Le Tre Giornate Di Londra

Pubblicato da Giallo Giuman il 11.08.2011

I.

LONDRA – È la sera del 4 agosto, a Londra. Mark Duggan, 29 anni, viene ucciso dalla polizia all’interno di un taxi, durante un’indagine relativa al commercio illegale di armi nella comunità nera. Duggan aveva con sé un’arma, ma non si sa ancora con certezza come si siano svolti i fatti. Gli agenti di Scotland Yard in un primo momento hanno affermato di aver risposto al fuoco, ma le perizie balistiche della IPCC1 hanno confermato che non è andata così. Anche il profilo della vittima è controverso: secondo la polizia, Duggan faceva parte di una delle tante gang che popolano Londra. La sua famiglia tuttavia non è d’accordo e considera questa affermazione nient’altro che una calunnia. È difficile misurare con esattezza la veridicità delle versioni di entrambe le parti, dato che gli avvenimenti sono recentissimi ed il contesto è confuso e particolarmente compromesso dalla violenza.

Ci sono almeno tre prove concrete a favore della tesi della polizia. La prima riguarda il suo migliore amico, il rapper Kelvin Easton – ucciso a marzo, all’età di 23 anni, in un omicidio ancora irrisolto – che da tempo era sorvegliato in quanto sospettato di essere uno dei capi della Northstar Gang, o N17 (dal codice postale della zona), la gang di cui Duggan apparentemente faceva parte. La seconda, forse la più rilevante, è data dal fatto che le zone in cui la gang operava sono le stesse in cui sono avvenuti i primi scontri, cioè Tottenham Hale e Brixton. Infine, la terza si trova tra le foto del profilo pubblico Facebook di Duggan stesso, in cui viene ritratto mentre compie gesti riconducibili alla gang e indossando una t-shirt della stessa.

La famiglia offre un ritratto completamente diverso. Padre di tre figli, Kemani, di 10 anni, Kajaun, di 7, e Kahliya di 18 mesi, Mark Duggan viene descritto da sua moglie Simone come un brav’uomo di famiglia, una persona responsabile, cattolica e parte della comunità. La stessa, interrogata riguardo alle accuse rivolte al marito, dice che chiunque nasca in un distretto povero ha almeno un amico coinvolto in attività criminali (senza per questo essere egli stesso a sua volta un criminale), e soprattutto che la maglia indossata da Duggan nella foto è quella di un gruppo rap in cui militava il suo migliore amico.

Ad ogni modo, quello che è certo è che il 7 agosto, verso le cinque del pomeriggio, la famiglia di Duggan organizza una protesta pacifica di fronte alla stazione di polizia di Tottenham Hale, chiedendo di far luce sulla vicenda. Inizialmente prendono parte alla manifestazione un centinaio e mezzo di persone – numero che sarà destinato ad ingrossarsi nelle ore susseguenti. Le tensioni iniziano sin da subito, colpevole anche l’atteggiamento della polizia, che perquisisce una serie di giovani senza una reale motivazione. Quando una ragazza di sedici anni lancia un sasso verso il cordone della polizia, quest’ultima risponde in maniera piuttosto decisa e violenta: è l’inizio della rivolta. Vengono lanciate molotov e pietre, incendiate macchine, vandalizzati e saccheggiati diversi negozi. I “manifestanti” arrivano addirittura a colpire i vigili del fuoco che provano a domare l’incendio ai danni di un megastore di una famosa marca di tappeti. In un arco irrisorio di tempo, la situazione è completamente sfuggita di mano.

Il giorno dopo la rivolta si espande a macchia d’olio in varie parti periferiche di Londra, sia al sud (prima Brixton, poi Hackney e, quasi all’esterno, Croydon) che al nord (da Tottenham i disordini si allargano verso il centro della città, Wood Green, Manor House e Camden, e all’esterno, Lewisham) ed in modo del tutto imprevedibile. Anche quartieri decisamente posh, come Enfield, vengono presi di mira.

II.

