L’Isola Che Non C’era – 3

Pubblicato da Blicero il 10.06.2008

La strage di Ustica ha avuto, sin dal primo momento, un fortissimo impatto sull’opinione pubblica e sulla scena politica del momento. La magistratura ha aperto in diverse sedi, subito dopo la caduta del DC9, varie indagini che poi si sono dipanate in 27 anni di storia italiana. Sono state prodotte più di due milioni di pagine di atti, migliaia sono state le udienze, moltissimi i soldi spesi per il recupero del relitto (affidata prima ad una società francese, poi ad una inglese), per le perizie, per le ricerche in loco. I filoni di indagine seguiti sono stati principalmente due.

Il primo riguardava gli esecutori materiali della strage, che erano e che sono sempre rimasti ignoti: da qui le richieste di archiviazione dei pubblici ministeri e l’ordinanza del giudice istruttore Priore (il processo si è celebrato con il vecchio rito processuale), che ha definitivamente posto una pietra sopra i realizzatori della strage. Nel senso che se ne riparla, forse, in un altra vita.

L’altro filone riguardava i depistaggi e ha visto sul banco degli imputati, almeno inizialmente, una cinquantina scarsa tra alti e altissimi ufficiali dell’aeronautica, radaristi e altri soggetti coinvolti a vario titolo la sera della tragedia. Dato che tra l’apertura delle indagini e l’ordinanza del giudice istruttore passano 19 anni, si dichiara il non luogo a procedere per la quasi totalità dei reati, effettivamente compiuti, per intervenuta prescrizione. Insomma, è passato troppo tempo tra la commissione del reato e la conclusione delle indagini.

Solamente quattro generali (Zeno Tascio, Corrado Melillo, Lamberto Bartolucci e Franco Ferri) vengono rinviati a giudizio per “attentato ad organo costituzionale con l’aggravamento di alto tradimento”. Il processo di primo grado, svoltosi presso la Corte di Assise di Roma, si conclude dopo quattro anni, nel 2004. Assolti Tascio e Melillo perchè «il fatto non sussiste» (art. 530 comma 2) e «per non aver commesso il fatto» (assoluzione piena). Più complicata è la posizione di Bartolucci e Ferri, rispettivamente capo e sottocapo di Stato Maggiore.

Infatti, nella sentenza di primo grado, oltre ad assolvere con formula piena i due ex alti ufficiali per alcuni capi d’imputazione, i giudici scrivono che la prescrizione deve essere applicata «in ordine alla contestazione di aver fornito informazioni errate alle autorità politiche, escludendo il possibile coinvolgimento di altri aerei nell’informativa scritta del 23 dicembre 1980», in quanto tale omissione ha provocato una «turbativa» per la conoscenza dei fatti dell’allora governo, retto da Francesco Cossiga, che aveva aperto un indagine governativa, poi conclusasi nel 1982.

La Procura, che aveva chiesto sei anni e nove mesi di reclusione per entrambi gli imputati e il riconoscimento dell’«impedimento» (e non quindi della sola «turbativa») nell’accertamento dei fatti, ricorre in appello. Il processo di appello, a differenza di quello di primo grado, si conclude nel giro di un anno. Entrambi gli imputati vengono assolti: «L’allora capo di Stato maggiore Lamberto Bartolucci e il suo vice Franco Ferri non depistarono le indagini, non commisero reato di alto tradimento». Nelle motivazioni dei giudici della Corte di Assise d’Appello, si legge, inoltre, che sostenere la presenza di altri aerei intorno al DC9 costituirebbe un «salto logico non giustificabile», dato che, da «vari accertamenti e comunicati», «risulta che tutti gli aerei italiani erano a terra, che i missili di dotazione italiana erano nei loro depositi, che gli aerei militari alleati non si trovavano nella zona del disastro e che nell’ora e nel luogo del disastro non vi erano velivoli di alcun genere».

