Canestri Nordcoreani

Pubblicato da Blicero il 5.09.2012

II. The Shot

Kim Jong Il si versa del cognac Hennessy nel bicchiere e scorre con le dita grassocce la collezione di videocassette delle partite dei Chicago Bulls. Finals 1997 contro i Jazz di Stockton e Malone, la serie 1986 contro i Celtics di Larry Bird, il primo titolo nel 1991, la serie contro i Cavaliers del 1989…Opta per quest’ultima. Gara 5, 7 maggio. Sono le quattro di notte e il Caro Leader infila la cassetta nel videoregistratore sorseggiando pigramente dalla coppa. Con il telecomando va direttamente alla fine della partita.

“Sellers [Bulls, nda] dalla rimessa”, dice il telecronista della Cbs. Il cronometro in basso a destra segna 3 secondi. Punteggio: 100 a 99 per i Cavs. Michael Jordan è all’altezza della linea dei tiri liberi, marcato da Craig Ehlo e Larry Nance. La stella dei Bulls si libera di Nance, riceve palla fuori dall’area e si butta in area palleggiando con la mano sinistra, seguito da Ehlo. Mancano 2 secondi. Totalmente sbilanciato, Jordan salta, resta in elevazione quel tanto che basta a far andare fuori ritmo Ehlo e rilascia la palla. “E segna! Sulla sirena! Michael Jordan ha fatto vincere Chicago!” grida in maniera estatica il telecronista. 101-100 per i Bulls. Craig Ehlo è per terra e guarda Jordan saltare in aria, esultante. Doug Collins, il coach di Chicago, corre in campo con le braccia alzate, il brivido della vittoria impresso sul volto. La serie è finita: i Bulls passano alle semifinali di Conference contro i New York Knicks di Pat Ewing. Il tiro di Jordan è entrato a far parte della storia dell’NBA come The Shot, il Tiro per eccellenza. E molti lo considerano l’inizio della dinastia dei Chicago Bulls.

Se quella partita si fosse giocata in Corea del Nord, il buzzer-beater di Jordan sarebbe valso 8 punti. Nel 1997, infatti, il basket nordcoreano venne rivoluzionato dall’introduzione di un nuovo regolamento. Oltre ai canestri da 8 punti (quelli segnati negli ultimi due secondi), ci sono anche i tiri da 3 che valgono 4 punti. Si possono verificare in due occasioni: la prima quando una tripla tocca soltanto la retina (quindi niente ferro/tabellone); la seconda quando il tiro è fatto da una distanza di 6,70 metri. Anche le schiacciate valgono 3 punti. Se una squadra commette più di 12 falli o un giocatore sbaglia un tiro libero, inoltre, si deve sottrarre un punto.

Durante la grande carestia degli anni ’90 – che si stima abbia causato circa un milione di morti – Kim Jong Il, diventato Presidente dopo la morte del padre, decise di lanciare la campagna “Diventa Alto” per promuovere la pallacanestro a livello nazionale. La multinazionale sudcoreana Hyundai si offrì di costruire nella capitale un modernissimo palazzetto di 12.300 posti dotato di maxischermi e aria condizionata (costo: 57 milioni di dollari). Oltre alle motivazioni diplomatiche ed economiche, il Caro Leader fece una simile scelta di politica sportiva perché era convinto che il basket avrebbe ridotto il gap di altezza tra i giovani nordcoreani e i corrispettivi sudcoreani.

Alcuni studi condotti sui profughi della Corea del Nord, infatti, hanno dimostrato che quest’ultimi, a causa di malnutrizione e altri fattori legati al sottosviluppo, sono più bassi degli abitanti della Corea del Sud di quasi sei centimetri. “Dovremmo far giocare a basket, e molto, i nostri giovani e i lavoratori”, disse il Caro Leader nel 2000. La stampa di regime affermò che gli studenti che giocano a basket crescono tra i 3 e 4 centimetri in più di quelli che praticano altri sport. E, sempre secondo i media di Pyongyang, la pallacanestro attiverebbe “centinaia di migliaia di cellule cerebrali al secondo” poiché richiede che le decisioni vengano prese nel più breve tempo possibile – e di continuo.

Il Caro Leader riguarda The Shot un paio di volte, finisce il cognac e si rammarica: sarebbe stato bello avere Jordan nel suo regno. Nel 2001 il governo nordcoreano, con il supporto di Samsung, aveva chiesto alla guardia dei Bulls di venire in Corea: quest’ultimo aveva opposto un gentile rifiuto. In compenso Jordan aveva firmato un pallone che il Segretario di Stato Madaleine Albright regalò a Kim Jong Il nell’ottobre del 2000, al termine di due giorni di colloqui. Bob Carlin, ex agente CIA e dipendente del Dipartimento di Stato, ha raccontato quei momenti allo Union Tribune di San Diego: “Eravamo in cerca di qualcosa che fosse un po’ più importante di una bottiglia di scotch, una miniatura della Statua della Libertà o un libro di Buffalo Bill – qualcosa che per lui [Kim Jong Il, nda] avesse un significato. All’inizio poteva anche essere sorpreso, ma si vedeva che gli aveva fatto piacere. Anzi, credo che nemmeno che se lo aspettasse”. La palla è ora esposta in una teca all”Esposizione Internationale dell’Amicizia”, un complesso situato dentro il monte Myohyang che raccoglie tutti i regali (oltre 100mila, si dice) di capi di Stato e personalità ricevuti da Kim Il Sung e Kim Jong Il. Tra i vari cadeau si segnalano il fucile da caccia di Putin, una limousine di Stalin e un facocero imbalsamato donato dal dittatore dello Zimbawbe Robert Mugabe.