Oggi il peggio sembra essere passato, quantomeno a Londra. Il malcontento però non è affatto svanito e le forme di solidarietà (su tutte i riot clean-up organizzati via Twitter e Facebook) non cancellano le tensioni sociali che, unite alla crisi economica-finanziaria che sta flagellando i mercati, fanno calare un velo cupezza su molti volti.

Ieri [9 agosto, nda], la tensione era di gran lunga più palpabile, dopo una notte in cui, anche nelle zone non considerate a rischio, il sonno era continuamente disturbato da sirene ed elicotteri, ed in cui qualsiasi ragazzino che camminasse con un cappuccio sulla testa, cosa di solito alquanto comune, veniva guardato con sospetto e timore. Di giorno invece una moltitudine di persone invadeva le strade, con più fretta del solito, magari impaurita che la metropolitana chiudesse in anticipo come la sera prima, o che alcuni negozi chiudessero del tutto.

È difficile immaginare di vivere i fatti di cronaca in prima persona, dopo averli letti a distanza, per quanto possano essere vicini. Abitando nella zona nord di Londra ho avuto modo di vedere coi miei occhi quello che stava avvenendo. I supermercati davano un ottimo quadro della situazione. Quello in cui sono entrato brulicava di gente, tanto che non c’erano più carrelli disponibili. Un supermercato enorme, aperto quotidianamente dalle nove di mattina alle nove di sera (festivi compresi), aveva invece deciso di aprire con un’ora di ritardo, anche se non sono riuscito ad appurare se fosse per paura di una ritorsione mattutina dei rivoltosi, cosa che tra l’altro stava avvenendo nello stesso momento in un Sainsbury di Manor House, o per preparare i commessi ad un’eventuale chiusura.

È stato comico il tempismo con cui, non appena ho chiesto ad uno dei commessi informazioni su una eventuale chiusura, gli altoparlanti hanno annunciato che per ragioni di sicurezza il supermercato andava sgomberato, invitando i clienti a recarsi immediatamente alle casse. Mentre aspettavo in coda tra persone di diverse classi sociali accomunati dal solo fatto di spingere carrelli stipati fino all’inverosimile, i commessi hanno cominciato a barricare le uscite. Un ulteriore messaggio invitava ad informare la security in caso di avvistamento di tipi sospetti. Anche il centro commerciale in cui è collocato il supermercato stava chiudendo, attorniato dai poliziotti. Quasi come un effetto domino, tutti i negozi limitrofi sbarravano le serrande.

“E’ colpa delle leggi” mi dice con rabbia Ahmet, un trentaduenne turco, commesso in un off license aperto 24/24. “Noi non possiamo difenderci. Se vai contro un manifestante che minaccia il tuo negozio, la legge dà ragione a lui”. La nostra conversazione viene interrotta dal passaggio di tre ragazzi con camicie, bandane e sciarpe a coprirgli il volto. Siamo a Holloway, nel cuore del distretto di Islington – più precisamente su Seven Sisters Road, la strada che collega il centro di Londra al distretto di Haringey. La strada finisce a Wood Green e si collega con Tottenham High Road, ad una fermata di metropolitana da Tottenham Hale, ma in meno di venti minuti si riesce generalmente a percorrere la stessa distanza a piedi.

Non ci sono dubbi sul fatto che Tottenham Hale sia una zona povera e disagiata, ma l’area non è paragonabile, ad esempio, alle banlieu parigine, formate da blocchi di cemento in mezzo al nulla, abbandonate a sé stesse. Vicino alla stazione ferroviaria (la prima che porta dall’aeroporto di Stansted a Liverpool Street), ci sono una serie di bellissimi parchi costeggiati da villette a schiera, che si distendono intorno ad una serie di laghi e fiumi artificiali. Le grandi strade sono costellate di alloggi unifamiliari e negozi di ogni genere, un tratto urbanistico comune a molte altre zone della periferia di Londra e, in generale, dell’Inghilterra. Holloway ne è un esempio lampante. Famoso per il suo mercato e per il nuovo stadio dell’Arsenal, il quartiere è generalmente un posto tranquillo, anche se in passato ha raggiunto vette di estrema violenza: nel 2009 la guerra tra varie gang di teenager armati di coltello ha lasciato sull’asfalto vari morti.

