Prossimamente Sul Vostro Posto Di Lavoro

Pubblicato da Blicero il 2.01.2013

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«Era un dittatore.»

Nello stesso giorno in cui Iacconi è caduto in preda alla “sindrome da ufficio postale”, a Rieti un assicuratore di 30 anni ha ucciso con un mazza da baseball il suo agente per paura di essere licenziato. Flavio Pennetti (questo il nome dell’assicuratore) si era incontrato con Massimo Carpifave – 60 anni, candidato nel 2001 alle comunali di Roma per An, nel 2006 alla Camera per la Lega Nord nonché titolare dell’agenzia assicurativa Assirisk presso cui Pennetti lavorava come dipendente – per concludere un affare.

Durante l’incontro era nato un diverbio e l’assicuratore, temendo di perdere il posto, aveva massacrato Carpifave con la mazza, per poi trascinare il cadavere in una scarpata lungo la strada che collega Leonessa a Rieti. Convocato in Commissariato per fornire chiarimenti sui suoi spostamenti nelle ultime ore, Pennetti è crollato davanti agli agenti e ha confessato:

Era un dittatore. Mi ha insultato in tutti i modi, poi quando ha cominciato a parlare della subagenzia ho accumulato uno stress nervoso impressionante. E quando sono sceso per far rientrare il parafango con la mazza non ce l’ho fatta più e l’ho ucciso.

Nel 2011 è arrivata la sentenza di condanna (con rito abbreviato): 17 anni e 4 mesi di reclusione, in seguito leggermente ridotti in appello. All’epoca dell’omicidio, l’allora Presidente della Regione Lazio Polverini dichiarò: «Mi auguro che sia un caso isolato, altrimenti sarebbe preoccupante. Di fronte alla perdita del lavoro tutti subiamo un trauma, ma spero davvero che dietro questa tragedia ci siano anche altre motivazioni».

Quello di Pennetti, purtroppo, non era un caso isolato. E non lo è nemmeno rimasto.

Nell’aprile del 2010, il 25enne Fortunato Pennestrì viene licenziato dal supermercato in cui lavorava in provincia di Reggio Calabria. Pochi giorni dopo l’ex dipendente torna sul luogo di lavoro con una pistola semiautomatica calibro 7.65 e doppio caricatore al seguito. Pennestrì cerca di far fuori il direttore del supermarket ma fallisce miseramente: il primo colpo va a vuoto, mentre il secondo inceppa l’arma.

Sfumata la vendetta, Pennestrì va via e viene subito beccato dalla polizia nel piazzale antistante l’esercizio commerciale. Non appena il capo pattuglia gli intima l’alt, il 25enne estrae la pistola e se la punta alla tempia, minacciando di farsi fuori. Ma fallisce anche in questo proposito. Un commesso lo distrae e i poliziotti riescono a disarmarlo.

Il 19 novembre 2011 Calogero Leone, operaio 49enne della cantina vitivinicola Regaleali di Vallelunga Pratameno (Caltanissetta), si presenta in azienda con un fucile calibro 12 e un bersaglio preciso: il superiore Nicasio Pisa. Secondo le prime indagini, Leone aveva ricevuto un avviso di licenziamento che avrebbe fatto scattare la sua «furia».  Questa è la cronaca del tentato omicidio:

Pisa, secondo una prima ricostruzione, era al volante di un fuoristrada e stava girando all’interno della vasta azienda agricola quando Leone, arrivato con la sua auto, gli è andato incontro con un fucile calibro 12 che gli ha puntato contro, sparando fino a scaricare l’arma. È stato allora che il caposquadra, per sfuggire al piombo, ha innestato la retromarcia della jeep che però s’è incastrata contro un’altra auto. Fine della fuga. Allora Calogero Leone avrebbe esploso altri colpi, impallinando ancora il collega a distanza ravvicinata che cercava di scappare. Ma in quell’istante un altro operaio, udendo gli spari, gli è saltato addosso e l’ha disarmato. Altri dipendenti invece hanno soccorso Nicasio Pisa e in auto l’hanno accompagnato all’ospedale “Maddalena Longo” di Mussomeli. Qui i medici gli hanno rimosso i pallini e l’hanno ricoverato nel reparto di Chirurgia. È vivo, sotto choc, ma salvo. Se la caverà: la sua prognosi è di 20 giorni.

