Da Maidan al Donbass: come le nuove destre europee si orientano nel caos ucraino
Dopo i miei appunti sparsi su fascioleghismo e destre varie in Italia, pubblico l’intervento di Simone Pieranni su Ucraina, nuove destre, rossobrunismo, sogni euroasiatici e la fascinazione per Vladimir Putin da parte dei camerati di tutta Europa. La cornice in cui è stato letto è sempre il convegno dell’ANPI del 14 marzo 2015, tenutosi a Pavia.
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1 – I neonazisti ucraini
Alcuni hanno deciso di non vederli. Nei racconti mainstream delle giornate di Kiev, non c’è traccia di loro. Sono di volta in volta «militanti», «attivisti», «rivoltosi», «i ragazzi e le ragazze di Majdan». Ben poche volte sono stati definiti come forse si definirebbero loro stessi: neo-nazisti. In questi casi il perbenismo decide di soffocare un obbrobrio storico che ritorna, come qualcosa di impossibile, impensabile o, se proprio non si può ignorare, ininfluente. In molti hanno sottovalutato la loro importanza nei fatti ucraini, confondendo un risultato elettorale, quello negativo del 2014, come un segnale di morte politica. Ignorando che per le strade, nell’esercito, e poi sul campo, a comandare erano loro. Così come erano in piazza, finendo per decidere le sorti della protesta.
I gruppi neonazisti ucraini hanno una lunga tradizione nel paese. Stepan Bandera, leader delle formazioni collaborazioniste durante la seconda guerra mondiale (poi mandato in un campo di sterminio dagli stessi nazisti quando Bandera si ribellò al potere tedesco), viene ricordato ogni anno il primo gennaio, con una manifestazione che negli ultimi tempi è diventata sempre più numerosa. Segno che le capacità comunicative di questi gruppi hanno saputo fare breccia, in una società devastata dalla corruzione e dal governo degli oligarchi. La loro storia, del resto, non è recente.
Il 13 ottobre 1991 viene fondato il Snpu, il Partito nazional socialista ucraino. Una formazione dichiaratamente fascista, nata dall’integrazione di diversi gruppi di estrema destra. Alcuni di questi provengono dalle zone occidentali del paese, come Leopoli; altri sono formati da reduci della guerra contro l’Unione Sovietica in Afghanistan. Uno dei suoi fondatori era Oleh Tyahnibok. Nel suo Manifesto, il Snpu si definisce «uno strenuo oppositore del comunismo e dei movimenti sociali che si occupano di diffondere il comunismo». Tutte le altre forze politiche sono viste come collaborazioniste e non sufficientemente patriottiche. Il nazionalismo Spu si tinge presto di contenuti razziali ed è fortemente anti-russo (ci saranno tentativi di agguati e attacchi anche agli ungheresi).
Nel 1993 quelli del Snpu danno vita a «un’alleanza patriottica», attuata nella pratica con azioni dirette e blocchi stradali contro il governo. È a quel punto che ci si inizia ad accorgere di loro al di fuori dell’Ucraina: alcuni parlamentari europei, infatti, esprimono la loro preoccupazione per l’emergere di forze xenofobe in Ucraina. Il simbolo del partito nazional socialista ucraino è la «runa Wolfsangel», il «dente di lupo», uno dei simboli delle SS naziste, già primo «marchio» del partito nazional socialista di Hitler ai suoi albori. E proprio il Nsdap diventa il punto di riferimento organizzativo, attraverso l’utilizzo di funzioni sociali per aggregare.
Al partito neonazista ucraino aderiranno soprattutto giovani skin e ultras delle squadre di calcio. Crescendo di numero, a un certo punto per gli estremisti del futuro Svoboda si è posto il problema dei soldi. Ne servono di più. Secondo alcuni giornalisti russi e ucraini, dietro la loro ascesa ci sarebbero stati anzitutto gli oligarchi, miliardari disposti a pagare per avere una sorta di esercito pronto all’uso, e in secondo luogo i servizi segreti ucraini. Ma per i neo-nazisti ucraini, la vera svolta arriverà con aiuti politici inaspettati.
