Giochi Sacri

Pubblicato da Blicero il 1.06.2008

La Grande Partita è infinita, non conosce sosta. Se fermata o circoscritta o bloccata, immediatamente si rigenera, riprendendo il suo naturale corso. Il grande gioco si snoda tra le strade impolverate di Bombay, lerce e brulicanti di vita e di morte, tra i missili che piovono al confine tra India e Pakistan, tra guerre striscianti e umiliazioni decennali, tra ambigue operazioni di intelligence, tra capimafia al servizio della ragion di Stato, tra poliziotti corrotti & collusi e tra poliziotti onesti ma disillusi, il tutto all’ombra minacciosa dell’arcobaleno della gravità nucleare. Tutti i giochi sono sacri.

Il ponderoso libro (più di mille pagine) di Vikram Chandra è un’opera complessa, così com’è articolata la storia che si accinge a narrare. Strutturata come un mandala buddista/indù (disegno composto dall’associazione di diverse figure geometriche), la trama inizialmente segue i canoni della crime novel, vera e propria detective story di poliziotti e bhai (termine indù per boss). Ma è solo un pretesto: l’autore progressivamente ne abbandona gli stilemi, biforcando la storia principale (l’incontro tra l’ispettore Sartaj Singh ed il capomafia Ganesh Gaitonde, l’unico personaggio a cui è concesso il beneficio/maleficio della prima persona) ed incastonandola di inserti che raccontano storie lontane sia spazialmente che cronologicamente, ma tutte correlate a Bombay e soprattutto allo sfrenato disordine del mondo.

Mumbai è il fulcro di “Giochi sacri”. Città di una bellezza sfolgorante, quasi terrificante, continuamente rovinata dalle intemperie umane: inquinamento, aria fetida, povertà assoluta e diffusa, corruzione dilagante, criminalità spietata, intrecci perversi tra politici, imprenditori, mafiosi e star di Bollywood. Una città crivellata dal crimine, fino a marcire. Una metropoli moderna attraversata da frizioni religiose insanabili. Le persone che sono stanche di Bombay sono stanche della vita, e viceversa. Il sistema prevede una sola uscita: la morte. L’intelaiatura è sineddotica: Mumbai sta a dire India contemporanea, e India significa estremo occidente; violenza, economia liberista, sviluppo, espansione ed involuzioni fondamentaliste che sottendono ad una società frantumata, a partizionamenti forzati e ad estenuanti conflitti a bassa intensità (Kashmir su tutti).

La battaglia (il gioco) si svolge su due piani: uno contempla la caoticità del mondo, la sua imperfezione congenita, l’inevitabile dolorosità; l’altro prevede un’innaturale instaurazione di ordine e purezza. Il primo piano comporta scelte sofferte, poliedriche, situazioni di forte compromissione dettate dall’inevitabilità di quella particolare contingenza – che sia introspettiva, geopolitica, sentimentale o quant’altro.

E così l’ispettore Sartaj cerca di ricomporre la sua vita relazionale distrutta dal divorzio, di trovare una composizione tra la sua malinconica solitudine ed il suo innato romanticismo, di non soccombere alla corruzione stritolante; il boss Gaitonde cerca rimedi su Internet per aumentare i centrimetri del suo pene, mentre gradualmente acquisisce la consapevolezza tragica ed epica della sua figura; criminali in grado di rivoltare intere città si costruiscono universi morali di dubbia consistenza per fronteggiare la morte che tutto recide; puttanelle sfrontate giungono a Bombay in cerca di gloria, pronte ad arrampicarsi sulla scala del successo bollywoodiano; politici nazionalisti si accordano con la criminalità organizzata; spie fanno il doppio ed il triplo gioco; poveri istruiti si danno alla lotta armata, votandosi ad una rivoluzione impossibile, destinata ad essere tradita dai suoi adepti – tutto questo sullo sfondo di una partita enorme, larger than life, che inghiotte aspirazioni, emozioni, vite, uomini.

Il mondo, alla fine, è fatto di relazioni strettamente collegate tra loro, sfuggenti, quasi mistiche, come fa dire Chandra ad uno degli innumerevoli personaggi memorabili del libro (l’agente segreto K.D. Yadav):

A K.D. pare sempre di essere seduto nel ganglio di una rete dove si intersecano linee di energia che percorrono l’intero globo terrestre vibrando, girando su se stesse e cambiando forma. Basta percuotere una corda qui perchè a ventimila chilometri di distanza un uomo si accasci davanti a una porta.

Il secondo piano, invece, è quello più pericoloso. Il piano integralista in “Giochi sacri” prevede l’intima psicologia del terrore: “il progresso non può avvenire senza distruzione”. Il fondamentalismo religioso, splendidamente ritratto nel libro nella figura di Guruji (la guida spirituale di Gaitonde), non può prescindere dal subbuglio atomico: “Ogni età dell’oro deve essere preceduta da un’apocalisse”.

L’immagine terrificante, l’intimidazione della bomba (questione evidentemente sentita in un paese che possiede l’atomica ed è a sua volta circondato da paesi che la possiedono), lo smantellamento totale della civiltà costituita arriva a scuotere persino il bhai Ganesh – cioè ad atterrire persino Mumbai, impotente di fronte all’incanto terrificante della depurazione finale:

Immaginai questa città-formicaio divorato dal fuoco che crollava, annerita, si dibatteva e infine spariva. Questi milioni di anime alla deriva conducevano piccole vite miserabili. Dopo che se ne fossero andati, dopo che il vento purificatore avesse spazzato via non solo questa città, ma tutte le altre, ci sarebbe stato spazio per un nuovo inizio.

Mille e più pagine di immersione in un affresco letterario tenuto insieme dall’abilità di Chandra, dipinto tramite una scrittura impregnata di termini indù non tradotti (fondamentale il glossario in appendice) e di descrizioni ambientali e cittadine che rasentano il lirismo, di sapori acri e forti come la cucina indiana e di esistenze che danzano incontrollabili, ora scontrandosi, ora confluendo l’una nell’altra, ora annientandosi, ora scomparendo.

Per essere bravi a questo gioco, bisognava sapere come comportarsi con i criminali, e lasciargli compiere azioni malvagie il cui risultato, alla fine, aveva qualcosa di buono. Era necessario. Solo chi non era mai stato su un vero campo di battaglia pretendeva virtù immacolate e azioni pure. Sul campo, tutte le azioni seguivano una morale provvisoria, mentre invece il gioco era eterno.”

Paisa vasul. Lo spettacolo è valso il prezzo del biglietto.

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Drop the Hate / Commenti (1)

#1

Lo Stato Che Era Giovedì - La Privata Repubblica
Rilasciato il 24.02.11

[…] questa, per usare le parole di Vikram Chandra, è la Grande Partita infinita, senza sosta, che se bloccata o circoscritta riprende il suo corso […]

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