gli organi di stampa riportavano con gran clamore notizie da Nord a Sud, le associazioni di categoria lanciavano appelli disperati e Antonio di Pietro, in Parlamento, denunciava la macelleria sociale: “Mentre il presidente Monti dice le bugie sulla crisi che sarebbe finita ci sono persone che si suicidano. Quelle persone che si suicidano il presidente Monti le ha sulla coscienza”. Poi sono uscite le statistiche.

Un articolo di Wired del 9 maggio scorso riportava: “I dati, se si reputano affidabili le 38 morti dichiarate, parlano chiaro: nel 2012, ogni giorno ci sono 0,29 suicidi per motivi economici, contro lo 0,51 del 2010 e lo 0,54 del 2009. Nessuna epidemia suicida in corso, almeno finora. Per valutare davvero la situazione, si dovrà aspettare”. Secondo l’Istat, nel 2008 i suicidi per motivi economici sono stati 150 su 2.828 casi; nel 2009 198 su 2.986; nel 2010 187 su 3.048. “Rispetto al totale – scriveva Daniela Cipolloni – questi atti rappresentano il 5,3% di tutti i suicidi nel 2008, il 6,6% nel 2009 e il 6,1% nel 2010. La variazione percentuale, insomma, appare minima”. Su La Repubblica, il sociologo Marzio Barbagli era lapidario: “Non c’ è nessuna emergenza suicidi dovuta alla crisi economica […] L’ impulso ad aggrapparsi alla crisi per spiegare un suicidio per certi versi è una reazione umana, che rende il gesto più accettabile”. Barbagli avvertiva anche del pericolo insito nell’effetto emulativo:

Dare risalto a queste storie porta all'”effetto Werther”, dal nome del protagonista suicida del libro di Goethe. Alla fine del diciottesimo secolo, alcune persone si uccisero e furono ritrovate con quel libro in mano. Oggi ci sono 56 studi internazionali che dimostrano l’ effetto emulazione. Nasce proprio dal modo in cui vengono diffuse queste notizie. Agisce non su chi già valutava il suicidio, ma su chi non ci pensava affatto. I media, tutti, dovrebbero essere più responsabili .

Insomma, affaire suicidi chiuso? Il 6 maggio Dario Di Vico, uno dei pochi giornalisti in Italia a occuparsi sistematicamente di “Piccoli” e “Invisibili” nel mondo del lavoro, ha descritto sul Corriere della Sera un “Paese emotivamente fragile” che “ha bisogno di capire subito cosa sta succedendo”, non potendo limitarsi a “a registrare passivamente le drammatiche notizie che un giorno arrivano da Romano di Lombardia e l’altro invece da Pozzuoli e da Enna”, dal momento che “una comunità per essere viva ha bisogno di sentirsi protagonista del suo destino”.

Raccogliendo idealmente l’invito di Di Vico, Giulio Sapelli (professore ordinario di Storia economica all’Università degli Studi di Milano) e Lodovico Festa (giornalista e analista politico) hanno cercato di analizzare il tema dei suicidi in un breve ebook intitolato “L’Italia che si uccide” (edizioni goWare). Nell’introduzione i due autori spiegano di voler impostare il focus sulla valutazione qualitativa del fenomeno, piuttosto che sulla sua mera dimensione quantitativa. “La statistica – afferma Sapelli – non basta più: serve la storia, la psicologia, la riflessione antropologica”.

Schei & solitudine

Il maggior pregio dell’ebook, a mio avviso, è quello di muoversi entro tre linee direttrici, ossia: i suicidi dei piccoli e medi imprenditori nelle comunità locali italiane; quelli avvenuti nel colosso delle telecomunicazioni France Télécom; e infine i suicidi in Grecia. Per quanto riguarda il primo caso, Sapelli cita (inevitabilmente) Durkheim e definisce “anomici” i suicidi dei piccoli imprenditori e artigiani.

