Questa Non È Un’Uscita

Pubblicato da Blicero il 11.05.2008

Quando le tonache zafferano sfilarono all’ombra delle dolorose pagode birmane, lo scorso settembre, il mondo intero ebbe un sussulto. “Lo fanno per la democrazia! Viva la libertà! Supportiamo la rivoluzione mettendo un bel ribbon sui nostri blog, servirà tantissimo ai monaci!” Il risultato è noto: il moto popolare affogato nel sangue (come già era successo nel 1988), il flusso informativo paralizzato – si, persino nell’era di internet – e la Birmania schiacciata in maniera ancora più opprimente sotto il tallone d’acciaio della junta criminale.

Passati i mesi, la notizia finiva nell’oblio: i blogger toglievano i banner dalle loro colonne; la comunità internazionale tentennava, come al suo solito, senza riuscire ad imporre alcunchè ai generali; il regime si consolidava, preparando il prossimo referendum costituzionale farsa. Ora il Myanmar è un inferno sommerso dalla furia rabbiosa ed implacabile degli elementi. Il ciclone Nargys ha spazzato via interi villaggi di cartapesta, ha reclamato decine di migliaia di vite umane, ha reciso in maniera probabilmente definitiva il rapporto tra il paese ed il resto del mondo, già di per sè molto labile, e l’ha fatto precipitare in una crisi umanitaria gravissima, dagli esiti drammatici ed imprevedibili.

Lo sapevamo già, ma pazienza

Ovviamente la colpa del ciclone non può essere imputata ai militari. Ma la negligenza e l’impreparazione delittuose, quelle si. Nessun cittadino birmano sapeva infatti che cosa si sarebbe abbattuto sul delta dell’Irrawaddy. Nessuno sapeva che Rangoon e dintorni sarebbero diventati un cumulo acquitrinoso di macerie e di cadaveri.

Eppure già dal 29 aprile, tre giorni prima della tragedia, i bollettini della marina e dell’aviazione statunitensi avvertivano che una violenta tempesta si sarebbe abbattuta sul Myanmar sudoccidentale, così come aveva lanciato l’allarme, due giorni prima, anche il dipartimento meteorologico dell’India.

Ma i militari non si sono curati dell’allerta: a parte messaggi molto generici trasmessi alla televisione di stato, non è stata predisposta nessuna evacuazione, nessuna misura di precauzione o di prevenzione. Data la particolare conformità del terreno birmano e la fatiscenza delle infrastrutture, il dramma non aspettava altro che la sua consumazione.

Cartoline dall’inferno perduto

Quante anime si è portato via il ciclone Nargys? I numeri della junta vanno presi con le molle, perchè sono numeri dettati da una determinata agenda politica – quella dell’isolazionismo. Più morti equivalgono infatti ad una maggiore pressione internazionale. Le stime ufficiali (aggiornate al 7 maggio) si aggirano sui 27.000 morti; centinaia di migliaia sono le persone rimaste senza tetto; 42mila i dispersi. Ma sicuramente sono di più. Infinitamente di più.

Stando a quanto riporta la rivista Irrawaddy, solo nella zona tra Bogalay, Laputta, Mawlamyaing Gyun e Pyapon i morti sarebbero 80.000 e 700.000 le persone senza casa. La devastazione intorno al delta è totale, e si è spinta fino a Yangon (ex Rangoon, la capitale). Interi villaggi sono stati eradicati dalla faccia della terra. Alcune zone sono state cancellate totalmente dalle mappe. I campi di riso sono allagati (la zona colpita forniva il 65% della produzione nazionale), e sopra di essi fluttuano, sospesi nell’eternità della tragedia, corpi inermi ed in putrefazione che nessuno ha il coraggio di togliere.

Un medico volontario ha detto che sta scoppiando il colera. E non potrebbe essere altrimenti. Il rischio di epidemie è altissimo: misure igeniche inesistenti; l’acqua dei fiumi e dei ruscelli contaminata (l’unica acqua che i sopravvissuti riescono a bere in certe zone); carcasse di animali e cadaveri ovunque; l’elettricità un pallido e sbiadito ricordo; cibo e medicine un miraggio. A Yangon i prezzi dei beni primari sono andati alle stelle – un aumento superiore al 100%.

Condividi

Drop the Hate / Commenti (6)

#1

Last K's Voice
Rilasciato il 11.05.08

Purtroppo non c’e’ limite alle crudelta’ di una dittatura. Federico Rampini scrive che i generali birmani utilizzano gli aiuti umanitari spacchettandoli e rimpacchettandoli mettendo il loro simbolo (cosi’ che la popolazione creda li mandi il governo), ovviamente in questa operazione spariscono nelle tasche dei funzionari una certa parte di aiuti. Spero veramente l’Onu si dia da fare per entrare a portare gli aiuti del Pam, dovesse usare la forza, ma tanto non lo fara’. Sempre per quella storia del diritto di veto che blocca tutto alle Nazioni unite.

