Il Boss Di Chicago

Pubblicato da Blicero il 27.10.2011

Nelle elezioni presidenziali statunitensi del 1972, George McGovern per un attimo sembrava in grado di sconfiggere Nixon. Underdog che aveva vinto le primarie del Partito Democratico contro tutti i pronostici, uomo onesto al di sopra delle lotte di partito che parlava di diritti civili e di ritiro totale dal Vietnam, McGovern era una sorta di incarnazione del buon senso, totalmente contrapposto alla Paranoia Cronica nixoniana. Il ticket elettorale tuttavia deragliò rovinosamente a causa di alcune cartelle cliniche filtrate sulla stampa (e tenute nascoste fino ad allora) del vicepresidente designato Thomas Eagleton, che qualche anno prima aveva sofferto di gravi crisi depressive ed era stato sottoposto più volte ad elettroshock. Nixon venne rieletto con una vittoria schiacciante e il Watergate uccise il sogno americano.

Il “caso Eagleton” è probabilmente il caso più clamoroso di incidenza del fattore salute-dei-potenti nella politica americana. Mentre da noi (e in altri posti tipo Venezuela) vige la tacita convenzione per cui non si può assolutamente parlare dello stato di salute dei politici, negli USA è richiesta una trasparenza medica che sfiora ampiamente l’ossessività. Ora, non dico che un candidato medio debba essere in grado di dimostrare che quella puntura di ape subita a 8 anni sia in grado di influenzare il finanziamento delle missioni militari, ma poco ci manca: il minimo sospetto di malattia è in grado di far evaporare intere carriere politiche. Durante la campagna elettorale del 2008 il repubblicano John McCain è dovuto andare a rovistare tra i certificati medici degli anni ’50 per dimostrare (più ai giornalisti che agli elettori) di non essere a rischio infarto miocardico ad ogni singola conferenza stampa.  E nonostante la grande produzione di documenti, sappiamo tutti com’è andata a finire.

Questo aspetto naturalmente è presente anche nei political drama – su tutti “The West Wing”. Ma è con “Boss”, serie ideata e sceneggiata dal relativamente sconosciuto 35enne Farhad Safinia e trasmessa per la prima volta venerdì 21 ottobre sul canale cable Starz, che l’aspetto Medicina In Politica è diventato la trama portante di un telefilm.

Il protagonista è Tom Kane (sontuosamente interpretato da Kelsey Grammer) ossia l’uomo che ha in pugno Chicago. Sindaco da tempo immemore, Kane ha un matrimonio con la figlia di un suo illustre predecessore che fa agevolmente impallidire i matrimoni di convenienza medievali, controlla la maggioranza dei voti del consiglio comunale, possiede un capitale politico tale da scegliere personalmente il governatore dell’Illinois, è un oratore di classe A, un cinico animale da retroscena e un professionista dell’accordo sottobanco che all’occorrenza perde facilmente la pazienza e si comporta come il peggiore dei bulli di quartiere.

Tom Kane, insomma, è all’apice del potere assoluto. Ma è anche un uomo che entro cinque anni morirà in disgrazia con un pannolone addosso, senza nemmeno ricordarsi chi è stato e cosa ha fatto nell’arco della sua vita, con lo sguardo perso nel vuoto e badanti a girarlo nel letto per evitargli le piaghe da decubito.

Il pilot – diretto da un Gus Van Sant che alterna una regia raffinata a gratuiti sfoderamenti del Lungo Pene Autoriale –  si apre appunto con la diagnosi della rarissima malattia neurodegenerativa (i Corpi di Lewy) che ha colpito il sindaco e che lo eroderà progressivamente in un crescendo di demenza mentale e perdita delle primarie funzioni biologiche. I primi cinque minuti sono un primo piano pressoché ininterrotto del sindaco: si passa dall’impassibilità con cui viene registrata la notizia della malattia, alla razionalizzazione disperata ed infine alla nevrotica risoluzione con cui Kane si appresta ad affrontare un comizio elettorale nel centro della città di Obama e a tessere le sue torbide trame politiche.