Non conta solo la miseria, non conta solo la sofferenza sociale, non è importante solo la mancanza di solidarietà. O meglio non sono questi gli elementi scatenanti. Nel caso del suicidio anomico agisce sulla spiritualità della persona la mancanza di ogni valore che la ispiri nella condotta di ogni giorno. […] L’improvviso cambiamento, quale che sia, distrugge valori consolidati e frantuma credenze profonde. La più importante, per la persona, è la credenza e la speranza che la società non l’abbandoni mai nei momenti topici della vita. […] Quando l’altro scompare, quando la freddezza della regola burocratica scardina il vivere quotidiano, quando non ho ascolto, allora mi accascio dinanzi a questa sorta di autismo della società tutta.

Lodovico Festa, dal canto suo, scrive:

Siamo di fronte a suicidi morali che richiamano i doveri della società e dunque della politica. Questo spiega anche come queste terribili tragedie non siano accompagnate dal tradizionale compassionevole silenzio di familiari, amici e colleghi, impegnati a elaborare non solo un lutto ma anche la propria sconfitta di non essere stati in grado di stare al fianco di una persona cara a sua volta sconfitta. No, l’ambiente degli imprenditori suicidi coglie il senso morale e collettivo di un atto in sé terribile ma espressione di una difesa della dignità che non va dispersa.

A questo proposito è utile ricordare le storie degli imprenditori veneti Giovanni Schiavon e Antonio Tamiozzo, che si sono tolti la vita alla fine del 2011. Il primo si è sparato un colpo in testa nell’ufficio della sua Eurostrade 90: oltre ai debiti, vantava un credito di più di 200mila euro nei confronti della pubblica amministrazione. Il secondo si è impiccato il giorno di Capodanno nel capannone della sua azienda. Commentando questi fatti, lo scrittore Ferdinando Camon non ha escluso che in queste morti “sia compresa anche la volontà più o meno inconscia di far apparire il debitore, cioè lo Stato, come un assassino, come responsabile, che ci sia la volontà di buttare il proprio corpo ucciso in modo che venga sentito da tutti come un delitto commesso dall’ente statale che non ha pagato”.

Il 28 marzo 2012 la Filca-Cisl ha organizzato un incontro pubblico a Vigonza (Padova) in cui erano presenti anche le figlie dei due imprenditori, Flavia Schiavon e Laura Tamiozzo. Quest’ultima ha letto una lettera (ampiamente citata nell’ebook) indirizzata alla figlia di Schiavon e fino ad allora rimasta privata:

Mio padre ha sempre vissuto per l’azienda, è sempre stato il suo valore più grande. Si sentiva responsabile nei confronti dei suoi dipendenti e delle loro famiglie, loro dovevano sempre percepire lo stipendio, era la loro certezza e questa certezza non doveva mai venire meno. […] Da quando è iniziata questa crisi «mondiale» il papà non è stato più lo stesso. Il modo di lavorare è cambiato, ci siamo trovati di fronte, sempre più spesso, a persone che, dopo aver commissionato i lavori, non hanno più provveduto a pagare i conti, chi per un motivo, chi per un altro. […] Mio padre è morto per amore, per amore della sua azienda e specialmente nei confronti dei suoi dipendenti; viveva con il terrore di tradirli, di non essere in grado di pagare loro gli stipendi. Questo pensiero lo logorava, finché non ha più retto. […] Ho letto un articolo, una tua intervista, in cui dichiari che avete scritto una lettera a Monti ma non avete avuto alcun riscontro. Che male che fa sentire questo! Purtroppo mi viene da dire: «siamo soli». Stiamo lottando contro i mulini a vento, nessuno ci da retta, a nessuno interessa di noi.

Questo sentimento d’isolamento e di lontananza dalle istituzioni, secondo Sapelli, “è quello che genera la disperazione”. Ma c’è anche la responsabilità sociale sentita dall’imprenditore, nonché il fondamentale giudizio della comunità – una comunità “avvolgente” che “ti protegge ma anche ti giudica se non assolvi i tuoi doveri” e che esercita una “pressione morale” decisiva. Questi temi sono particolarmente sentiti in Veneto, dove, come puntualizza Camon, “la spartizione del lavoro diventa spartizione della vita. Quando l’azienda entra in crisi il padrone soffre a dismisura il non poter pagare i suoi dipendenti e vederli in ristrettezze. Una buona parte dei suicidi è avvenuta anche per questa ragione. Non è una ragione marxiana che sta nell’economia. È una ragione freudiana che sta nel sentimento, nel particolare rapporto per cui il padrone sente la vita del dipendente come una prosecuzione della propria vita, e sente le famiglie dei dipendenti come una protesi della sua famiglia”.