Nel 2002, al congresso del partito, si decide per il cambio di nome: Svoboda («Libertà»). Il lavoro sotto traccia prosegue, il partito aggrega. Nel 2009 ottiene un’importante vittoria elettorale in una regione occidentale. Secondo il ricercatore ed esperto di estreme destre Anton Shekovotsov, le ragioni di quella vittoria vanno cercate anche nella crisi del movimento «arancione» e nel fatto che né Tymoshenko, né il partito del futuro premier Yatseniuk parteciparono a quella consultazione. A questo punto il patatrac viene compiuto da Yanukovich.
Nell’intento di indebolire le sue opposizioni, una volta eletto presidente nel 2010, Yanukovich decide di costruirsi il nemico pubblico, con l’obiettivo di farne un boccone in seguito. Il suo vero scopo è quello indebolire le opposizioni in parlamento rafforzando un estremo dell’arco politico. Una tecnica che conosciamo bene, ultimamente, anche in Italia. Yanukovich lascia ampio spazio sui media – e non solo – a Svoboda. Che riempie quello spazio in modo intelligente, creando consenso intorno alle proprie posizioni razziste e nazionaliste.
Il calcolo del partito delle Regioni era il seguente: avere come avversario alle successive elezioni presidenziali il leader di Svoboda. Si racconta anche della nascita di un’espressione che circolava tra i dirigenti del partito del premier: «Tyahnybok (il leader di Svoboda) al secondo turno». I consiglieri di Yanukovich erano convinti che nel 2015 sarebbero arrivati al ballottaggio con Svoboda, e che questa sarebbe stata una garanzia per il successo di Yanukovich.
Alle elezioni parlamentari del 28 ottobre 2012 Svoboda prende il 10,44% dei voti. Quando a Vilnius, nel novembre 2013, Yanukovich smentisce le promesse fatte e non firma il pre-accordo di associazione con l’Unione europea – promessa che aveva convinto i più scettici a votarlo, anche nelle regioni occidentali, tradizionalmente avverse al partito del presidente – Svoboda si prepara. È il suo momento. Il 30 novembre, i primi scontri portano al vero cambio di passo della Majdan. Oltre alle generiche richieste contro la corruzione e l’avvicinamento verso l’Europa, la voce della piazza chiede solo una cosa: le dimissioni del governo.
A dare manforte in piazza a Svoboda c’è Pravyi Sektor (Settore Destro), un raggruppamento di diverse formazioni di estrema destra, che nasce proprio sulle barricate della Majdan nel febbraio 2014. I suoi membri sono abili nelle tecniche di guerriglia, e riescono anche a organizzare la piazza con servizi medici e uffici stampa. Prendendo il controllo delle operazioni, riuscono a dirigere i «soldati» della Majdan.
Sono fascisti, ma più omofobi e bigotti che antisemiti. Teoricamente ricordano più Forza Nuova, rispetto a Casa Pound (per rimanere in ambito italiano); ma durante la Majdan saranno attivi soprattutto negli scontri. Come del resto faranno dopo: uno dei battaglioni più celebri, tra quelli pro-Kiev, sarà proprio quello composto dai neonazisti di Pravyi Sektor.
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2 – L’estrema destra europea e la Russia
Dopo la Majdan, c’è la guerra nel Donbass. Da una parte i battaglioni neonazisti, dall’altra i separatisti. E dietro loro c’è la Russia, c’è Putin. Lo stratega russo è abile a sfruttare la situazione, prendendosi al volo la Crimea. Dopo questo atto, condannato da tutta la comunità internazionale, si scopre una particolarità: a supporto della Russia, in Europa, sono soprattutto i partiti di estrema destra.
