La Guerra Dell’Internet Avvocato

Pubblicato da Blicero il 19.01.2010

Erano giorni convulsi a Mountain View, in California. La battaglia di Google contro il governo cinese sembrava essersi assestata su una pericolosa situazione di stallo, con potenziali perdite per il colosso americano sia in termini economici che, soprattutto, di credibilità. La scelta di schierarsi (apparentemente) a favore dei diritti umani poteva costare molto caro agli ex enfant prodige di Stanford. Tuttavia, mentre il mondo seguiva con il fiato sospeso l’evolversi della vicenda, Larry Page, Sergey Brin e Eric Schmidt si erano trovati, segretamente, a dover affrontare un problema ben più minaccioso e pressante del regime autoritario.

Il freddo di metà gennaio, per nulla mitigato dall’effetto serra, sembrava trafiggere le vetrate del Googleplex – salvo poi infrangersi sulla tensione rovente nella sala del consiglio d’amministrazione straordinario. Schmidt poggiò una cartellina verde sul tavolo, la aprì, estrasse alcuni fogli e incominciò a passarli a Page e Brin. C’era scritto questo:

Meglio non incrociare Amedeo Nigra nell’esercizio delle sue funzioni. Per prima cosa è avvocato e giornalista, quanto di peggio vi sia in circolazione. In secondo luogo è stato comandante di un plotone assaltatori. Sotto quell’abito di taglio inappuntabile gli è rimasto appiccicato il pastrano da sottotenente del Sesto alpini, battaglione Trento di stanza a Monguelfo. Nel suo ufficio di Milano, infilato fra i tomi del digesto, tiene ancora a portata di mano la «custodia tattica per uso cucito» che aveva in dotazione 40 anni fa nella caserma in alta Val Pusteria, comprendente ditale, forbici, 3 rocchetti di filo, 10 aghi e 15 bottoni, non si sa mai che gliene saltasse via uno prima d’andare in udienza: provvederebbe da solo.

“Porca puttana” esclamò Brin, facendo scivolare il foglio dalla sua mano, visibilmente scosso. Page cominciò a scuotere la testa compulsivamente. Schimidt spezzò quell’atroce smarrimento con un “signori, non è tutto”. Venne esortato ad andare avanti, in qualche modo. Il CEO di Google si sistemò gli occhiali, ripose i fogli nella cartelletta, emise un sospiro e scrutò attraverso le finestre il distendersi dell’orizzonte, che il tramonto stava per consumare sotto i suoi occhi gonfi da 2 giorni di insonnia. “Nel 1995 Nigra citò in giudizio il ministero delle Poste perché il portalettere s’era ammalato e non gli recapitava la corrispondenza da dieci giorni. Nei suoi 61 anni di vita è stato anche paracadutista, fantino, guru della Rinascente per il marketing, conduttore televisivo a Telenova, autore di libri giuridico-economici controcorrente e, ascoltatemi bene, bersaglio della satira di Beppe Grillo”. Brin si alzò in piedi di scatto, e con le mani in tasca cominciò a camminare a passi lenti, quasi a voler misurare la stanza, quella stanza in cui aveva spesso trovato salvifiche corrispondenze o risolutive intuizioni che avevano permesso una delle più grandi avanzate commerciali della storia recente. Page, fissando nel vuoto, disse: “Bersaglio di Beppe Grillo? Questa proprio non ci voleva, cazzo…”

La situazione, a differenza di quanto si poteva pensare, era estremamente drammatica. L’avvocato Nigra, uno che aveva già messo in difficoltà l’Internet con il suo sconvolgente libro “Processo a Internet“, aveva infatti presentato un esposto all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato italiana in cui chiedeva di “accertare il carattere commercialmente scorretto delle affermazioni contenute sul sito www.googleitalia.com, dichiarando che lo stesso concreta un’ipotesi di pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole”. L’apertura del procedimento minacciava l’esistenza stessa del motore di ricerca più famoso al mondo.

Schmidt elencò i presunti capi di reato di cui si era macchiata la loro società: “In un’intervista ad un autorevole quotidiano italiano, Nigra ci ha accusato di non aver indicizzato adeguatamente i suoi visitatissimi siti, invisi ai poteri forti della finanza internazionale e, si dice, agli Illuminati”. “Già, www.marketing-sociale.com, vero?” domandò Brin. Page lo ammise a voce bassa, quasi come se dovesse confessare una denuncia dei redditi regolare ad un sacerdote dell’Opus Dei: “Lo guardo tutti i giorni, insieme a www.latutela-del-profitto.com. È come una droga, non riesco a smettere…” “In effetti – proseguì Schmidt – se si immette “marketing sociale” su Google il sito di Nigra compare solo al 70° posto, mentre se si digita “profitto” è addirittura 100°, dopo siti di gran lunga meno importanti quali Wikipedia”.

