Visa For Veneto

Pubblicato da Blicero il 6.04.2010

Appena ho messo piede al Marco Polo di Venezia mi è sembrato tutto normale. Ero tornato per poco meno di una settimana dall’Erasmus a Parigi, principalmente per recuperare un barlume di eterossessualità e per farmi trapiantare un fegato nuovo. Sapevo che c’erano state le Regionali, a cui non ho votato per mancanza di alternativa tra Zaia, Zaia e Zaia, ma sapevo altresì che la transizione, dopo 15 anni ininterrotti di strapotere forzista, avrebbe impiegato più di qualche ora per arrivare a conclusione. Mi sbagliavo, terribilmente.

Di solito, comunque, dopo aver ritirato la valigia dai nastri ci si dirige verso l’uscita e nessuno ti controlla più. Ma questa volta degli agenti (in divisa verde, simile a quella della polizia degli anni ’70) controllavano i documenti e provvedevano a smistare il flusso dei passeggeri nelle apposite categorie social-geografiche: Veneto-Padani, Terroni, Pedofili (cioè cittadini comunitari). Per gli extracomunitari, invece, era previsto un bus navetta curiosamente blindato e provvisto di grate metalliche sul parabrezza e su tutti i finestrini. Che gentili, ho pensato, finalmente hanno collegato l’aeroporto con il resto del mondo civilizzato. Poi ho realizzato che vicino all’aeroporto c’è Porto Marghera, e che delle vasche di liquame tossico sono molto più economiche dell’edificare un campo di concentramento – almeno per i primi tempi.

Ad ogni modo, l’agente doganale allo sportello “Veneto” mi ha rassicurato subito, accogliendomi con un caloroso sorriso, una spilla con al centro una specie di svastica formata dal Sole delle Alpi opportunamente ricomposto, una copia de “L’invenzione della Padania” di Gilberto Oneto e delle salviette detergenti, “in caso di brutti incontri”. L’ho ringraziato, poi mi sono finalmente affacciato sul parcheggio antistante l’aeroporto. Girandomi ho notato che due imponenti drappi verdi andavano a coprire le estremità di destra e di estrema destra della struttura. Al centro c’era un cerchio bianco, e all’interno di esso la stessa strana svastica presente sulla mia nuova spilla. Ho guardato perplesso mio padre, che mi ha fatto cenno di lasciar perdere, e sono entrato nel treno piombato che mi avrebbe riportato a casa. In orario.

Non vedevo C. da un paio di mesi, da quando l’avevo lasciata in lacrime dentro la sua macchina dopo un ingoio non particolarmente soddisfacente e una lettura forzata dei rantoli di Massimo Fini sulle donne. Sono riuscito ad arrangiare un rendez-vous strategico in un locale dopo immancabili scuse, promesse di essere diverso, “l’esperienza all’estero mi sta cambiando”, abiure politiche e sessioni congiunte Baustelle-Tiromancino per innalzare la soglia del dolore. E insomma, dopo qualche drink, tentennamenti e commenti sulle ultime elezioni finalmente riesco a portarla a casa sua. Libera.

Sembra andare tutto per il meglio, ma quando incomincio ad avvicinarmi per affrescarle la morbida e slabbrata staccionata lei mi ferma e mi intima di rivolgere le attenzioni solamente al posteriore. Oh, certamente!, dico io, ignaro delle reali motivazioni. Già pregustavo reazioni indignate di collettivi post-femministi e invettive di studentesse fallite di psicologia sulla connessione tra la mia naturale ossessione per il sesso anale, Freud e un latente sintomo di onnipotenza maschilista riconducibile al mio animo-intimamente-fascista-anche-se-tento-di-rimuoverlo, ecco, stavo pregustando questa dolce e sana penetrazione anale quando lei mi blocca ancora con quattro semplici parole: “Veneto, modello anni ’50”. Ah, dico io. Devo rimanere vergine fino al matrimonio, sono le disposizioni di legge entrate in vigore giusto oggi, mi dice lei. Oggi dei tecnici mi hanno applicato un microchip dentro la vagina per rilevare penetrazioni di ogni tipo, aggiunge. E va bene: così almeno la Ru486 non servirà più a nulla, e potrà anche non ammuffire nei magazzini come ha già promesso il Caro Governatore.

Ad ogni modo dopo un’insufficiente consumazione le vengo, per sbaglio, in un occhio. E lì, mi dispiace, nessuna pillola riuscirà a raschiare via alcuna incrostazione.

Un ordinario pomeriggio di regime nella nuova Nazidania. La televisione riporta scene di pestaggio selvaggio da parte della Guardia Nazionale Veneta ai danni di alcuni operai extracomunitari, e la susseguente dichiarazione di solidarietà ai soldati da parte delle gerarchia ecclesiastiche: “Tra noi e la Lega Nord c’è comunanza assoluta di vedute”. La Passione di Gesù Cristo ringrazia.

Dunque esco per andare a tagliarmi i capelli al barbiere di fiducia. Di solito me li regola un attimo, di modo che il taglio duri almeno due mesi. Ma questa volta no, evidentemente ha risentito visceralmente del risultato elettorale e ne è venuto fuori un taglio a metà strada tra un ufficialetto della Hitlerjugend e le reclute di Full Metal Jacket dopo la scena iniziale – mancavano solo i baffetti, ma l’ho fermato in tempo. Dopo lo scempio perpetratomi decido di fare un giro in centro. Passo in libreria e compro un libro.

