Prossimamente Sul Vostro Posto Di Lavoro

Pubblicato da Blicero il 2.01.2013

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Going Austerity.

Gli omicidi per rabbia (o, in generale, la violenza di impiegati insoddisfatti) sul posto di lavoro non sono un fenomeno esclusivamente americano. Diversi casi si sono avuti in Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Giappone, Cina, India e Svizzera. Sì, in Svizzera – il lindo, ordinato e civilissimo paradiso confederale elvetico.

Il 5 luglio del 2004 un consulente finanziario di 56 anni, dipendente della Banca cantonale di Zurigo (ZKB), spara al vicecapo ed il secondo capo del comparto finanziario e li uccide. Secondo la polizia, il movente deriva da un «conflitto sul posto di lavoro». Diciotto anni prima della sparatoria alla ZKB, Günther Tschanun (il capo della polizia delle costruzioni di Zurigo) aveva massacrato quattro colleghi di lavoro, ferendone un quinto. Poi era stato il turno di un uomo di 53 anni, dipendente in una panetteria di Berna, che il 27 febbraio 1993 aveva ucciso il fratello (che voleva licenziarlo), la cognata e un impiegato, prima di rivolgere l’arma contro se stesso. Per tutti gli anni ’90, inoltre, la Svizzera è stata attraversata dalla “sindrome da ufficio postale”.

Lo scorso marzo si è cominciato a sparare anche in una Grecia stremata da cinque anni consecutivi di recessione e piegata da una disoccupazione al 26%. A Komotini, nel nord del Paese, un disoccupato 52enne è entrato dentro la ditta dove lavorava ed ha aperto il fuoco all’impazzata, ferendo il proprietario, un dipendente di origine bulgara e un poliziotto. «L’uomo – riporta Argiris Panagoupulos su Il Manifesto – aveva perso il lavoro e dopo otto mesi anche la pazienza, per le mancate promesse di riassunzione dalla ditta che produce cubi per il riciclaggio della spazzatura di plastica».

Tuttavia, gli omicidi per rabbia negli Stati Uniti e in Europa sono sensibilmente diversi tra loro. Per Mark Ames gli autori delle stragi americane hanno un obiettivo principale, quello di

attaccare l’intera azienda, il luogo di lavoro in quanto istituzione, la cultura aziendale, tanto quanto i singoli individui a cui sparano. Ecco perché non ci sono vittime «casuali»: tutti nell’azienda incriminata sono colpevoli di complicità, oppure rappresentano danni collaterali. Lo scopo è distruggere l’azienda in sé, la fonte del dolore.

In Italia, invece, l’obiettivo degli omicidi sembra concentrarsi sull’eliminazione della persona fisica ritenuta la causa di tutti i mali. Più che la volontà di «distruggere l’azienda», infatti, emergono una sorda disperazione, un’atroce solitudine ed il terrore assoluto di perdere il posto nel mezzo di una depressione congiunturale apparentemente senza fine, aggravata da violente politiche di austerità.

Un fattore non secondario che impedisce il dilagare di questi omicidi è sicuramente l’accesso alle armi. Come giustamente ha osservato un mio amico, «fare un’ecatombe con una beretta 7,65 bifilare o con un calibro 12 limitato a 3 cartucce richiede un’inossidabile forza di volontà (anche se hai 1500 cartucce di scorta). Nell’alienazione c’è una non trascurabile componente tecnica».

In un simile momento storico, finire tra le crepe della disoccupazione equivale alla morte civile: i sindacati (anche per colpe proprie) stanno lentamente perdendo la loro funzione di garanzia; i rapporti di lavoro si sono deteriorati un po’ dappertutto; gli esuberi e gli esodi stanno raggiungendo dimensioni veramente bibliche; la crisi si sta cronicizzando; la salute mentale della popolazione sta precipitando, e nemmeno troppo lentamente; la diseguaglianza è diffusa e galoppante.

Secondo l’economista Mario Seminerio, il contrasto a quest’ultima «sarà cruciale per conservare una flebile possibilità di ripresa di lungo periodo. Considerata la portata della crisi fiscale che stiamo vivendo, l’imperativo sarà ridefinire il nostro welfare a vantaggio degli strati realmente più deboli ed esposti».

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Il punto è che «ridefinire il nostro welfare» non è certo una priorità politica – o comunque lo è meno del controllare ossessivamente l’attività di Mario Monti su Twitter.

Lo scorso ottobre l’Istat ha calcolato che l’«esercito dei disoccupati» ha raggiunto la soglia record di quasi 2,9 milioni di persone. Un rapporto dell’Eurispes (2011) stima che in Italia ci siano circa 10 milioni di armi detenute legalmente. Fortunatamente, il «linguaggio dei massacri sul posto di lavoro» inaugurato da Joe Wesbecker negli Stati Uniti e qui da Paolo Iacconi non sembra essere entrato nel lessico italiano. Per ora, almeno.

Intanto la rabbia monta, le uscite di sicurezza verso il futuro sono sprangate e – come ha scritto Ames riferendosi agli Stati Uniti, ma penso possa valere anche per l’Italia – l’intero Paese è infestato da una «gelida cattiveria, e a nessuno è consentito ammetterlo. Solo i pazzi percepiscono che è sbagliato – che ciò che è “normale” non è affatto normale».

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Drop the Hate / Commenti (1)

#1

Lorenzo
Rilasciato il 07.03.13

Umbria, “Sono rovinato”. E fa strage.

Ho visto un titolo e ho pensato a te (semi cit. Massimo Volume)

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