Una segretaria comparve sulla porta, dando un attimo di illusorio sollievo all’angosciosa aporia dei tre. Riportava alcuni aggiornamenti da Pechino, dove un gran numero di studenti aveva deposto dei fiori fuori dalla sede di Google.cn: l’autorità cinese li aveva dispersi e ne aveva interdetto la circolazione finchè non si fosse chiarita la querelle politico-legale con la sede madre negli States. Liquidata in malo modo, la dipendente venne invitata a giocare a biliardo o, in alternativa, a farsi una nuotata nelle piscine riscaldate del complesso.

L’avvocato italiano aveva tracciato collegamenti tra la Bibbia e l’economia, citando persino l’ultima enciclica di Benedetto XVI nel quale il Pontefice indicava la verità come “primo elemento del progresso umano, economia compresa”. Non c’erano dubbi: li aveva stanati. Page si chiese dove avessero sbagliato, chi avesse tradito l’azienda che la rivista Time aveva messo al primo posto tra i migliori ambienti di lavoro. Brin, forse esagerando nel collegare questa situazione al suo vissuto personale, arrivò persino a pensare ad una sofisticatissima operazione di sabotaggio e spionaggio industriale compiuto dai servizi segreti russi. Schmidt, con il suo tipico pragmatismo industriale postmoderno, li riportò entrambi sulla terra: “Articolo 1176 del codice civile, signori”. “Cosa?” esclamarono all’unisono Page e Brin. “Dovere della diligenza nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale” rispose Schmidt con un filo di voce. “Nigra dice che non siamo abbastanza trasparenti nello spiegare il funzionamento del nostro motore di ricerca”.

A quel punto subentrò la rabbia. Una rabbia irrazionale, scomposta, disperata. “Ma anche un ragazzino di 13 anni capisce come funziona Google, porca troia!” urlò Brin. Page ne smorzò l’effetto, come un placebo dopo un concerto grindcore norvegese: “Sergey, ricordati che non tutti hanno 13 anni, soprattutti quelli nati negli anni ’50, soprattutto in quel paese”. Aveva ragione. Aveva dannatamente colto il punto – fino a che Schmidt non riportò la ristretta assise alla paranoia del potenziale annichilimento.

“Signori, fermatevi ancora un attimo. La cosa più inquietante di tutta questa vicenda, oltre al fatto che Nigra ha processato l’Internet, è che lui ha tirato in ballo il concetto di multilateralità. ‘Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello ne è l’esempio sublime’, ha detto”. Page, sbigottito, domandò: “Pirandello era un multilaterale?” “Sì, Larry, lo era – gli rispose il CEO, rivolgendosi quasi al cielo californiano, ormai oscurato dalle tenebre invernali – E non solo lui. Anche Ray Charles. Il nostro avvocato lo ha definito ‘il più grande sintetizzatore di attrazioni, con la sua I can’t stop loving you, non posso smettere di amarti’. Aggiungendo poi: ‘Come faccio a definirmi un essere razionale se non posso smettere di amare?'”

Allora è una questione di Amore, pensò Brin. L’Amore lacerato, vilipeso. Odiamo l’Amore, tutti insieme. “Siamo fottuti, semplicemente e definitivamente fottuti” si lasciò andare qualcuno nella sala. Dodici anni di irresistibile ascesa, poi il contrappasso altrettanto repentino, 20mila persone per strada, senza un fondo pensionistico, l’agghiacciante immagine dei dipendenti oberati dagli scatoloni fuori dal Googleplex, lo stigma della vergogna irredimibile, il fallimento di un’intera generazione che aveva sperato nel cambiamento, sì, un cambiamento possibile, la filantropia, l’ecologismo, la responsabilità sociale d’impresa, Internet come veicolo di pace e profitti. Il capitalismo dal volto umano, troppo umano. Del resto, tira più una goccia di profitto che cento paia di buoi – qualunque cosa questo voglia dire.

Il mondo non poteva sapere. Davide poteva portare alla sbarra Golia, e questa volta non ci sarebbe stata nessuna amnistia. Bisognava bloccare il processo, anzi, non bisognava nemmeno farlo iniziare. Schmidt si mise a sedere, si tolse gli occhiali e si sfregò gli occhi. Una lacrima rigò il suo volto, così impassibile ma affabile in pubblico, così devastato in questi momenti perduti. L’espressione di Page era contorta come la struttura del più impossibile degli algoritmi. Brin viaggiava con la mente verso gli orribili ricordi collettivi delle strutture psichiatriche nell’Unione Sovietica. Don’t be evil. Non questa volta.

“Com’era quella storia della censura in Cina, Eric?”

(Illustrazione: Matteo Bertelli)

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Drop the Hate / Commenti (3)

#1

Marko Ramius
Rilasciato il 19.01.10

Non ho capito la conclusione, ma mi adeguo…

#2

Roy
Rilasciato il 19.01.10

Notevole…

#3

McLaud
Rilasciato il 20.01.10

…che fosse un esimio incapace, lo si capiva già dai testi che si pubblicava da sé. Ma ora ha il Signore© dalla sua, e sono CAAAAAAAZZIIIIIIII per tutti! JIHAD!

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