A prima vista “Boss” (o se non altro questo pilot) assomiglia al Perfetto Manuale Del Dramma Televisivo Politico: c’è il giovane Tesoriere di Stato comme il faut/Ivy League/però di origine working class che quindi capisce la gente bramoso di scalare la verticale del potere; la segretaria personale di Kane (una sodissima Kathleen Robertson, che in molti ricorderanno come la Clare di “Beverly Hills 90210”) metodica, glaciale e munita dei classici occhiali porno anni ’90; il disincantato, disilluso ed efficientissimo assistente quarantenne-qualcosa di Yale; consiglieri comunali latinos che si producono in arditi paragoni tra abbigliamento sportivo ed etnie prima di far mozzare le orecchie ad un suo collaboratore; l’immancabile Reporter Impavido che comincia da subito a torchiare il medico di Kane; e l’altrettanto immancabile, travagliatissimo appalto plurimiliardario (la costruzione dell’aeroporto O’Hare, in questo caso) che si trascina da 22 anni e su cui il Sindaco ha investito buona parte della sua carriera.

Con questi elementi, e considerato l’approccio del “Seguo La Politica Di Una Grande Città Per Raccontare Tutta La Politica Americana”, il rischio di scimmiottare pateticamente le ultime tre stagioni di The Wire è più che tangibile. Ma ci sono almeno due punti che, in previsione, tenderebbero a scongiurare tale evenienza. Il primo è Kelsey Grammer, che è anche uno dei produttori esecutivi. Grammer ha interpretato per 20 anni lo psichiatra radiofonico Frazier Crane nelle fortunate sitcom “Cheers” e “Frazier” – uno dei ruoli più longevi nella storia della televisione americana. Negli ultimi anni i suoi tentativi televisivi (sempre sitcom) sono stati un fallimento dietro l’altro. The Sketch Show (2005) è stato cancellato dopo sei episodi; Back to you  (2007) dopo una stagione; Hank (2009) dopo appena cinque puntate. In pratica, negli ultimi sei anni Grammer ha continuamente giocato il secondo tempo della finale di Champions League Milan-Liverpool del 2005 e ha perso malamente ai rigori.

Anche la sua vita privata non è stata esattamente esaltante. Il divorzio a colpi di carte bollate con la ex moglie Camille Grammer  (che ha recitato in “The Real Housewives of Beverly Hills”) è diventato un melodramma da tabloid e titoli a caratteri cubitali, e nel 2008 Grammer è stato vittima di un attacco di cuore. Questi due nefasti avvenimenti l’hanno spinto ad un cambiamento professionale e personale. “Ho sempre voluto recitare una parte più seria. Non ho iniziato come attore comico – ha dichiarato al Chicago Tribune –  Sono partito dai teatri classici, facendo tragedie. Quello è stato il mio primo amore”. Per Grammer, “Boss” è molto più che una serie su un sindaco moralmente riprovevole di Chicago: è l’opportunità perfetta di riscattare anni difficili e tempestosi. Ed effettivamente la sigla blues di Robert Plant à la The Wire potrebbe tranquillamente essere rimpiazzata da uno schermo nero con la seguente avvertenza: “Attenzione! Nei prossimi 50 minuti Kelsey Grammer farà di tutto per vincere un Emmy – come minimo”.

Il secondo punto è l’ambientazione stessa, Chicago, che secondo Safinia è il “ground zero della cultura politica odierna”. La cura da autentico political junkie che l’ideatore delle serie ha riposto nella ricerca sul funzionamento istituzionale di Chicago è perfettamente riscontrabile nella parte centrale del pilot.

