Come Orbanizzare Un Paese E Vivere Felici

Pubblicato da Blicero il 26.10.2011

Scriveva Elias Canetti: “Nel giornale si trova tutto. Basta leggerlo con sufficiente odio”. Un aforisma che in Ungheria, negli ultimi mesi, è diventato programma di governo. Tanto da far approvare una tra le leggi sull’informazione più restrittive che si siano viste in Europa dai roghi a Berlino negli anni ’30 del secolo scorso o dal sistema integrato di censura/intercettazioni targato DDR. Lo scorso 20 dicembre il parlamento magiaro, del quale il partito di centrodestra Fidesz (Unione Civica Ungherese) del premier Viktor Orbán detiene i due terzi, ha approvato un provvedimento di 170 pagine che consente all’esecutivo un ampio controllo su tutti gli organi di informazione, a partire dalle televisione per arrivare addirittura ai blog stranieri accessibili da Internet.

Al centro delle critiche piovute da tutta Europa e dall’Unione Europea, di cui l’Ungheria dal primo gennaio è la presidente di turno, c’è il meccanismo di supervisione accordato all’esecutivo. La legge prevede infatti la creazione di un’autorità governativa, l’Autorità Nazionale delle Telecomunicazioni, nominata da Fidesz (che ha subito provveduto ad infilare i suoi membri nei posti chiave) con il potere di comminare multe fino a 950mila euro a tutti i media in casi di “violazioni dell’interesse pubblico”, “non bilanciamento” dei servizi e “offese ai diritti umani e al buon senso” – formule talmente vaghe da spingere la discrezionalità del governo a livelli sovietico-autoritari.

Il giorno dell’approvazione l’opposizione si era presentata in parlamento con la bocca tappata dallo scotch, mentre alcuni giornali erano andati in edicola con la prima pagina bianca. Orbán, dal canto suo, si era affrettato a rassicurare i dubbiosi: il governo non userà in maniera arbitraria i suoi nuovi poteri modello János Kádár, l’ex segretario generale del Partito Comunista ungherese. Nessuno, ovviamente, ci aveva creduto. E infatti, quando un giornalista della radio pubblica MR1-Kossuth ha fatto un minuto di silenzio durante la trasmissione in segno di protesta, se ne è avuta subito la riprova: il sovversivo è stato sospeso in un battito di ciglia.

A fronte delle minacce di procedura d’infrazione, il 16 febbraio Budapest ha ceduto alle pressioni dell’Unione Europea accettando di modificare la contestata legge nei quattro punti di maggior criticità, relativi all’obiettività dei servizi giornalistici, alle sanzioni, alle regole per la registrazione dei media e alla libertà di espressione. Neelie Kroes, vice presidente della Commissione, si è detta soddisfatta e desiderosa di ”lavorare con le autorità ungheresi per assicurare che i cambiamenti concordati siano davvero inseriti nella legislazione vigente in Ungheria”. Il quotidiano ungherese più diffuso, Nepszabadsag, ha tuttavia avvertito che queste modifiche non bastano: “‘Siamo contenti di constatare che quattro punti importanti saranno modificati dal governo ungherese in seguito all’accordo con Bruxelles, ma riteniamo che questi emendamenti siano insufficienti e che la situazione di base non cambi affatto. Verranno modificati quattro paragrafi di una legge che ne prevede 226”.

Ma come ha fatto una legge del genere a vedere la luce in un paese che nel 1956 era sceso in piazza contro i carri armati sovietici e che dopo il 1989 era considerato il modello di sviluppo democratico più sostenibile dell’area est-europea post comunista? Sarebbe estremamente semplice, comodo e perversamente rassicurante addossare tutte le responsabilità alle frange più radicali e populiste dell’iperconservatorismo, su tutte Jobbik, il partito xenofobo e fascistoide alleato di Fidesz che alle ultime elezioni di aprile ha preso il 17% dei voti e può anche contare su una sorta di milizia paramilitare dotata di divise simili a quelle del Partito della Freccia di Ferenc Szálasi (il partito fascista ungherese che governò il paese tra il 1944 e il 1945, sotto l’occupazione sovietica). Ma le ragioni sono molteplici. E i colpevoli più di uno.