Nazionalismo, populismo, autoritarismo, tradizione: sono queste le caratteristiche di Putin e della sua Russia che affascinano le destre europee – e non solo. La forza strategica e di vigore espressa da Putin, uomo forte, colpisce l’immaginario neofascista. Unito a questo, Putin e le sue posizioni internazionali fortemente anti-occidentali e anti-atlantiche uniscono i fascismi europei, critici nei confronti della globalizzazione e della Nato e favorevoli ad un euroasiatismo bianco. Non a caso Putin ha promesso e iniziato a costruire l’Unione euroasiatica economica, che mira a garantire la sovranità ai suoi Stati, senza le storture che avvengono nell’Unione Europea.
LA LOBBY GAY SI INDIGNA PER I MANIFESTI SU PUTIN E CHIEDE AL SINDACO DEI ROM, IGNAZIO MARINO, DI RIMUOVERLI DAI MURI DI…
Posted by Fronte Nazionale Uffic. on Giovedì 5 settembre 2013
Putin attua una politica conseguente a una precisa idea politica, non solo nazionale. È quanto alcuni studiosi russi hanno definito «neo conservatorismo post sovietico». Il rafforzamento delle posizioni anti atlantiche di Putin nel suo terzo mandato, con la Russia al centro di quasi tutte le trame internazionali, ha finito per generare un ulteriore fascino per la destra europea. Marine Le Pen pare sia di casa a Mosca, da tempo. Lega Nord e CasaPound considerano Putin un esempio da seguire. La cristianità, il tradizionalismo e il peso della famiglia tradizionale nel messaggio putiniano fanno il resto. I fascisti bulgari di Ataka hanno presentato la propria candidatura a Mosca. Jobbik e i fascisti inglesi si incontrano regolarmente con i politici vicini al presidente russo. Ed esistono ONG e think tank che favoriscono scambi, e presumibilmente finanziamenti.
A di là della vicinanza teorica, strategica e geopolitica, c’è infatti un discorso di finanziamenti. Da tempo aleggia il sospetto di versamenti russi alle forze di destra anti-europeiste. Lo scopo della Russia è duplice: da un lato provare a indebolire politicamente e socialmente l’Unione Europea, dall’altro avere una propria «rappresentanza» nei parlamenti o nei governi europei. Questa strategia permette alla Russia, secondo quanto ha scritto Anton Shekovotsov, di poter perorare le proprie cause riguardo la fornitura di gas e le pipeline. Come dimostra il caso South Stream, che alla fine è stata interrotta.
Il report The Russian Connection mette in evidenza i collegamenti tra gruppi di estrema destra e Russia. In Bulgaria Ataka è su posizioni filo russe, favorendo quando possibile la pipeline russa. In Slovacchia, il leader di «Nostra Slovacchia» – partito che ha posizione razziste, specie contro i rom – si è espresso più volte a favore della Russia e di Yanukovich. Anche Jobbik in Ungheria ha sempre sostenuto la Russia, così come recentemente ha fatto Orban. Nel 2013, il leader di Jobbik Gabor Vona a ha esaltato a Mosca il ruolo della Russia come «guardiano» della tradizione europea.
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3 – Dugin e la Nuova Destra europea
(Alexander Dugin nell’Ossezia del sud, 2008.)
Dietro tutta questa girandola di alleanze e strategie c’è una sorta di mito vivente della destra europea. Alexander Dugin è un teorico russo che negli ultimi anni ha conquistato molta popolarità in Russia, finendo, secondo molti osservatori, per influenzare direttamente alcune decisioni del Cremlino in tema di politica estera. Partito come fascista negli anni ’90 e «interventista» in Georgia, Dugin ha fatto carriera, finendo per presiedere importanti organizzazioni culturali russe, mettendo in altri posti chiave altri studiosi fautori della sua teoria dell’«Impero euroasiatico».
