Il Mandarino È Marcio

Pubblicato da Blicero il 3.09.2008

(Articolo scritto in occasione dello scorso anniversario della morte del generale Dalla Chiesa, leggermente aggiornato. Non è cambiato nulla, ovviamente.)

3/9/2008-3/9/1982. Ventisei anni. Troppi, per ricordare. Meglio parlare d’altro. Meglio non parlarne proprio.

Nel 2008, la commemorazione di un eroe civile non fa notizia. Si capisce. Dalla Chiesa non è Alba Parietti. Dalla Chiesa non vendeva l’esclusiva a Vanity Fair per farsi ritrarre senza veli alla soglie dei cinquant’anni. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa appartiene ad un’altra epoca. Appartiene a ventisei anni fa. Ventisei anni fa è stato “maciullato” e “svisato”. Mica ieri. Mica oggi.

Cento giorni. La permanenza di Dalla Chiesa a Palermo, a villa Whitaker. Appena cento giorni di doppiopetto prefettizio – evidentemente già troppi, per qualcuno. Era una presenza oscenamente ingombrante, quella di Dalla Chiesa: aveva già capito tutto. Aveva già capito chi tirava le fila. Aveva già intuito la trasfigurazione della mafia. La mafia che, già ventisei anni fa, aveva smesso la coppola e si era fatta il nodo alla cravatta.

La Cosa Nostra aveva dato il suo placet alle quattro maggiori imprese catanesi. Garantiva per loro – per i Cavalieri dell’Apocalisse dell’onorata società. La Cosa Nostra era ormai diventata policentrica. Noi vi permettiamo di fare affari, voi ci fate un favore. La mappa del potere mafioso era stata ridisegnata. La strategia: cambiata. Il generale Dalla Chiesa l’aveva capito: “La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. […] a me interessa conoscere questa ‘accumulazione primitiva’ del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti à la page”.

Qualcuno all’interno dello stato aveva capito che Dalla Chiesa aveva capito. E sapeva che il generale stava reclamando a gran forza più mezzi. Più coordinamento, più strumenti, più provvedimenti. Sapeva, e agiva di conseguenza: stava fermo. Lo stato stava fermo. Le leggi non arrivavano. I rinforzi nemmeno. I poteri speciali? Figurarsi: non ci si poteva permettere di scivolare in quello che poteva lontanamente sembrare un retaggio fascista. Mettersi in testa di creare il nuovo Prefetto Di Ferro. No: vivi e lascia morire, piuttosto.

Dalla Chiesa, infatti, non viveva in una campana di vetro. Dalla Chiesa non era più un intoccabile. Dalla Chiesa era preparato: ti isoleranno. Ti stanno isolando. Ti hanno già isolato. Non sei più nell’antiterrorismo, Carlo Alberto. La P21 è già riemersa dall’ombra. Il mandarino è marcio2. Il cerchio più stretto della Rosa si sta chiudendo definitivamente. La mafia non è anarchia/insurrezione/rivolta. Il controterrorismo era la priorità. La Cosa Nostra non lo è mai stata. Il terrorismo è cosa loro.

Dall’isolamento agli AK-47 il passo è breve. Ventisei anni fa, dunque, veniva crivellato il corpo del prefetto Dalla Chiesa. Ventisei anni fa veniva approvata la legge Rognoni-La Torre (già sistemato dalla Cosa Nostra), la norma fondamentale dell’odierna antimafia. Due cadaveri eccellenti lastricati sulla strada, il conto da pagare. Neanche tanto, suvvia. Lo diceva anche Carlo Alberto, che la mafia è cauta e lenta e ti misura e ti ascolta e ti osserva. Con la Cosa Nostra o giochi a scacchi, o rovesci il tavolo su cui stavi giocando.

Dalla Chiesa giocava a scacchi, ma ha perso. Il tavolo non è stato rovesciato: non ce n’era bisogno. E’ solamente stato spostato di qualche centimetro, quanto basta. Carlo Alberto Dalla Chiesa ha perso: allora e per sempre. Perché lo scacco matto vale anche, e soprattutto, ora.