Tuttavia, ed è un aspetto che i due autori sottovalutano (o ignorano), in una società fortemente “laburista” come quella veneta, gli schei (i soldi) sono al vertice della piramide. “La cultura e la felicità non contano niente. Gli schei sono tutto – spiega Camon – Il piccolo imprenditore indebitato non è in una crisi economica: è in una crisi totale. Nervosa, morale, mentale. Si suicida per quello. Perché gli schei sono l’unico valore, e se la tua vita è deficitaria in quel valore, non val più la pena di vivere. Gli schei sono un valore onnicomprensivo”.

Paura e disgusto a France Télécom

Se dunque i suicidi dei piccoli imprenditori sono il sintomo di “una malattia della politica intrecciata a quella della società”, il caso France Télécom ci parla di una “patologia dell’impresa” vittima “dell’approccio ideologico all’innovazione”. Nel 2004 il governo francese decide di privatizzare l’azienda pubblica. In quello stesso anno duecento tra quadri e dirigenti si riuniscono a Parigi per un convegno. Didier Lombard, l’allora amministratore delegato, si rivolge alla platea con queste parole: “Vi avverto: le cose stanno per cambiare! Vi presento la mia nuova squadra. […] D’ora in poi faremo ‘il buono, il brutto e il cattivo’. Il buono non c’è più. Il brutto – indicando Louis-Pierre Wenes, numero due dell’azienda – è lui. Ed il cattivo – indicando Oliver Barberot, direttore delle risorse umane – eccolo qui!”

Inizia così una politica di ristrutturazione feroce e spietata. Tagli selvaggi al personale, mobilità esasperata per i quadri, sovraccarico di lavoro (spesso impostato su obiettivi irraggiungibili), terrore, competitività furiosa e odio che serpeggia incontrollabile tra i colleghi. Un ex direttore regionale di France Télécom ha raccontato a Les Inrockuptibles un episodio accadutogli nel 2006. Una donna, sua sottoposta gerarchica, si presenta nell’ufficio e si rivolge a lui in tono minaccioso: “Mi hanno mandato dai piani alti per dirti che tu non devi aspettarti più nulla da questa azienda. Faremo di tutto per farti andare via, e se non lo fai, ti distruggeremo!” Tra il gennaio 2008 e l’aprile del 2011 si uccidono più di 60 dipendenti. Un quadro dirigente, Michel D, si suicida il 14 luglio 2009 e lascia un biglietto a familiari e colleghi:

Mi uccido a causa del mio lavoro a France Télécom. È l’unico motivo. Urgenza permanente, sovraccarico di lavoro, assenza di formazione, disorganizzazione totale dell’azienda: questo mi ha completamente disorganizzato e perturbato. Sono diventato un relitto, meglio farla finita. PS. So che molte persone diranno che esistono altre cause (sono solo, non sposato, senza bambini). Alcuni insinueranno che non accettavo d’invecchiare. Ma no, con tutto questo mi sono arrangiato abbastanza bene. L’unica causa è il lavoro.

Nello spiegare questi suicidi, Sapelli scrive che i quadri – nonostante la privatizzazione – continuassero a percepirsi come funzionari pubblici (“Non solo un ruolo produttivo ma una sorta di prestigio sociale particolarmente rispettato da una nazione che ‘vuole bene’ alle sue istituzioni”) e a provare “un vincolo di lealtà e appartenenza” all’azienda “che andava ben oltre allo svolgere una mansione più o meno ben retribuita”. La riorganizzazione di France Télécom, tuttavia, è stata fatta in maniera crudele, tramite soluzioni standardizzate “elaborate frettolosamente su modelli americani” che hanno trascurato “le condizioni concrete dell’azienda, i valori incorporati dai quadri, le sofferenze che si producevano fra un personale mosso innanzi tutto da un senso di fedeltà”.

Risultato: “vite intere sconvolte senza metodo e sensibilità”.