#2

LPR
Rilasciato il 11.05.08

Aggiornamento sulle cifre da corriere.it:

“Sarebbero almeno 220.000 le persone mancanti tuttora all’appello in Birmania dopo il passaggio del ciclone Nargis, il 2 maggio scorso: lo ha reso noto, con un comunicato ufficiale diffuso da Bangkok, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari. «Il numero di morti – aggiunge l’Onu – può andare dai 63.290 ai 101.68».”

#3

La Birmania dimenticata >> Terzo occhio.org
Rilasciato il 12.05.08

[…] C’era un tempo, che sembra ormai lontano, in cui la Birmania (Myanmar) sembrava essere qui vicino quasi dietro l’angolo. Su internet i blogger – sempre questi cazzo di blogger – urlavano/urlavamo l’uno più forte dell’altro per far capire a tutti gli altri che “io sono più solidale di te, tiè” – vedi il post di Kiappone. A quel tempo conveniva essere solidali, perchè i giornali ne parlavano. Oggi che la tragedia a Myanmar è ancora più grave tutti muti: 220.000 morti circa, blocco degli aiuti da parte degli USA. I giornali ne parlicchiano, dai telegiornali la Birmania-Myanmar è sparita. Oggi se non sei visibile, non esisti. Non avrei trovato parole migliori, per cui faccio mie le parole de [http://www.laprivatarepubblica.com]La Privata Repubblica[/url]:”Quando le tonache zafferano sfilarono all’ombra delle dolorose pagode birmane, lo scorso settembre, il mondo intero ebbe un sussulto. “Lo fanno per la democrazia! Viva la libertà! Supportiamo la rivoluzione mettendo un bel ribbon sui nostri blog, servirà tantissimo ai monaci!” Il risultato è noto: il moto popolare affogato nel sangue (come già era successo nel 1988), il flusso informativo paralizzato – si, persino nell’era di internet – e la Birmania schiacciata in maniera ancora più opprimente sotto il tallone d’acciaio della junta criminale.Passati i mesi, la notizia finiva nell’oblio: i blogger toglievano i banner dalle loro colonne; la comunità internazionale tentennava, come al suo solito, senza riuscire ad imporre alcunchè ai generali; il regime si consolidava, preparando il prossimo referendum costituzionale farsa. Ora il Myanmar è un inferno sommerso dalla furia rabbiosa ed implacabile degli elementi. Il ciclone Nargys ha spazzato via interi villaggi di cartapesta, ha reclamato decine di migliaia di vite umane, ha reciso in maniera probabilmente definitiva il rapporto tra il paese ed il resto del mondo, già di per sè molto labile, e l’ha fatto precipitare in una crisi umanitaria gravissima, dagli esiti drammatici ed imprevedibili.Lo sapevamo già, ma pazienzaOvviamente la colpa del ciclone non può essere imputata ai militari. Ma la negligenza e l’impreparazione delittuose, quelle si. Nessun cittadino birmano sapeva infatti che cosa si sarebbe abbattuto sul delta dell’Irrawaddy. Nessuno sapeva che Rangoon e dintorni sarebbero diventati un cumulo acquitrinoso di macerie e di cadaveri.Eppure già dal 29 aprile, tre giorni prima della tragedia, i bollettini della marina e dell’aviazione statunitensi avvertivano che una violenta tempesta si sarebbe abbattuta sul Myanmar sudoccidentale, così come aveva lanciato l’allarme, due giorni prima, anche il dipartimento meteorologico dell’India.Ma i militari non si sono curati dell’allerta: a parte messaggi molto generici trasmessi alla televisione di stato, non è stata predisposta nessuna evacuazione, nessuna misura di precauzione o di prevenzione. Data la particolare conformità del terreno birmano e la fatiscenza delle infrastrutture, il dramma non aspettava altro che la sua consumazione. Continua a leggere su La Privata Repubblica “Questa non è un’uscita” […]

#4

AkillerDee
Rilasciato il 14.05.08

Mai tanto azzeccato quanto spiazzante il titolo-citazione (così presumo) da American Psycho di Bret Easton Ellis “questa non è un’uscita”.

Nel libro era la fine – non fine della storia,qui l’inizio – non inizio.

#5

LPR
Rilasciato il 14.05.08

Si, è la fine del libro – “THIS IS NOT AN EXIT”.

Forse potrebbe essere l’uscita del regime birmano, ma ho forti dubbi in merito.

#6

Gran Prix Du Zimbabwe. Robert Mugabe, lo Zimbabwe e la comunità internazionale - La Privata Repubblica
Rilasciato il 30.06.08

[…] prestigiosa gara che ha luogo ogni qualvolta che qualche junta militare decide di massacrare la sua popolazione o quando è da decenni che si scatenano guerre civili, pulizie etniche, genocidi […]

Fomenta la discussione

Tag permesse: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>