Oggi – diventato ormai una celebrità nel mondo della destra europea, e spesso ospite di convegni internazionali – si definisce un «centrista radicale». Le sue posizioni politiche sono via via divenute sempre più anti-americane. Ma qual è la teoria di Dugin che ha finito per conquistare le destre europee alla ricerca di una nuova bussola post guerra fredda? Dugin ha diffuso la teoria del nazionalismo euroasiatico basato sulla contrapposizione tra l’ordine mondiale di Usa e Gran Bretagna, che arriverà a definire in un suo libro «il regno di Satana», e l’ordine euroasiatico guidato dalla Russia. Questa idea è stata confermata recentemente ad un incontro – il 22 marzo – svoltosi a San Pietroburgo tra gruppi di estrema destra. È stato l’italiano Roberto Fiore a paragonare il ruolo odierno della Russia, con quello della Roma antica.
È bene precisare che la teoria di Dugin si compone anche di elementi mistici, religiosi (tanto che alcuni studiosi parlano di «setta») e non si tratta solo di una semplice esasperazione del nazionalismo. Si tratta di un nuovo nazionalismo che si inserisce in quella teoria di «nuova destra europea» che nasce già negli anni ’30 e si rianima dopo la caduta dell’Unione sovietica. Dugin si inserisce in questo dibattito e plasma nel tempo la propria teoria, accompagnandola da articoli e interventi pubblici sempre più politici, quasi sempre a favore delle politiche putiniane.
Sono due i concetti che stanno alla base della dottrina di Dugin. Il primo è la necessità che solo una società post-liberale, gerarchica e in grado di mantenere le tradizioni culturali europee sia in grado di arginare il pluralismo e la diluizione, fino alla scomparsa, dei valori tradizionali. Il secondo è decisamente interessante, perché permette di comprendere alcune vicinanze (che la crisi ucraina ha di fatto sancito) tra posizioni di estrema destra e di estrema sinistra, unite dall’antiatlantismo e da letture geopolitiche «occidentali» che non mettono a fuoco le caratteristiche precise di alcune aree del mondo (Siria, Libia, il Medio oriente in generale e la stessa Ucraina). Si tratta del concetto gramsciano dell’egemonia culturale. Ma gli studiosi di Dugin aggiungono altri tre concetti «di sinistra», utilizzati dalla nuova destra europea, come l’anti-globalizzazione, l’attenzione al territorio e all’ambiente.
L’interesse per l’Italia non è una casualità: Dugin conosce molto bene la storia del pensiero politico italiano e l’ambiente intellettuale che ruota attorno a idee vicine alle sue. Nella sua prima rivista, il Dolce Angelo, Dugin ha infatti ospitato un saggio di Claudio Mutti, direttore della rivista italiana Eurasia. La teoria duginiana affronta naturalmente anche la questione etnica, definendo «l’unione etnica» superiore allo stesso concetto di Stato. Non a caso Dugin parla di «Impero euroasiatico», organizzato in modo federale. Nel suo libro più famoso, Osnovy geopolitiki («Principi di geopolitica»), Dugin aderisce a una teoria che vede la contrapposizione inevitabile tra le potenze marine, USA e UK, e quelle euroasiatiche.
Il suo pensiero – ribadito nel 2012 in The Fourth Political Theory – ha trovato terreno fertile in molti paesi, in particolare in Ungheria, con Jobbik; in Grecia con Alba Dorata; e in Bulgaria con Ataka. Gabor Vona ha utilizzato la teoria di Dugin per reclamare all’Ungheria il ruolo di ponte tra l’est e l’ovest dell’Eurasia, rivendicando proprie ancestralità orientali. Per la Grecia – e Cipro – Dugin avrebbe già pronto il ruolo di porto per la guida russa all’Impero. Tutti e tre i partiti, inoltre, condividono l’euroscetticismo e l’anti liberalismo.