Insomma, le ipotesi «dell’abbattimento dell’aereo ad opera di un missile o di un’esplosione a bordo non hanno trovato conferma dato che la carcassa dell’aereo non reca segni dell’impatto del missile e, nel caso della bomba all’interno dell’aereo, bisogna ritenere che l’ignoto attentatore fosse a conoscenza del dato che l’aereo fosse partito da Bologna con due ore di ritardo per poter programmare il timer con due ore di ritardo per l’esplosione visto che di criminali kamikaze che potessero essere a bordo allora non vi era traccia»; dunque, Bartolucci va assolto dato che «non ha omesso di comunicare al Governo nulla in quanto nulla effettivamente gli risultava», e Ferri perchè «il fatto non sussiste» (art. 530, comma 2 C.P.).

La decisione dei giudici d’appello, data anche la brevità dell’intero procedimento, viene subito criticata dai familiari delle vittime, che parlano di «sentenza vergognosa» e di «indecenza non solo per noi, ma per tutti i cittadini». La Procura Generale di Roma decide allora di presentare ricorso presso la Corte di Cassazione, chiedendo l’annullamento del processo d’appello poiché «il fatto contestato non è più previsto dalla legge come reato» (nel frattempo depenalizzato dal Governo Berlusconi nel 2005), anziché «perchè il fatto non sussiste». Il 1 giugno anche l’Avvocatura dello Stato, su mandato dell’appena insediatosi Governo Prodi, propone ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Assise d’Appello.

L’ultimo atto della lunghissima vicenda giudiziaria si chiude il 10 gennaio del 2007. La Suprema Corte respinge la richiesta della Procura, confermando la sentenza d’appello. Ai familiari delle ottantuno vittime viene dunque preclusa la possibilità di rivolgersi ad un tribunale civile per ottenere un risarcimento. Terminato quindi l’iter della giustizia interna, peraltro non sufficiente a stabilire sic et simpliciter quello che veramente è successo quella sera, dato che il disastro ha coinvolto più nazioni, resta da capire se mai si possa arrivare all’accertamento definitivo dei fatti che portarono alla caduta, o abbattimento, del DC9 I-TIGI.

Secondo Giorgio Bocca Ustica è e rimarrà sempre un «segreto di Pulcinella», e che sono proprio i «segreti di Pulcinella, quelli che tutti conoscono ma nessuno può provare, a resistere senza fine». Secondo Rosario Priore, invece, «occorre ripartire dalla ricostruzione dei fatti che i processi e il giudizio di legittimità hanno lasciato intoccata», unitamente ad un esecutivo «forte» che «faccia sentire la voce», al fine di arrivare, quantomeno, in prossimità della verità. Tra le mille incertezze che contraddistinguono una tragedia di tale rango, fatta soprattutto di deviazioni umane, di sopraffazioni dei deboli ad opera del cosiddetto potere precostituito e non, di impedimento e di realtà tanto torbide quanto inconfessabili, rimangono una certezza ed una sensazione.

La certezza è quella rappresentata dalle ottantuno persone che quella sera, non si sa come, persero la vita. La sensazione è quella di essere un paese a sovranità compressa, in cui il potere criminale e quello legale, apparentemente operanti in ambiti del tutto paralleli, vanno a convergere spesso e volentieri a discapito di quel nucleo fondamentale di valori, di regole e di principi che rendono saldi e rafforzano lo stato di diritto, nonché legittimano e rendono operante il concetto stesso di democrazia.

Ma fortunatamente è solo una sensazione. La realtà è un’altra cosa.

(Prima ParteSeconda Parte – Fine)

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Drop the Hate / Commenti (1)

#1

Maurizio Mingarelli
Rilasciato il 31.12.09

Ciao mi chiamo Maurizio Mingarelli (in arte RASKA). Ho scritto una canzone che tratta lo “SCEMPIO” di Ustica dal titolo: “UN GRIDO NEL CIELO”.La strage di Ustica è stato uno dei fatti più eclatanti accaduti nel nostro Paese e….citando una frase della mia canzone…lasciando in “UNO SGOMENTO TOTALE LA NAZIONE”!!!!!!!!
Vorrei ampliare il coro anche tramite la mia musica…per ricordare a non dimenticare quel maledetto 27 giugno 1980 quando quel DC9 sorvolando il cielo di Ustica fu vigliaccamente “Sventrato da un TONFO”!!!!!!!!!!!Non importa in quale luogo o manifestazione ma io voglio essere li con “UN GRIDO NEL CIELO”!!!!!Un grande e sincero abbraccio…..RASKA.

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