Il 19 settembre 2012 la violenza sul posto di lavoro arriva anche al Nord. Sono circa le 8.30 del mattino quando Pasquale Stigliano, camionista di 58 anni, fa ingresso nel piazzale dello stabilimento di Vittuone (Milano) della Ibf, azienda nata nel piacentino nel 1979 e specializzata nella produzione di tubi e profilati in metallo. Il rapporto di lavoro tra Stigliano e la Ibf era iniziato nel 1997. Successivamente, l’autotrasportatore aveva associato anche il figlio. La direzione, tuttavia, non era soddisfatta del lavoro di quest’ultimo e aveva annunciato l’intenzione di rescindere il contratto dal prossimo gennaio. In tutto ciò, Stigliano si sta anche separando dalla moglie.

Ad ogni modo, quella mattina il camionista si mette a discutere con il direttore dello stabilimento e il capo officina. Il motivo del contendere è la fattura di luglio: Stigliano vuole che copra delle spese da lui sostenute; i due sono nettamente contrari. Vista la reazione negativa, il dipendente della Ibf «perde le staffe» e se la prende con tutti e due, gridando al capo officina: «Tu mi hai rovinato la vita, è per colpa tua se sto divorziando».

A quel punto Stigliano sale sulla cabina, prende una Smith & Wesson a cinque colpi, entra nel gabbiotto che funge da ufficio e comincia a sparare. I due riescono a ripararsi ed evitare i colpi. In pochi minuti i carabinieri fanno irruzione nella ditta: dentro trovano Stigliano che «ormai ha finito i colpi» e si aggira per lo stabilimento «come un automa».

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«Ho fatto un atto di giustizia.»

Quest’estate a Torre del Greco si è verificato un going postal in senso stretto – ossia un omicidio in un ufficio postale.

Lunedì 30 luglio l’impiegato 53enne Cristofaro Gaglione entra alle poste armato di Beretta 7.65 (con matricola abrasa) e si precipita nella stanza della direttrice, esplodendo tre colpi che raggiungono la donna alla gola, alla mandibola e al petto. Durante la sparatoria una collega di Gaglione cerca di intervenire, ma l’impiegato postale le urla contro: «Spostati o sparo anche a te». Il quarto colpo fa inceppare l’arma. Gaglione scappa via dall’ufficio, ma viene ritrovato dalla polizia in una strada periferica tra Torre del Greco e Torre Annunziata. Agli agenti che l’arrestano, l’impiegato dice: «Ho fatto un atto di giustizia, la direttrice mi mortificava a ogni occasione».

La direttrice Anna Iozzino muore all’ospedale. Alla base dell’omicidio «ci sarebbe un litigio avvenuto sabato mattina tra la vittima e l’aggressore per motivi di servizio: la direttrice aveva disposto il trasferimento del dipendente dallo sportello finanziario all’ufficio raccomandate». Quello che è stato ribattezzato il “pistolero delle poste” ha pianificato l’omicidio per due giorni, iniziando anche a scrivere una lettera (mai completata) ai colleghi.

Stando a quanto riporta Metropolisweb.it, Gaglione «si era convinto di essere una vittima nell’ufficio postale di via Veneto a Torre del Greco e avrebbe voluto urlare la sua rabbia a tutti». Inoltre, alcuni colleghi hanno riferito che Gaglione era «sempre interessato» alla vicenda del rovinoso crac della compagnia di navigazione Deiulemar, che col tempo era diventata una sorta di banca privata della città a cui 13mila obbligazionisti avevano affidato i loro risparmi. «Evidentemente era coinvolto nel fallimento – ha detto un collega – Se non direttamente, in ambito familiare».

L’omicidio di Gaglione presenta alcune analogie inquietanti con la prima sparatoria in un ufficio postale americano, avvenuta nel 1983 a Johnston, South Carolina. Perry Smith, ricorda Mark Ames, lavorava per le poste da vent’anni. Alla fine del 1982, il suicidio del figlio lo devastò e intaccò il rendimento di Smith. I suoi superiori, però, «non reagirono mostrandosi solidali, bensì rimproverandolo per ogni minima violazione che potessero trovare». Ad avviso del dipendente, il responsabile della sua «spirale discendente» era il nuovo direttore di filiale, Charles McGee.