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4 – Le destre, il Donbass e i fascisti russi
(Paramilitari del «Russian National Unity» nell’Ucraina dell’est.)
La crisi ucraina ha cambiato qualcosa negli equilibri e nelle alleanze delle destre europee. E quanto è emerso a seguito della ri-presa della Crimea da parte della Russia, è stato il «passo» delle destre europee. La maggior parte degli osservatori arrivati in Crimea rappresentano partiti dell’estrema destra europea: Freiheitliche Partei (FPÖ), il Partito della Libertà austriaco; il Belgian Vlaams Belang e il Parti Communautaire National-Européen; Ataka, dalla Bulgaria; il Front National francese; Jobbik dall’Ungheria; Lega Nord e Fiamma Tricolore dall’Italia; Samoobrona dalla Polonia; Dveri dalla Serbia; e Plataforma dalla Catalogna.
Con la guerra in Ucraina molti partiti e gruppi di destra hanno dovuto rivedere la propria «politica estera» e prendere posizione. Paradossalmente, la destra ucraina ha perso molto consenso in Europia. Svoboda, ad esempio, era appoggiata da alcuni gruppi che poi ne hanno preso le distanze, come il Front National, la destra austriaca, la stessa Jobbik o anche Forza Nuova – non a caso, dal sito di quest’ultima sono scomparse le cronache dei precedenti incontri con Svoboda, al contrario di CasaPound che invece supporta Kiev e in particolar modo Pravy Sektor.
Dall’altra parte, inoltre, ci sono altri nazisti: quelli russi. Come ha raccontato in un’intervista al manifesto Anton Shekhovtsov,
Anche la guerra ucraina ha finito per attirare tanti attivisti di estrema destra, attirati dalla possibilità di combattere, avere armi, fare training e guadagnarci qualcosa in termini economici. Sappiamo bene come queste situazioni esercitino fascino nei confronti dei militanti di estrema destra, di tutta l’Europa, non solo quella orientale. Lo saprete meglio di me, per molti esponenti dei gruppi di estrema destra ogni guerra è una sorta di sogno che si realizza, una sorta di realizzazione della loro volontà di violenza.
In ogni caso, il più importante gruppo dell’estrema destra coinvolto tra i filorussi è il «Russian National Unity». Si tratta di un’organizzazione non nuova, che esiste dall’inizio degli anni ’90 in Russia. A livello organizzativo ha una sua struttura economica e una militante, dichiaratamente neo-nazista. Hanno partecipato a vari conflitti, come quelli in Transnistria e Cecenia, dove hanno fatto incetta di armi e soldi. In più, secondo le mie fonti, hanno partecipato al tentato colpo di Stato del 1993 a Mosca – ma in difesa del Parlamento, contro Eltsin. In seguito, hanno preso parte in ogni conflitto in cui sono riusciti a infilarsi. Oggi sono il gruppo più forte presente nell’Ucraina dell’est.
Poi ci sono anche attivisti provenienti dall’«Euroasian union», una sorta di gruppo giovanile dell’organizzazione internazionale guidata da Alexander Dugin. Uno dei loro membri, Alexander Proselkov, è stato misteriosamente ucciso in Ucraina. Proselkov era stato nominato ministro degli esteri della Repubblica di Donetsk da Pavel Gubarev, quando Gubarev era il governatore. Secondo i suoi commilitoni, sarebbe stato ucciso da un killer nelle regioni orientali dell’Ucraina.
Ci sono anche molti singoli attivisti, cani sciolti, magari neanche affiliati ad un gruppo preciso. Sono nazionalisti russi, e combattono contro gli ucraini. Sia i membri del «Russia National Unity» sia quelli legati a Dugin sono in opposizione completa a Putin. Si sentono molto più radicali di Putin. Loro sono lì per combattere per qualcosa che sognano per il dopo Putin: una rinascita della Russia ancora più grandiosa.