III.

“Il problema è che non c’è un popolo unito, lo vedi anche quando sei per strada o in metropolitana, la gente è completamente disinteressata. Se fosse avvenuta la stessa cosa in Turchia la gente si sarebbe rivoltata e, se la polizia non faceva nulla, avrebbe preso in mano la situazione”. A parlare è Samet, 55 anni, durante il cambio turno con Ahmet. I fatti, in effetti, gli danno ragione. Nella zona orientale di Londra gli unici che sono stati in grado di opporsi ai manifestanti sono stati proprio i commercianti turchi che, armati di bastoni e armi improvvisate, li hanno fatti fuggire a gambe levate ben prima dell’intervento della polizia.

È pure vero quello che diceva Ahmet: la legge permette solo di difenderti dentro al tuo negozio, in caso di pericolo di vita. Ma senza un’organizzazione alle spalle non è certo facile rispondere all’offensiva di un manipolo di persone armate ed incuranti. Diversi giornalisti se ne sono resi conto: alcuni sono stati picchiati, altri derubati (ad alcuni operatori della BBC è successo addirittura durante una diretta).

La disorganizzazione si ricollega direttamente all’atteggiamento dei funzionari di polizia e degli organi di stato. “Come mai non sono stati in grado di gestire/rendersi conto dell’importanza della situazione?” è la domanda più frequente nei tg nazionali. E certamente non è facile dare una risposta univoca. “Il loro atteggiamento crea solo più paura nella popolazione – prosegue Ahmet – guarda, sono lì, fermi di fronte ai negozi, tu pensi che la loro presenza serva a qualcosa? Ti senti protetto?”

Il commerciante del negozio di fronte, un giamaicano sulla trentina, ha chiuso le serrande e tiene la porta aperta. “Just in case”, mi dice sorridendo, e aggiunge: “Il fatto è che è un problema locale, non sai dove, come e quando potrebbe succedere, io e te potremmo alzarci la maglia sopra il naso uscire qui fuori ed iniziare una rivolta”. È relativamente facile organizzarsi in quartieri ad alta densità abitativa come questo, e basta un fischio per chiamare a raccolta un elevato numero di partecipanti. Se è indubbio che la polizia è intervenuta notevolmente in ritardo, c’è tuttavia da dire che la conformazione geografica ed urbanistica di Londra rende estremamente difficile la tattica di accerchiamento con cui generalmente si cerca di contenere le rivolte. Esiste anche il “Riot Act”, la legge che in certe condizioni permette l’isolamento di un gruppo di rivoltosi e addirittura l’uccisione degli stessi nel caso di permanenza nei luoghi della rivolta – ma fortunatamente la normativa è obsoleta e di fatto non più applicata.

Negli ultimi anni Londra ha vissuto diverse stagioni di violenza, l’ultima in ordine di tempo nel marzo di questo anno, nell’ambito delle manifestazioni contro i tagli dell’università. Il parallelo più evocato è quello con le rivolte degli anni Ottanta, avvenute negli stessi luoghi per motivazioni simili, ed anche con quanto avvenuto sei anni fa in Francia. Nella fenomenologia delle sommosse popolari, tuttavia, le tipologie si differenziano sensibilmente. Anzitutto, la conformazione urbanistica di Parigi e Londra è completamente diversa; e se la ragione principale delle rivolte degli anni Ottanta era la segregazione razziale (che aveva comportato una redistribuzione della popolazione migrante nelle aree più povere con conseguente creazione di ghetti) oggi l’integrazione a Londra è più avanzata che mai. Non a caso, la rivolta è sì scoppiata in quartieri specifici, ma poi si è propagata indiscriminatamente in ogni direzione, senza una logica di fondo facilmente individuabile.