La risposta di questi aristocratici “cadres” è da samurai. Per fortuna resistono alla tentazione di sgozzare la signorina che li inquisisce – la dignità da funzionario dello Stato francese li trattiene – e si dividono tra quelli più depressi che se ne tornano a casa e si impiccano, e quelli più disperati per il torto subito che arrivano a farsi harakiri – appunto come samurai – nella sala del consiglio d’amministrazione.

Sapelli individua una differenza di comportamento abissale tra le istituzioni francesi e quelle italiane. Per diversi mesi i vertici dell’azienda hanno parlato di “moda dei suicidi”. Questo linguaggio sprezzante ha provocato un’ondata d’indignazione a tutti i livelli: “La grande stampa borghese, con ‘Le Figaro’ in testa, ha svillaneggiato questi vertici di FT; la società si è mobilitata, il governo è intervenuto; nonostante l’impresa sia ormai ‘privata’, il piano di ristrutturazione è stato momentaneamente sospeso, il numero due della compagnia Louis-Pierre Wenes è stato sostituito. Ma il fatto più interessante è che le élite francesi hanno colto la drammaticità del fenomeno”.

Grecia: “fame da disperazione metropolitana”

Il caso greco si discosta sensibilmente da quello italiano e francese. I due autori parlano di fenomeno “esploso in questi ultimi anni con particolare forza”. Un articolo del Guardian di qualche tempo fa riportava un aumento del 40% nella prima metà del 2010. Nel 2011 i casi di suicidio si aggirano intorno ai 5 ogni 100.000 persone.

Anche qui i numeri vanno maneggiati con estrema cura. Uno studio della rivista medica Lancet ha analizzato il tasso di suicidio in Grecia dal 1960 fino al 2009. Dal 1975 al 1985 si è assistito a un incremento nei suicidi – da 2.8 a 4.0 casi ogni 100mila persone. Nel periodo 2000-2009, il tasso è rimasto pressoché invariato intorno al 3.5. Nel 2009, anno d’inizio della recessione, i suicidi sono stati 391. Tuttavia, ce ne sono stati di più negli anni 2005-2006, rispettivamente 400 e 402.

Conclusione di Lancet: “Finora non ci sono dati per supportare un nesso causale tra crisi economica e suicidi”. Bisognerà aspettare anni per avere i dati definitivi. È innegabile, però, che ci siano stati casi clamorosi – su tutti quello del farmacista in pensione Dimitris Christoulas, uccisosi il 4 aprile a piazza Syntagma (centro nevralgico di Atene) con un colpo di pistola. Un suicidio eminentemente politico, come si può evincere dal biglietto d’addio:

Il governo di Tsolakoglou ha azzerato ogni traccia della mia sopravvivenza, che si basava su una pensione molto dignitosa che da solo avevo versato senza alcun aiuto dallo Stato. Dal momento che la mia età avanzata non mi permette di reagire in maniera dinamica (ma se un compagno greco decidesse di imbracciare un Kalashnikov io sarei dietro di lui), non vedo altra soluzione che quella di farla finita in maniera dignitosa, dal momento che non mi vedo a rovistare tra le immondizie per mangiare. Credo che i giovani senza futuro prima o poi prenderanno le armi e impiccheranno i traditori di questo paese in Piazza Syntagma, proprio come hanno fatto gli italiani con Mussolini nel 1945.

Per Sapelli, quello di Christoulas è “un terribile caso di povertà metropolitana” che tuttavia non spiega il fenomeno ellenico. Nonostante sia il paese dell’Eurozona più colpito dalla crisi, il tasso dei suicidi in Grecia è il più basso d’Europa.

