L’Arte della Divaricazione

Pubblicato da Blicero il 8.04.2008

Un ritmo perforante. Un artista a tutto tondo. Uno stile ricercatissimo, ineccepibile, curato sino in profondità, che pesca a piene mani nell’immaginario collettivo homo ed erotico. Una sfida a bocca aperta, un guanto gettato sulle paffute e benpensanti guance delle italiche genti. Una filosofia che gradevolmente sconvolge, insinuandosi in ogni orifizio intellettuale. Immanuel Casto potrebbe essere racchiuso in una frase, tratta dal suo pamphlet seminale Divarication: “Feci un’ orgia in cui non mi piaceva nessuno, ma essendo un signore, mi concessi come il galateo imponeva”. Potrebbe, appunto: ma non è sufficiente. In realtà, il Casto Divo è molto di più.

La mano non mi basta, voglio di più

Come ha scritto Matteo Bordone, “la musica del Casto Divo funziona, e ti accorgi se ti piace o ti ributta al primo ascolto. Prima, una roba così non esisteva”. Prima, intendiamo noi, che l’estrema e virulenta ondata oscurantista si abbattesse sul Belpaese, creando un clima di pseudo-inquisizione in cui sono ammesse tette (rigorosamente siliconate) al vento nelle reclamè, ma in cui le tematiche sessuali sono ricondotte alle nozione di peccato. Per non parlare delle conquiste sociali degli anni Settanta, sistematicamente smantellate e messe in discussione da pretofili atei e da bigotti in calore.

Una situazione da cui il Vergineo prende nettamente le distanze con la travolgente hit “Io la dò“, in cui viene esaltata la libertà di concedersi senza remore, spassionatamente, scevri da impalcature moraleggianti e pruderie sofistiche di sorta: “Deborah, la protagonista, è una sorta di martire, di eroina sacrificale. ‘Dalla per noi tu che puoi’ dice la canzone. Tu che sei libera da moralismi, tu che sai ciò che vuoi e lo mangi con gusto. […] Deborah è lo stereotipo del film porno, la tettona che comincia a urlare di piacere quando qualcuno le viene in faccia e che, quando due uomini la fermano per strada e la costringono ad una doppia penetrazione, reagisce con un sorriso.”

In un certo senso, il Divo è per noi ciò che Deborah è in “Io la dò”. Immanuel porta avanti le istanze sociali che noi, popolino impaurito, abbiamo paura solo a nominare. Significativa in tal senso è la strepitosa “Che bella la cappella“, in cui si narra il trascendente equivoco che può ingenerare l’attrazione tra il fedele ed il messo di Cristo in Terra, ovvero il sacerdote. Un liaison dangereuse nata all’ombra dei rosoni e delle campane di una chiesa, cioè nell’ambiente sacro per eccellenza, in cui noi siamo costipati, soffocati tra peccato, pentimento e redenzione.

Altro versante inquadra la sfolgorante traccia “50 bocca / 100 amore“, in cui il Vate fa assurgere il viados ed il marchettaro ad archetipi con i quali illuminare l’oscura “natura ossimorica dell’individuo nella società postmoderna”. Una denunzia ottimamente figurata nel relativo video musicale, nel quale la dicotomia interno/esterno ben si attaglia al contrasto che genera il volo che gli uccelli spiccano dai tetti delle costruzioni e l’angustezza del sotterranei in cui si muovono, emblematicamente danzando, Immanuel e le sue Beat Girls.

Feel the porn groove

Il Vergineo ha definito il suo stile musicale “porn groove”, ovvero una alchimistica compenetrazione tra colonne sonore dei film porno, del groove anni ’80 e della house dance anni ’90, senza disdegnare sortite urban chic e glam-hip-porn. Inutile dire che il suddetto stile si fonde alla perfezione con l’accentuato lirismo delle sue composizioni. Immanuel utilizza una lingua raffinatissima, che schizza fresca rugiada da ogni pertugio, senza ovviamente rinunziare alla sottile ironia che permea tutta la sua Opera.

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Drop the Hate / Commenti (2)

#1

fede
Rilasciato il 15.04.08

uaaau!! e io dov’ero, nel frattempo!?

#2

AkillerDee
Rilasciato il 20.04.08

Quando vuoi sul mio sito gli dedichiamo un articolo a quattro mani…musicalmente merita.Il Casto Divo è glamour,molto glamour e pure troppo…

Non ti negherò il mio deretano,te lo consegnerò chiavi in mano…

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