Pensano davvero di poter prendere il potere in Russia – cosa in cui crede soprattutto Dugin – e stanno usando la loro partecipazione a questo conflitto soprattutto per aumentare il proprio potere in patria, dove fanno apertamente reclutamento per andare a combattere contro l’Ucraina. Tuttavia, sono un gruppo ormai minoritario e negli ultimi tempi, anche tra gli studiosi, hanno perso molta rilevanza.
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5 – Il flop elettorale in Ucraina e lo spostamento a destra dell’arco parlamentare
Quando nelle ultime elezioni in Ucraina si è scoperto che Svoboda non aveva superato la soglia del 5%, alcuni giornalisti nostrani avevano specificato che questa notizia smentiva «l’allarme neonazi» in Ucraina. Al di là di quelle che furono le «profonde analisi» dei commentatori italiani, la verità racconta un’altra storia: l’importanza della destra nelle proteste di Majdan non è negata da nessuno, specie dai media internazionali.
Sappiamo bene che la forza di un’organizzazione paramilitare in piazza conta, al di là del risultato elettorale successivo, soprattutto in un paese in guerra e diviso. Inoltre, anziché fermarsi ai semplici dati elettorali, sarebbe stato necessario approfondire, giusto per rendersi conto di almeno un paio di cose. In primo luogo, attualmente quasi tutti i rappresentanti più noti dei gruppi di estrema destra sono in parlamento o ricoprono cariche pubbliche rilevanti (come ad esempio quella di capo della polizia di Kiev). In secondo luogo, c’è un altro dato importante: di esponenti dei gruppi «di movimento» di estrema destra erano farcite le liste di quasi tutti i partiti ucraini contraddistinti da venature populiste, nazionaliste e patriottiche.
I gruppi più noti della destra ucraina, Svoboda e Settore Destro, protagonisti della Majdan, hanno quindi perso la lora battaglia politica, sopraffatti dalla capacità di altri partiti di assicurarsi parte del loro elettorato grazie ad un progressivo spostamento a destra di tutte le forze politiche nazionali ucraine. Altro che scomparsa, insomma: si è trattato di una riorganizzazione, alla luce della nuova situazione in cui versa il Paese.
Il capo del noto «battaglione Azov» Andriy Biletsky – capo dell’Unione Patriottica, gruppo neonazi membro della famiglia allargata della National Socialist Assembly – è stato eletto in parlamento l’ottobre scorso. L’Unione Patriottica, secondo alcuni esperti internazionali sulle destre nell’Europa orientale e in Russia, avrebbe soppiantato le storiche formazioni di destra ucraine protagoniste della Majdan. L’UP non avrebbe partecipato alla Majdan per un motivo molto semplice: i propri rappresentanti più noti erano in carcere e sono stati liberati solo dopo la «Rivoluzione». A questo si vanno ad aggiungere più fattori, responsabili del crollo elettorale delle storiche forze di estrema destra.
La loro sconfitta elettorale non nega la rilevanza nei fatti della Majdan, né pone in difficoltà un’estrema destra che – grazie a legami relazionali ed economici con chi è al potere oggi in Ucraina – ricopre ancora ruoli chiave ed è capace di creare sistemi economici basati sulla sicurezza e su commerci illegali, oltre ad assicurare la capacità di intimidire tanto gli attivisti di sinistra, quanto gli attivisti LGBT ucraini, menando duro come da tradizione.
Partiamo comunque dal dato elettorale: perché Svoboda (che non ha superato lo sbarramento del 5%) e Settore Destro hanno ottenuto risultati negativi alle elezioni? Secondo Shekovotsov i motivi sono vari: fino alla cacciata di Yanukovich, Svoboba era il principale partito di opposizione al vecchio oligarca, come confermato dai buoni risultati alle elezioni del 2012. Con la Majdan e la sconfitta di Yanukovich è venuto meno uno dei motivi del suo successo, unitamente ad un altro fatto: lo scontro con la Russia ha tolto a Svoboda il patentino di unico gruppo «patriottico» in circolazione.