Come mai? Per Sapelli è fondamentale la “strutturazione in comunità” della società greca:

Come spiegava un altro mio grande maestro, Kemal Karpat, alcune grandi metropoli mediterranee, come Istanbul o Atene, non sono fenomeni di urbanizzazione della popolazione contadina, bensì al contrario di ruralizzazione delle aree urbane: i quartieri corrispondono ai villaggi e al loro interno si festeggia il santo dell’antica comunità di provenienza. Anche nella città si conservano i valori tradizionali: si consideri l’usanza della dote, il sistematico sforzo della famiglie per consentire, anche dal lato economico, alle figlie di sposarsi. Il retroterra della campagna, arricchito dalle ville costruite coi redditi da emigrazione che in qualche modo tornano alla “comunità”,  ha subito funzionato quando la crisi si è inasprita, e non è solo patrimoniale il sostegno bensì anche spirituale. Questo contesto spiega perché i suicidi sono ancora statisticamente inferiori rispetto ad altre società ben più ricche, ma deve essere analizzato bene perché rende più difficile credere che la pura fame da disperazione metropolitana spieghi tutto.

Verso la disgregazione

Come visto in precedenza, nel caso France Télécom le élite del Paese hanno reagito compatte. Quelle nostrane – formate da “furbacchioni che si occupano di affari” e da “tecnici astratti, lontani dal popolo e dalla società, portatori di un cosmopolitismo a-nazionale” – costituiscono invece il principale “impaccio a quella riforma dello Stato che consenta di far entrare fino in fondo nella vita delle istituzioni la nostra società”:

Il nostro Stato, dai Savoia ai fascisti, fino a una democrazia repubblicana ingabbiata dalla guerra civile europea (quella che va dal 1914 alla fine dell’Unione sovietica nel 1991), ha basi sociali inadeguate e istituzioni che ne ostacolano l’allargamento perché i vari compromessi oligarchici di interessi, élite e corpi separati dello Stato vi si oppongono. Né le contrapposizioni anarcoidi che spingono a una modifica dello Stato sono riuscite a esprimere sinora un’adeguata capacità riformatrice. Quando parliamo di una crisi in cui cittadini “virtuosi” si sentono isolati da uno Stato lontano da loro e reagiscono persino con gesti disperati, parliamo di questa realtà.

Per gli autori, alcuni dei fattori decisivi che portano i piccoli imprenditori al suicidio vanno rintracciati nella crisi d’identità dello Stato e della politica, nella drammatica assenza di rappresentazione e nella “fragilità delle nostre élite, incapaci di assumersi un ruolo nazionale e speranzose che qualcuno risolverà questo problema al loro posto”.

Al di là di tutte le strumentalizzazioni politico-mediatiche, dunque, i suicidi affrontati nell’ebook rivelano un loro pesantissimo valore metaforico: “la dissoluzione di persone che avevano fatto dell’impegno costruttivo la loro scelta di vita, corrisponde a una possibile dissoluzione del nostro Stato e della nostra società”. E questi atti estremi, conclude Sapelli, ci ricordano anche un’altra cosa: “Non ci sono solo soluzioni ai problemi della Storia. Ci sono anche le catastrofi”.

Condividi

Drop the Hate / Commenti (5)

#1

Eliografo
Rilasciato il 22.07.12

Da relinkare e relikare a tutti i costi…

#2

John Blacksad
Rilasciato il 23.07.12

E’ molto fuori tema, ma non avendo twitter o facebook,
chiedo di poterlo lasciare qui.
Ho trovato un link di un sito molto interessante
sulla questione dei follower di Grillo
http://www.keinpfusch.net/2012/07/grilli-veri-e-falsi.html

#3

Digito Ergo Sum » Blog Archive » L’Orgia Del Suicidio | La Privata Repubblica
Rilasciato il 26.07.12

[…] L’Orgia Del Suicidio | La Privata Repubblica. Category: Uncategorized You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. […]

#4

Fabio
Rilasciato il 03.08.12

A proposito dei suicidi e crisi c’era stato anche un tentativo di fact checkink https://factchecking.civiclinks.it/it/search/?q=suicidi

(piccolo spazio autoreferenziale avevo scritto di suicidi tra carcere e crisi qui http://twileshare.com/obx )

@fabeor

#5

Fuori non c’è davvero un cazzo. Dentro, invece, c’è la morte | Valigia Blu
Rilasciato il 17.11.12

[…] è stato fatto da Giulio Sapelli e Lodovico Festa (con un ebook di qualche mese fa intitolato L’Italia che si uccide), che hanno analizzato il problema da una prospettiva qualitativa e non quantitativa. Ora ci prova […]

Fomenta la discussione

Tag permesse: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>