Pulgasari, Ovvero Il Cinema Secondo Kim Jong-Il

Pubblicato da Blicero il 21.12.2011

Da morto, Kim Jong-Il è probabilmente la persona che ha suscitato più pianti di massa di tutta la Storia. Da vivo è stato dittatore, “Padre del Popolo“, “Più alta incarnazione dell’amore cameratesco della rivoluzione”, “Caro Leader, colui che è la perfetta incarnazione dell’apparenza che dovrebbe avere un leader”1, straordinario giocatore di golf, indefesso lavoratore, trend setter in fatto di moda, raffinato gourmant e, tra le mille altre cose, accanito cinefilo. La passione per il cinema (specialmente quello hollywoodiano) deriva sicuramente dal ruolo ricoperto nei primi anni ’70, quando Kim Jong-Il era il responsabile del Politburo per la propaganda. Con un un preciso obiettivo: “rivoluzionare” completamente l’arte coreana e diffondere le idee del partito in tutto il mondo.

Tra i 1000 libri (stando alle fonti ufficiali del Partito) scritti dal Caro Leader ve ne sono almeno due dedicati al cinema. In “Sull’arte del cinema” (1973), il Caro Leader mostrava di padroneggiare perfettamente i concetti di regia e autorialità:

Il compito richiesto al cinema odierno è quello di contribuire alla trasformazione delle persone in veri comunisti…Questo storico compito richiede più di ogni altra cosa un cambiamento rivoluzionario nella pratica della regia.

Purtroppo, la rivoluzione artistica di Kim Jong-Il stentava a decollare. I registi nordcoreani dell’epoca facevano letteralmente schifo e gli studios di Stato (il “Gruppo Creativo Monte Paektu2”) sfornavano pellicole verso le quali il Caro Leader provava “profondo disappunto”. L’unico modo di risollevare l’industria cinematografica nordcoreana era – almeno nella mente di Kim Jong-Il – quello di rapire un auteur rinomato. Meglio ancora: un auteur sudcoreano.

Shin Sang-Ok era una specie di Orson Welles della Corea del Sud. Dopo la guerra coreana degli anni ’50, Shin è stato il regista che più di ogni altro ha modernizzato il cinema del suo paese. Autore molto prolifico (più di 60 i titoli girati tra gli anni Cinquanta e Sessanta), i suoi film spesso raffiguravano le difficili condizioni delle donne e la loro battaglia per sopravvivere in una società patriarcale. La sua musa ispiratrice (e attrice principale) era la moglie, Choi Eun Hee. Nel 1978, tuttavia, la junta guidata dal generale Park Chung Hee chiuse la Shin Films (la sua casa di produzione) e pose di fatto fine alla sua carriera: i militari non avevano preso molto bene alcune critiche rivolte loro da Shin.

Kim Jong-Il, intanto, seguiva attentamente la vicenda che vedeva coinvolto il regista sudcoreano. “Devo assolutamente portarlo qui”, pensava. In effetti, si trattava dell’occasione perfetta per imprimere l’agognata svolta al suo progetto propagandistico. E così, mentre Choi Eun Hee si trovava ad Hong Kong per discutere una parte in un film, il Caro Leader la fece rapire dai suoi agenti (che si erano infiltrati nella Shin Films spacciandosi per uomini d’affari). Quando finalmente l’attrice arrivò in un porto nordcoreano, ad attenderla trovò proprio Kim Jong-Il. “Grazie di essere venuta, signora Choi”, le disse facendola scendere dall’imbarcazione.

Sebbene Shin e Choi avessero da poco divorziato, il primo era naturalmente sconvolto dalla sparizione dell’ex moglie. Seguendo le sue tracce arrivò ad Hong Kong. Una sera, mentre si stava recando in un ristorante, qualcuno gli infilò in testa un sacco imbevuto di cloroformio. Si risvegliò nell’altra Corea, al sicuro, in una casa ben arredata e confortevole. Il Caro Leader ora aveva il suo regista di regime e la sua star.

Shin non era però intenzionato a diventare il burattino di un dittatore in pectore con velleità cinematografiche. Un giorno noleggiò una macchina, guidò fino alla stazione centrale e si infilò di soppiatto in una cassa di esplosivi caricata su un treno merci. Venne ritrovato l’indomani, e prontamente rinchiuso nella prigione Numero 6. Era l’inferno – un inferno a base di riso, erba, sale e indottrinamento partitico destinato a durare quattro lunghissimi anni. Più il tempo passava, inoltre, più Shin si convinceva che sua moglie fosse morta. Quando cercò di suicidarsi tramite uno sciopero della fame prolungato, i secondini lo alimentarono a forza attraverso un tubo. Come ricorda lo stesso regista nel suo libro di memorie (“Il regno di Kim”), una guardia gli disse che era la prima volta che un tentativo di suicidio veniva fermato in quel carcere. Il Caro Leader, evidentemente, lo voleva vivo a tutti i costi.

Dopo una serie di lettere di scuse di tenore sovietico rivolte a Kim Jong-Il e al padre-Presidente Kim Il-Sung, Shin venne scarcerato nel 1983. Una sera il regista venne portato ad una cena, nella capitale Pyongyang. Fu lì che rivide sua moglie – per la prima volta dal rapimento di Hong Kong. Il Caro Leader si scusò: aveva avuto troppo da fare in questi ultimi quattro anni per dedicare loro del tempo. Nel descrivere i piani previsti per la coppia, il futuro Padre del Popolo spiegò che cosa sarebbe stato opportuno dichiarare alla stampa: “Non c’è veramente bisogno di dirvelo, ma dovrete dichiarare che la vostra defezione è stato un atto spontaneo e che la democrazia della Corea del Sud è una farsa”. I due erano impietriti, le bocche serrate, l’emozione del ricongiungimento strangolata dall’assurdità della situazione. Kim Jong-Il parlò per loro: “Avanti, abbracciatevi. Perché state lì impalati?” In seguito, Kim Jong-Il li invitò a risposarsi: gli ex coniugi obbedirono, accedendo ad un mondo di privilegi, contratti annuali da 3 milioni di dollari, agiatezza e feste follemente innaffiate dal cognac3.

(Continua a pag. 2)

  1. E talmente tanti altri titoli da far invidia a Idi Amin. []
  2. Il nome deriva dal luogo di nascita di Kim riportato nella biografia ufficiale. In realtà, il Caro Leader è nato in Siberia. []
  3. Un retroscena su queste feste, riportato da Shin nel suo libro, descrive cos’è stato veramente il regime di Kim Jong-Il – probabilmente meglio di una dozzina di analisi geopolitiche messe insieme. Ad una festa di compleanno di un generale dell’esercito nordcoreano si stanno svolgendo le solite celebrazioni per il figlio del Presidente. I militari marciano in suo onore, e delle ragazze gridano alla sua direzione: “Lunga vita al Grande Leader!” Osservando la pantomima, il Caro Leader si rivolge a Shin e gli confida: “Signor Shin, è tutta una messinscena. Stanno solo facendo finta”. []

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Drop the Hate / Commenti (2)

#1

arco
Rilasciato il 21.12.11

Ottimo articolo. Chissà se Shinya Tsukamoto ha mai visto questo film: il suo Tetsuo ricorda un po’ questo Pulgasari.

[ps: il gourmant è voluto?]

#2

La Nouvelle Vague Del Caro Leader | La Privata Repubblica
Rilasciato il 13.03.12

[…] dal regista rapito Shin Sang Ok, “Pulgasari” è la versione juche/socialista di Godzilla. Una teoria interessante sul film è stata […]

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