La cosa che accomuna tutte queste rivolte non è solo l’elemento scatenante ma anche il risultato. Come spesso avviene, la violenza sorpassa e copre le legittime motivazioni iniziali. La frustrazione nel rapporto quotidiano con la polizia, le condizioni socio-economiche e la disoccupazione galoppante vengono fagocitati dalla furia nichilista di uno sfogo estemporaneo e ripiegato su sé stesso: gli obiettivi colpiti dal vandalismo sono totalmente casuali e la selettività dei saccheggi si rifà ad una logica consumistica e prettamente criminale – una situazione ben spiegata da un tweet dell’utentessa mslulurose: “The Youth of the Middle East rise up for basic freedoms. The Youth of London rise up for a HD ready 42” Plasma TV”.

Martin Luther King diceva che la rivolta è il linguaggio di chi non viene ascoltato. L’inquietante domanda che queste tre giornate londinesi lasciano alla città e all’Inghilterra (forse all’Europa intera?) potrebbe essere questa: tra i negozi in fiamme, le auto bruciate, le devastazioni, il rogo del magazzino di musica della Sony a Enfield, la disinformazione mediatica e le figuracce di David Cameron e Boris Johnson, che cosa è stato detto, esattamente?

(Immagini: Photoshoplooter)

  1. Independent Police Complaints Commission, la commissione indipendente della polizia incaricata di verificare i reclami dei cittadini. []

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Drop the Hate / Commenti (6)

#1

PM
Rilasciato il 11.08.11

Ho sentito fare paralleli con eventi simili, anche del recente passato londinese. Il fatto che la “rivolta” ha poi coinvolto anche altre città inglesi costituisce un elemento di diversità, un fatto nuovo? Oppure che tu sappia era già accaduto nelle precedenti occasioni?
Mi sembra significativo quello che hai scritto in merito alle divisioni tra la popolazione della città. Oggi vediamo schiere di pacifici menefreghisti (original londoners soprattutto) schierarsi a favore delle forze dell’ordine, per sedare al più presto le violenze, come per voler dimenticare tutto in fretta o svegliarsi da un brutto incubo. Mi dispiace tutto ciò perchè credo sia un atteggiamento di cieco scontro sociale, che non farà altro che rimandare una rivolta sempre più pesante. Ricordo un amico che, guardando le immagini del G8 a Genova disse: “Fosse per me prenderei una mitragliatrice e li ucciderei tutti”. Oggi muore di fame perchè la sua fabbrica è stata spostata in Cina. Shame, Shame on us.

#2

Charles Benson
Rilasciato il 11.08.11

Ieri nel mio commento avevo dimenticato
di aggiungere che dopo Syntagma,
ci stava bene che parlassi/parlaste di Londra:
neanche bisogno di dirlo,
e mi hai già preso in parola.

Penso che il commentatore precedente abbia risposto
alla lontana alla domanda finale
con questa frase abbastanza illuminante,
da mandare a memoria

“Ricordo un amico che, guardando le immagini del G8 a Genova disse:“Fosse per me prenderei una mitragliatrice e li ucciderei tutti”.
Oggi muore di fame perchè la sua fabbrica è stata spostata in Cina. Shame, Shame on us.”

Penso che comunque vada a finire,
Londra e l’Inghilterra se la siano
ampiamente cercata e meritata.
Trovo molto divertente il fatto che il governo
manderà molto probabilmente sbirri ed esercito
a militarizzare il più possibile le strade:
lo UK ha militarizzato il mondo intero
fino a mezzo secolo fa
e ora subirà la medicina che ha inferto
a tutti gli altri
(per quanto tra Indiani e Inglesi,
fra caste,stupri e idiozia congenita
ho finito per dare ragione ai secondi)

Devo correggerti però su Boris Johnson e Cameron:
non hanno fatto “figuracce”,
si sono semplicemente comportati
come i bulli vigliacchi e arroganti che sono;
non ci fosse stato Murdoch a sorreggerli,
sarebbero ancora a sfondarsi di cocaina
nei club di Chipping Norton (altro che)
http://ianbone.wordpress.com/2011/08/10/they-may-have-gone-to-their-earths-but-the-hounds-are-persuing-them-down
Ian Bone li descrive bene nell’articolo sopra

ma consiglio a tutti,
anche da un punto di vista bibliografico, di leggere
http://ianbone.wordpress.com/2011/08/10/like-a-summer-with-a-thousand-augusts