Poi succede l’inimmaginabile. Mentre tengo il libro in mano, un signore di circa 60anni passatomi di fianco si getta a terra, contorto orribilmente dagli spasmi, una sostanza giallognola che sfrigola in abbondanza dai vestiti e dalla carne, gli occhi che schizzano ed esplodono ed infine l’evaporazione del corpo in un tripudio di fischi e sinistri suoni organici. Succede di nuovo con un ragazzo, e ancora con una signora di mezza età, e ancora con un’altra dozzina di persone, ad ogni passo. Oddio, penso, sono diventato un assassino. Ma io non volevo signor giudice, non ho fatto nulla, ho solo comprato un libro. Come si dichiara imputato, colpevole o colpevole? Colpevole, signor giudice. Bene, la condanniamo per 15 anni a 5 ore di internamento con l’on. Mario Borghezio, che per l’occasione digiunerà ogni settimana per 6 giorni interi, in un cubo 3×3 senza finestre e senza luce. Nulla da eccepire, signor giudice. Il dolore incomincia ad irradiarsi per tutte le mie membra, quando in lontananza scorgo tre poliziotti in divisa verde correre verso di me. Chiudo gli occhi.

Li riapro e sono di nuovo davanti allo specchio del salone, con il barbiere dietro di me intento a sforbiciarmi con precisione nazionalsocialista i capelli. Chiedo a lui se c’è una rivista, onde evitare di tornare ad immaginarmi certe cose. Mi dice che in città la carta stampata (e più in generale la lettura) è stata proibita d’imperio, dopo che un recentissimo studio scientifico ne ha dimostrato la dannosità cerebrale. Mi riguardo allo specchio e vedo che gli adolf-baffetti, alla fine, me li ha fatti. Fanculo. Pardon, Sieg Heil.

Mi stavo per addormentare quando delle ombre si agitano in prossimità del mio letto. Una mano mi cinge lo stomaco, un’altra mi tappa la bocca con un fazzoletto di stoffa imbevuto di un qualcosa che sa di disinfettante, un’altra ancora mi blocca le gambe. Svengo.

“Se è vero che San Marco d’Aviano combatteva con la croce in mano…” Un eco mi ridesta dal torpore. Immagini sfocate scorrono sulle mie retine, lontane da me. Guardo, ma non vedo. “…Tirando dietro di se i battaglioni, indicando e dando precise lezioni e indicazioni tattiche di vera battaglia…” Scorgo navate, rosoni, colonne, vetrate e grossolani affreschi a buon mercato. Sì, sono in una chiesa. Com’è possibile? “…Io vi incoraggio a abbracciare la vita cristiana tutta intera, con tutte le sue virtù”.

Dal pulpito il prete/oratore tiene continuamente il braccio teso. La tonaca assomiglia ad una camicia nera e i pantaloni e gli stivali lucidi vanno a completare un abbigliamento non esattamente clericale. La Chiesa è gremita, tutti portano una tunica verde. Un urlo squarcia il momento di apparente raccoglimento collettivo. La muta di preghiera si trasforma in muta di guerra. “VINCERE. E VINCEREMO” sbraita il prete dalla capigliatura a spazzola e il braccio perennemente teso, sputacchiando sul microfono. Tutti i presenti si battono un colpo sul petto, stendono il braccio destro verso l’alto soffitto della chiesa, quasi come a volerlo toccare, poi tirano fuori dalla tasca un cappuccio verde bucato sugli occhi, naso e bocca e se lo indossano all’unisono, creando un inquietante fruscio amplificato dal rimbombo della struttura sacra. Fiaccole si accendono dal fondo, il fuoco promana velocemente di mano in mano, fino al pulpito.

La spedizione è pronta a partire, per vendicare la morte del figlio di Dio compiuta da Roma Ladrona. E questa volta ho l’impressione che la concezione non sarà così immacolata.

Mi trovavo in un McItaly con alcuni amici quando ad un certo punto ho captato frammenti di conversazione in dialetto dal tavolo vicino al mio. “Ma vedi, Zaia è uno rispettabile, è stato dirigente d’azienda, è presente sul territorio, ha un volto rispettabile, non alza mai la voce, sa anche parlare!” esclama un uomo in giacca e cravatta. “Sì, hai proprio ragione – gli risponde l’altro commensale, anch’egli in giacca e cravatta – Zaia è l’uomo rispettabile della Lega, sono contento di averlo votato, penso che possa rappresentare perfettamente gli interessi della nostra terra”. “Già, poi ha anche una certa cultura, vero?” “Assolutamente! Anche se a sentire la parola cultura io metto mano alla fondina, lo sai”.

Interrompo l’intercettazione ambientale, finisco il panino, saluto i miei amici e scappo verso casa. E nel tragitto riesco solamente a pensare che anche Goebbels, del resto, amava il cinema.

Sono sul viaggio di ritorno all’estero, e sì, cari elettori/cittadini/sudditi veneti, ve lo dico dal profondo, non siete popolo mediterraneo, non popolo padano, non popolo antico, ma regione morente, regione frammentata, divisa e avviluppata su se stessa. Popolo di infanti, infami, affamati, corrotti, di imprenditori sull’orlo della bancarotta, avvocatucci unti di brillantina, fighetti aridi, ignoranti, ipocriti. Ridete pure, sentitevi sicuri nella vostra enclave di irrazionalità fobica, evasione fiscale e leasing in scadenza, sentitevi protetti nei vostri rapporti umani dominati dalla paura, dal disgusto e dalla xenofobia istituzionalizzata.

Sentitevi al sicuro, davvero, e sprofondante una volta per tutte nel pattume della vostra pianura. E questo ve lo dico perché vi amo, non perché vi odio.

E l’amore vincerà sempre sull’invidia e sull’odio.

http://www.laprivatarepubblica.com/wptest/wp-content/uploads/2010/04/vforv-interlude.jpg

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Drop the Hate / Commenti (2)

#1

Charlie
Rilasciato il 07.04.10

standing ovation

#2

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Rilasciato il 12.04.10

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