  1. Sull’iscrizione del generale Dalla Chiesa alla P2 così si è espresso Nicolò Bozzo: “Lo spinge a quel passo [l’adesione alla loggia] una serie di reazioni contradditorie: da una parte la necessità di difendersi da un’angheria che sta subendo, dall’altra la convizinzione che “così fan tutti”. Ma avendolo conosciuto bene, credo che anche la sua curiosità di investigatore contribuì a fargli compiere quel passo. Si “affacciò”, per usare le sue parole, a quell’uscio con la voglia di scoprire che cosa si nascondesse veramente dietro la sigla P2.” (da “Sragione di Stato” di Camillo Arcuri, ppg. 50-51.) []
  2. Anagramma delle BR riferito a Moro: “Il cane morirà domani”. []

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Drop the Hate / Commenti (2)

#1

andrea poulain
Rilasciato il 12.09.08

Il problema per chi fà questi lavori è venire a conoscienza di fatti scomodi.
C’è chi fiutando le possibili conseguenze finge di non intervenire ,e chi interviene per amore dello stato.si chiamano patrioti e dovremmo andare fieri di queste persone.

#2

Ettore Ferrero
Rilasciato il 20.12.09

Eppure, lo Stato, ha avuto ancora bisogno di Lui: del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Perchè con Lui si parla di Generale dei Carabinieri, che predisposto nei luoghi a maggiore pericolosità – nel Nord Italia scoppia il bubbone del terrorismo – si ha a che fare con un Generale con attitudine e predisposizione all’orientamento investigativo.
Comanda Regioni, carceri, Divisioni. Ma soprattutto è in grado, nel suo ruolo, di arginare sapientemente, e con la coscienza di validissimo Comandante, tutte le questioni di responsabilità che vengono affidategli.
Riscuotendo continui successi, che in concomitanza con l’impegno e la volontà dei Suoi Carabinieri, e delle altre Forze dell’Ordine, ha scardinato di volta in volta ogni velleitaria iniziativa brigatista. Dando un sostenuto e concreto appoggio alla salvaguardia della democrazia.
Anni particolarmente bui, dove l’impeto e la determinazione del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, in un’ miasma di depistaggi e continue rinunce, ha permesso all’opinione pubblica di rendersi consapevole, che la ricerca della verità svilita a cultura del sospetto, venisse condotta per mano ed emergesse, per quanto nella Sua possibilità, ad una realtà, che mettesse in risalto la pregnante disinvoltura con cui uno stato parallelo intesseva la sua ragnatela. A differenza di quanto sosteneva Hannah Arendt sulla – banalità del male – , o quanto i brigatisti erano sospinti dalla loro estrema ratio ideologica contro una visione dello Stato per la difesa della lotta di classe.
Quindi, successivamente, l’interesse dello Stato di scegliere il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa per frenare l’impeto della mafia in terra di Sicilia, che era predisposta ad attaccarlo frontalmente pur di dichiarare il suo potere in terra di mafia.In proposito vale ricordare che, il Colonnello Dalla Chiesa, dal’66 al’73, comandante della Legione di Palermo, informò la Commissione parlamentare Antimafia, dei rapporti, non propriamente leciti, che determinati esponenti della politica locale palermitana intessevano con esponenti di primo piano della mafia palermitana.
Alcuni dei quali presenti, durante la permanenza del neo Prefetto a Palermo.
Quindi, il compito essenziale , a cui doveva accingere il Generale Dalla Chiesa è il “normale” – per Lui – esercizio della sua funzione pubblica di Prefetto, ma nel contempo con interessi mirati a far fronte, anche, al contrasto della criminalità organizzata di stampo mafioso, nonchè ampliare la disamina della sua investigazione, anche ai rami che legano i profitti illegali della mafia con il mondo politico ed imprenditoriale: allargandosi in una visione globale d’insieme, anche, nelle Regioni del Sud maggiormente impregnate del fenomeno mafioso ( Calabria e Campania).
Quindi il Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, Generale dei Carabinieri, se da una parte aveva l’appoggio incondizionato del Governo Spadolini e del Ministro dell’Interno Virginio Rognoni,nelle sue dichiarazioni esposte sui giornali, che impongono per un certo verso una svolta nella lotta alla mafia, per contro rendono febbrile l’attacco della criminalità organizzata nei suoi confronti – eccidio del 3 Settembre 1982 – non spiegando, però, che cosa appariva agli occhi dei Corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano – ad oggi acclarando le sentenze confermate in Cassazione – la figura del Generale Dalla Chiesa in avamposto contro di loro.
E’ possibile sostenere, quindi, che chi volle la morte del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Prefetto di Palermo, aveva tutti gli interessi per cui determinati rapporti, o quantomeno verità scomode, venissero taciute…
Grazie…-

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