#3

Giallo
Rilasciato il 11.08.11

@PM: nell’85 fu il contrario prima scoppiò la rivolta a Brixton e poi Tottenham Hale ne ebbe un altra a distanza di una settimana (però dovuta a due morti distinte), mentre l’unico precedente è per le rivolte raziale del 1981 che iniziarono a Brixton e furono riprese a Leeds, Liverpool e Birmingham. Le uniche altre rivolte inglesi dal ‘900 ad oggi che accomurano più di una città sono quelle del 2001, che furono a Oldham, Bradford e Leeds, sempre per motivi razziali (seppur diversi da quelli di quelle dell’81). Penso che si possa considerare la novità del fenomeno quindi se si considerano le motivazioni delle precedente rivolte.
Quello che dici è profondamente vero, i vigilantes cittadini (che siano i chavs di Enfield o i turchi delle zone est) sottolineano ancora di più il clima di anarchia, paradossalmente, in qualche modo, usando lo stesso criterio dei manifestanti.

#4

PM
Rilasciato il 11.08.11

A Brick Lane 3 mesi fa una gang di 13enni pakistani ha spaccato il naso ad un mio amico solo perchè, a loro dire, li aveva guardati male; robe che succedevano solo in sicilia, e soltanto se c’era una fica di mezzo. Ma almeno in sicilia quando poi entri in un negozietto grondante sangue, i commessi ti aiutano, abituati come sono. In quell’occasione invece lo stesso pakistano che poteva esser il padre di quei bastardelli gli ha detto di andarsene, che gli sporcava il pavimento del suo fottuto take away. Capisci? Non otterrai pietà nemmeno da chi è agli strati più bassi della società, da chi magari ha subito le tue stesse angherie. Siamo cannibali ormai. L’importante è andare avanti, contronatura: vedi il tizio davanti a te che finisce sotto la metro, e te ne freghi, perchè non lo conoscevi neither.
Al di là dei motivi razziali che son sempre comodi per fomentare una rissa credo che sia proprio marcia la società inglese. Tutto troppo frenetico, tutto volatile, vite basate su dei numeri che scorrono su un monitor. La gente vive così freneticamente che appena ha un momento libero si va a disfare di jameson in qualche club, sperando di dimenticare tutto al più presto; usano questo metodo persino per dimenticare le tabelline. Faccio l’esempio dei “manager” in un ristorante di mia conoscenza: smontano all’una, alle due dal lavoro, e anche se devono pagare 30 pound (20 è il prezzo di una cena medium class) per godersi le ultime ore del locale che stà per chiudere, se ne sbattono altamente e pagano, fanno girare l’economia, perchè avranno un altra occasione di sentirsi liberi soltanto 6 giorni più tardi. E’ una società basata tutto basato sul ricatto. Guarda cosa dice Cameron, sembra una dittatura cilena: “Se non state buoni vi tolgo i diritti sociali” “Se non state buoni vi chiudo i social network” “Porteremo i colpevoli in tribunale” (se sai già che son colpevoli a che serve processarli? Fucilateli sul posto. E non è escluso che lo facciano) Non sò voi, ma quando sento questo tipo di stronzate pronunciate da un capo di Stato, mi vien voglia di scendere in strada e spaccare tutto.

#5

Ricky
Rilasciato il 11.08.11

Ciao a tutti,ho letto l’articolo in modo molto interessato e vorrei rispondere con una domanda alla frase inglese riguardante al saccheggio di negozi per i televisori..
Chi ha insegnato a questi “ribelli”che nella vita conta apparire e avere tanti bei oggetti?Non è forse figlia di questa società consumista il fatto che quei giovani abbiano invaso quei negozi?

Inoltre tengo a fare notare un semplice dato,facilmente constatabile:
Il 10% delle persone più ricche in Inghilterra detengono cento volte tanto rispetto al 10% delle persone povere..Cosa fareste voi?

“Tutti vedono la violenza del fiume in piena, nessuno vede la violenza degli argini che lo costringono.”Con questa frase(perla a mio avviso)concludo il mio intervento e vi auguro buonanotte ;)

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