Anzitutto, c’è il vero e proprio suicidio politico del Partito Socialista Ungherese, ininterrottamente al potere dal 2002 fino all’aprile del 2010 – quindi con enormi possibilità di promuovere politiche incisive, anche e soprattutto sul medio/lungo termine. In realtà, gli anni al governo sono andati nella direzione esattamente opposta: corruzione, nepotismo, incapacità, accidia e menzogne. Nel settembre del 2006 fu lo stesso Ferenc Gyurcsány, l’allora primo ministro socialista, a confermare gli istinti autodistruttivi della sinistra ungherese, quando la Magyar Rádió diffuse una registrazione audio di una riunione del partito in cui si dicevano cose di questo genere:

“Abbiamo mentito dalla mattina alla sera, non solo per un po’, ma per tanto tempo”; “È chiaro che quello che dicevamo non era vero”; “Negli ultimi quattro anni non abbiamo fatto nulla”; “Nessun Paese in Europa ha fatto cose tanto imprudenti come noi”; “Non potete citarmi un solo provvedimento significativo del governo di cui possiamo dirci orgogliosi, a parte il fatto che abbiamo mantenuto il potere”; “Se dovessimo rendere conto ai cittadini di quello che abbiamo fatto per quattro anni cosa diremmo? Il nostro Paese è sopravvissuto economicamente solo grazie alla provvidenza, all’abbondanza di denaro nell’economia mondiale e a centinaia di trucchetti”.

Era quasi scontato che ad approfittare di questa débâcle fosse Viktor Orbán e la sua Unione Civica Ungherese (Fidesz), vincitori assoluti con il 52,8% all’ultima tornata elettorale. Nato nella “città dei re” (Székesfehérvár) nel 1963 da una famiglia di estrazione sociale medio-bassa, si laurea in legge a Budapest e passa un anno a Oxford a specializzarsi in storia del liberalismo inglese. Fortemente anticomunista, nel 1988 è tra i fondatori di Fidesz, che allora si chiamava la “Lega dei giovani ungheresi”. Nel 1990 è eletto per la prima volta al parlamento nazionale, ma non riesce ad essere rieletto al turno successivo. In quegli anni lontano da Piazza Kossuth allinea il partito su posizioni nazionaliste, facendo leva in particolare sul mito della Grande Ungheria e sul complesso di inferiorità dei suoi connazionali derivante dal trattato del Trianon del 1920, che privò l’Ungheria (in quanto nazione sconfitta nella prima guerra mondiale) di due terzi del suo territorio.

Dal 1998 al 2002 è primo ministro, un’esperienza alquanto dimenticabile in cui non lascia alcun segno. Un articolo del settimanale tedesco “Der Spiegel” riporta la sua ossessione per i mezzi di comunicazione e il suo nemmeno troppo recondito desiderio di diventare un altro Berlusconi, seppur “senza gli scandali”. Appena eletto inizia la sua “rivoluzione” o – com’è più correttamente definita dalla stampa – “l’orbanizzazione” dell’Ungheria. Ridisegna interamente la mappa dei distretti elettorali per garantire al suo partito almeno il 95% alle elezioni comunali dello scorso ottobre. Modifica le regole di nomina dei giudici costituzionali. Piazza i suoi yes-man un po’ ovunque – addirittura alla Presidenza della Repubblica.

E ancora: epura i professori di sinistra dai posti pubblici; rimuove i direttori di teatro non abbastanza fedeli; promulga una legge sui media che farebbe impallidire quella nostrana sulle intercettazioni. E non ha alcuna intenzione di fermarsi. Probabilmente nemmeno di fronte all’Unione Europea. Gilles Deleuze diceva che “si vous êtes pris dans le rêve de l’autre, vous êtes foutu” – se rimanete intrappolati nei sogni dell’altro, siete fottuti. L’Ungheria sta seriamente rischiando di rimanere intrappolata nel sogno di un uomo che vuole diventare Berlusconi.

(Articolo originale del 18 febbraio, pubblicato su Giornalettismo)

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Drop the Hate / Commenti (3)

#1

Adrem
Rilasciato il 26.10.11

Davvero un eccellente esempio di quel che dovrebbe essere il giornalismo contemporaneo. Un affresco di cinque minuti dedicato a un Paese straniero del quale il lettore medio – ma anche medio-alto – non sa nulla (a meno che non sia direttamente interessato), con una miriade di fatti e notizie: ottimo!

#2

Stefano
Rilasciato il 27.10.11

Visto dalla Francia non pare che all’idolo di Orbàn possa battere per ancora troppo tempo il polso

#3

classe
Rilasciato il 31.10.11

Raga, occhio a questa frase:

“(il partito fascista ungherese che governò il paese tra il 1944 e il 1945, sotto l’occupazione sovietica).”

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