Populismo e patriottismo, infatti, sono diventati il simbolo di ogni raggruppamento politico ucraino e l’estrema destra si è così persa e distribuita tra tutti i partiti. Nel partito di Yatseniuk, il premier attuale e del post Majdan, «militavano» Biliestky e Vadym Troyan, esponenti di rilievo del battaglione Azov, dichiaratamente neonazista e che – secondo diversi rapporti di Amnesty International – avrebbe commesso crimini di guerra.
In relazione alle ultime elezioni, Shekovotsov ha scritto che
gli elettori più moderati sono tornati a votare per le forze nazional-democratiche come il Fronte Popolare. Parte dell’ex elettorato di Svoboda sembra essere andato a Settore Destro e al Partito Radicale di Lyashko. L’inclusione di questi due partiti nella categoria di estrema destra è provvisoria. Come partito politico, Settore Destro è oggi molto diverso dal movimento che con lo stesso nome si è formato durante il 2014; il partito è meno radicale del movimento. Il Partito Radicale di Lyashko è pericolosamente populista ed è una tipica forza anti-establishment. Tuttavia, sia Settore Destro sia il Partito Radicale sono membri di un’estrema destra minoritaria.
In ogni caso, il leader di Settore Destro Dmytro Yarosh è stato eletto in parlamento. Così come Biletsky e Troyan. O come Ihor Mosiychuk, eletto nel Partito radicale e compatriota di Biletskiy.
Secondo Hromadske, media nazionalista ma ottima fonte sull’Ucraina, Mosiychuk «ha una storia lunga e ben documentata di partecipazione a movimenti di estrema destra che risale alla metà degli anni ’90. Prima di entrare nell’Unione Patriottica è stato membro del Partito nazionalsocialista, che sarebbe poi diventato Svoboda nel 2004». Prima di essere eletto come rappresentante del Consiglio comunale di Kiev, e poi deputato al parlamento ucraino, Mosiychuk è stato per breve tempo vice-comandante del battaglione Azov.
Anche un altro membro di spicco del battaglione e dell’Unione Patriottica, il tenente colonnello Vadym Troyan, ha conquistato una posizione di prestigio: capo della polizia di Kiev. Troyan ha ottenuto questa carica direttamente dal ministro dell’interno Avakov, che lo ha nominato lo scorso 31 ottobre. La motivazione? Secondo Avakov, Troyan, «ha dimostrato professionalità e coraggio durante le azioni e i combattimenti della campagna anti terrorismo nelle regioni orientali».
«Perché – si chiede il professor Shekovotsov – il ministero dell’Interno ucraino promuovere i leader di un’organizzazione neonazista? Né Avakov né Gerashchenko sono neo-nazisti. La spiegazione sembra risiedere nel loro passato e in una sinistra idea di clientelismo». Avakov, Biletskiy e Troyan provengono da Kharkiv e si conoscono almeno fin dal 2009, quando Avakov era ancora governatore della regione. «A Kharkiv – ha scritto Shekovotsov – la UP è stata coinvolta in attività discutibili, che vanno da attacchi contro i commercianti vietnamiti alla chiusura di imprese». Gli attivisti dell’UP si distinsero per favori ad amici di Avakov, fornendo anche la sicurezza per le proteste a Kharkiv del Blocco di Yuliya Tymoshenko (a quel tempo Avakov era a capo dell’ufficio regionale del Blocco).