Probabilmente, il regalo della Albright è stato il culmine nella relazioni tra i due paesi. Dopo il primo raffreddamento nelle tensioni diplomatiche tra Corea del Nord e Stati Uniti del 1992 e la visita di Jimmy Carter nel 1994, nell’ottobre dello stesso anno venne firmato l’Agreed Framework (che coinvolgeva anche la Corea del Sud), un trattato bilaterale che nelle intenzioni americane avrebbe dovuto “normalizzare le relazioni politiche e diplomatiche” tra Washington e Pyongyang ed eliminare del tutto la minaccia nucleare proveniente dal regime. L’accordo prevedeva, da parte nordcoreana, la chiusura dell’impianto di Yongbyon, il congelamento del programma di arricchimento dell’uranio e il libero accesso agli impianti per gli ispettori dell’AIEA. L’impegno americano e sudcoreano, invece, consisteva nella costruzione di due reattori nucleari ad acqua leggera, fornitura di petrolio, alleggerimento delle sanzioni economiche e invio di aiuti umanitari.

Nonostante l’apparente buona volontà delle parti in causa, l’Agreed Framework non venne mai implementato a dovere a causa di complicanze burocratiche e scarsa volontà politica. Con l’avvento dell’amministrazione Bush, il Trattato deragliò nel giro di pochissimo in un vortice di sospetti e accuse reciproche. Stephen Bosworth (il primo direttore generale di KEDO, la società creata da USA, Giappone e Corea del Sud che avrebbe dovuto costruire i due reattori) dichiarò nel 2003 che l’Agreed Framework “era rimasto politicamente orfano due settimane dopo la firma” a causa del cambio di maggioranza (dai Democratici ai Repubblicani) al Congresso. Il viceministro degli esteri Choe Su Hon, intervistato sempre nel 2003 da Der Spiegel, accusò gli Stati Uniti di “aver deliberatamente violato il trattato. I nuovi reattori dovrebbero già essere operativi, mentre non hanno neppure iniziato la costruzione. […] L’amministrazione Bush vuole soggiogarci. Vuole demilitarizzarci ed estinguere il nostro sistema politico”.

Gli Stati Uniti, di contro, erano convinti che Pyongyang, sotto la copertura della cooperazione, stesse segretamente portando avanti la costruzione di testate nucleari grazie all’aiuto del Pakistan. Non appena la Cia riuscì a raccogliere le prove, nell’ottobre del 2002 il diplomatico James Kelly (incaricato da Bush di portare avanti i negoziati) le mostrò alle controparti nordcoreane. Queste, in uno scatto d’ira, ammisero l’esistenza del programma nucleare. I rapporti cessarono bruscamente: gli Stati Uniti tagliarono gli aiuti; la Corea del Nord cacciò gli ispettori dell’AIEA ed uscì dal Trattato di Non proliferazione nucleare.

Per qualche anno non si seppe più nulla sugli armamenti nordcoreani. Il 9 ottobre 2006 l’agenzia di stampa del regime annunciò enfaticamente: “La sezione di ricerca scientifica ha condotto con successo un test atomico sotterraneo […] Il test nucleare è un evento storico che ha portato felicità all’esercito e alla popolazione.” L’esperimento atomico (su cui l’intelligence americana e sudcoreana hanno sempre nutrito dei dubbi) sarebbe stato condotto nella contea di Kalju, forse in un tunnel scavato nel cuore di una collina.

La comunità internazionale reagì con orrore e preoccupazione alla notizia. Bush parlò di “provocazione” e “minaccia inaccettabile per la pace e la sicurezza” mondiale, mentre per i Repubblicani la colpa era tutta da addossare alla vacuità della basketball diplomacy clintoniana. Per il settimanale Panorama, invece, il test rappresentava “l’estremo tentativo di allontanare il giorno del cambio di regime e di ricompattare il fronte interno dinanzi all’implosione del paese”.

Ma forse era ancora valido quello che disse l’allora senatore repubblicano Rick Santorum dopo uno dei primi test missilistici di Pyongyang: “Kim non vuole morire. Vuole guardare l’NBA”.

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Drop the Hate / Commenti (3)

#1

Fede
Rilasciato il 05.09.12

Il basket come chiave di lettura dei rapporti diplomatici fra USA e Corea del Nord negli ultimi 25 anni. Davvero un’idea ottima.

#2

Melissa P2
Rilasciato il 06.09.12

Il commento sopra sa di presa per culo.
Hans Blix <3

#3

Fede
Rilasciato il 06.09.12

No, ero serio. L’articolo mi è piaciuto molto.
Come quasi tutti gli articoli presenti su questo sito.

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