Smith diede le dimissioni sei mesi dopo la morte del figlio. Nel frattempo, McGee stava lasciando l’impiego postale. Il 19 agosto, l’ultimo giorno di lavoro alle poste per McGee, Smith si presentò in ufficio con un fucile calibro 12. Al primo ex collega che vide, l’ex dipendente disse: «Jo, non muoverti». Poi, rivolto agli altri: «Non muovetevi o vi ammazzo tutti». In un primo momento McGee riuscì a scappare dall’ufficio e a rinchiudersi nel magazzino di un negozio di alimentari. Smith lo raggiunse, sfondò la porta e sparò a McGee nella pancia. «Te l’avevo detto che ti avrei beccato», urlò. Sparò anche una seconda volta, colpendo il direttore al petto: «Te l’avevo detto che te l’avrei fatta pagare, figlio di puttana!»

L’omicidio di Perry Smith non è avvenuto in un anno qualsiasi. Il 1983, infatti, è stato «il primo anno in cui governo federale smise di sovvenzionare le poste». Nel 1970 Richard Nixon aveva firmato la Legge di riorganizzazione delle poste, una norma che «mirava a rendere le poste americane autosufficienti, a fare in modo che si autofinanziassero coi propri profitti». Il risultato fu che i lavoratori delle poste de facto persero il diritto di sciopero, e il servizio postale divenne «il primo esperimento post-New Deal in cui si ridussero i diritti di un gran numero di lavoratori e si aprì la loro azienda al mondo brutale della competizione».

Similmente a quanto era avvenuto negli anni ‘70/’80 negli Stati Uniti, anche in Italia le Poste sono sottoposte ad un regime di feroce ristrutturazione aziendale. Un articolo de L’Espresso dello scorso aprile descrive così la situazione:

«Se entri alle Poste sei sistemato», si diceva una volta. Perchè chi aveva la fortuna di venire assunto si aggiudicava un posto dall’altra parte del muro, quello che separava i lavoratori garantiti dai non garantiti. Il paradiso del lavoro dipendente, questo erano le Poste, da sempre roccaforte della Cisl.

Questo, una volta. Adesso ci sono le ditte in appalto, le agenzie di recapito, insomma le esternalizzazioni che hanno creato ‘postini di serie B’. Quelli che si possono licenziare. Come Riccardo Tronci, postino d’appalto e autore del blog truppedappalto.it: «Le Poste devono operare tagli e a pagare saranno le agenzie di recapito. Cioè noi, colpevoli di essere stati assunti dall’altro lato del muro».

[…] Le agenzie di recapito occupano circa 3.000 lavoratori in tutta Italia, che potrebbero trovarsi senza lavoro.

Ma anche sui dipendenti interni di Poste pesa un macigno: quello della questione esodati. Sul totale degli esodati – secondo il governo 65.000, per sindacati e Pd 350.000 – che si ritrovano senza lavoro nè pensione, sono circa 6000 quelli che provengono da Poste Italiane.

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Nel 2012 le regioni interessate dalla ristrutturazione aziendale sono state 5: Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Basilicata. «Dal 2013 in poi – scrive Il Fatto Quotidiano – la razionalizzazione delle zone di recapito dovrebbe investire tutta Italia e portare, questi i calcoli della Cgil, a 12mila esuberi».

Curiosamente, questo stillicidio arriva in un momento estremamente positivo per le Poste.

Il segretario modenese della Slp-Cisl, Antonio Buongiovanni, mesi fa ha dichiarato che «il piano di ristrutturazione aziendale è stato presentato da Poste italiane il 17 aprile, il giorno dopo sono stati annunciati 846 milioni di euro di utili sul bilancio 2011. La situazione è inaccettabile: qui abbiamo un’azienda che fa ricavi e macina utili sulle spalle dei lavoratori».

Sempre lo scorso aprile, Poste Italiane ha giudicato «estremamente positivi» i risultati del 2011. Oltre agli utili, infatti, il risultato operativo si è assestato ad 1 miliardo e 641 milioni di euro. In una nota, le Poste hanno spiegato che questi numeri collocano la compagnia «di gran lunga al primo posto al mondo per redditività nel confronto con i principali operatori internazionali».

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Drop the Hate / Commenti (1)

#1

Lorenzo
Rilasciato il 07.03.13

Umbria, “Sono rovinato”. E fa strage.

Ho visto un titolo e ho pensato a te (semi cit. Massimo Volume)

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