«Il coinvolgimento di oggi dei leader UP – continua Shekovotsov – nella polizia ucraina è determinato dalla fiducia di Avakov nell’organizzazione con cui ha lavorato in passato. Avakov sembra anche credere nella fedeltà personale del battaglione di Azov utilizzato come una sorta di esercito privato per motivi di lavoro o politici». Ed è stato probabilmente Avakov che ha suggerito a Poroshenko di concedere la cittadinanza ucraina ad un membro bielorusso del battaglione Azov, Sergey Korotkikh, già dentro a movimenti neonazisti in Bielorussia e Russia a partire dalla fine degli anni ’90. Vanno bene tutti i neonazi, perfino quelli di doppia cittadinanza russa e bielorussa. E invece di scomparire, i leader sono entrati in parlamento.
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Drop the Hate / Commenti (8)
#2
MadCapLaugh
Qui una ARTICOLATA ANALISI della questione Ucraina… http://orizzonte48.blogspot.it/2014/03/ucraina-dies-irae.html?m=1
#3
Armand Milieu
Caro Davide,
Se vuoi sapere i numeri, ti consiglio di iscriverti e chiedere in quanti sono.
Ad esempio qui:
http://vk.com/wall-64305483_3951
Il sito del reclutamento:
http://vk.com/rne_mos
Se vuoi fare una donazione:
http://vk.com/wall247656085_15307
Scherzi a parte, i volontari che combattono a fianco dell’esercito russo sono spesso citati con cifre attorno ai ~10,000. Quindi non vedo il problema di dire che RNE sia gruppo più grosso: saranno riusciti a trovare qualche migliaio di persone? Secondo me sì. Ce l’hanno fatta e hanno i fondi per farlo. I regolari russi restano il gruppo di maggioranza, ma tra i volontari che li affiancano sicuramente è RNE che ha una discreta fetta.
Ti consiglio, la prossima volta, di opporre critiche serie e costruttive e non il solito messaggio che si finge intelligente, ma in realtà è solo una reazione astiosa travestita da critica (e che, tuo danno, si focalizza solo su un paio di questioni: “Avete scoperto l’acqua calda” e “Non sapete quanti sono”).
Chiunque può loggarsi e dire che sono solo chiacchiere. Ad esempio, io potrei obiettare che sono le *tue* ad essere solo chiacchiere. E così non si va da nessuna parte.
Invece, sono andato a guardarmi le pagine VK dei soggetti coinvolti e (dopo un po’ di fatica con alcune traduzioni) l’analisi di cui mi pare realistica e bilanciata: mostra diverse realtà, talvolta con ideologie in contraddizione tra loro, ma tutte afferenti a una tendenza populista che si appoggia a questa o quella autorità (Putin, Europa, etc.) per legittimare la propria agenda xenofoba ed elitaria.
#4
Loading
E’ uscito questo nuovo documentario sui nazisti russi nel Donbass
http://www.youtube.com/watch?v=6TtkDa4Olp4
#5
Davide Como
Caro Armand Milieu,
come ti dicevo la Russian National Unity conta 50 persone e quindi il pezzo “Oggi sono il gruppo più forte presente nell’Ucraina dell’est” dovrebbe essere quantomeno editato dato che ci sono brigate da 1000-1500 persone in Donbass.
Facciamo attenzione a non basarci sui dati sparpargliati qui e la dagli anarchici ucraini poiché sono abbastanza screditati. Persino qui in Italia se ne sono accorti.
#6
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#7
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#8
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[…] hulp voor Svoboda kwam van president Viktor Janoekovitsj, die – zoals journaliste Simone Pieranni optekent – zodra hij in 2010 was verkozen, besloot om Svoboda “tot een publieke vijand te […]
#1
Davide Como
Avete scoperto che i nazionalisti combattono le guerre di resistenza? Perché in Italia non erano pure i monarchici a combattere? Solo che almeno i monarchici avevano i numeri, gli ultranazionalisti non contano niente.
E poi quando si parla di battaglione della Russian National Unity come “gruppo più grande” perché non tirate fuori qualche dato sul numero dei soldati? Di queste chiacchiere se ne sono sentite troppe di questi tempi…