Un lavoratore scopre accidentalmente un sito archeologico di reperti indiani proprio dove deve passare una delle piste dell’aeroporto O’Hare. La scoperta rischia di bloccare ulteriormente la grande opera. Per ovviare alla catastrofe, Kane stipula un accordo con i discendenti degli indiani per spostare il tutto in un museo ad hoc e far ripartire immediatamente i lavori. Ma c’è un grosso problema. Il consiglio comunale deve approvare in tempi strettissimi lo spostamento dei reperti e l’apertura del museo. Come fare? Semplice: è sufficiente far infilare di soppiatto l’apposito emendamento nel provvedimento sulla gestione dei rifiuti – una misura legislativa che a Chicago è importante quanto l’approvazione del bilancio, se non di più. Tutti i consiglieri, anche quelli d’opposizione, si vedono pertanto costretti a votare la norma con tanto di emendamento annesso al fine di evitare che le strade della propria circoscrizione si trasformino in discariche a cielo aperto.

Non è un caso che Safinia abbia affrontato subito il tema dei rifiuti. Come scritto in un articolo sul magazine online Gaper’s Block, “while many think of politics as trashy, in Chicago, trash is politics”. Nella città più grande dell’Illinois, la raccolta dei rifiuti a è sempre stata effettuata circoscrizione per circoscrizione (ward). Recentemente il vero sindaco Rahm Emmanuel ha proposto di passare ad una raccolta a griglie (grid system), in modo da razionalizzare le rotte dei camion della spazzatura, redistribuire equamente il carico di lavoro e tagliare almeno 60 milioni di dollari di costi inutili. Il piano del sindaco ha dovuto però fare i conti con una sorta di ammutinamento all’interno del Consiglio. Sebbene i consiglieri tecnicamente siano dei legislatori, la loro figura è de facto quella di amministratori di circoscrizioni-cittadine che arrivano fino a 60mila abitanti. E in un sistema fortemente parcellizzato come quello chicaghese, la raccolta circoscrizionale è una risorsa politica formidabile.

Se da un lato “Boss” eccelle nella ricostruzione dei meccanismi di una politica corrotta, dall’altro tende decisamente a strafare sotto alcuni aspetti, in primis i dialoghi. Intendiamoci: sono indubbiamente ben scritti; ma forse sono troppo scritti. È come se alla fine di ogni monologo o scambio di battute Safinia volesse strappare una standing ovation, salutare attraverso la telecamera famiglia & amici e vendicarsi di qualche fidanzata storica che l’ha lasciato per mettersi con un broker fallito di Lehman Brothers o un lobbista. Un altro aspetto è che si vogliono mettere sullo schermo troppe cose, seguire troppe storie. Il subplot della figlia di Kane (che fa la responsabile di una chiesta episcopale) è tedioso e inutile, e sembra che sia messo lì solo perché Van Sant possa girare dei close-up ravvicinatissimi agli occhi di Hannah Ware in alcune ridondanti scene di spaccio, disagio di periferia nera e insanabile incomprensione padre-figlia.

“Non sapevo che un uomo che cade fosse una cosa talmente bella”, disse il barone des Adrets (al secolo François de Beaumont, capitano francese nelle guerre di religione del XVI secolo) durante una battuta di caccia nella quale un suo uomo era rotolato giù da un precipizio insieme all’orso che lo aveva attaccato. Se mantiene certe premesse, “Boss” potrebbe essere la narrazione terribilmente accattivante della caduta inarrestabile di un uomo di potere. Non serve davvero altro.

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Drop the Hate / Commenti (4)

#1

Destrosio Al Magnesio
Rilasciato il 27.10.11

Soosteneva Hunter Thompson che McGovern era dipendente dalla ibogaina, ancestrale droga dagli effetti psicoattivi, e che veniva colto da allucinazioni durante i comizi elettorali per le primarie del ’72. Oltre a essere riportato in “Fear and Loathing in the campaign trail ’72”, vi sono alcune immagini dell’epoca in “Life & Work of dr. H.S.Thompson” di un McGovern un pò spaesato.

Scusate se suona un po’ tutto a “Lo sapevate?…”

#2

Blicero
Rilasciato il 27.10.11

Non era McGovern, era Edward Muskie: http://en.wikipedia.org/wiki/Ibogaine#Popular_culture

#3

Destrosio Al Magnesio
Rilasciato il 27.10.11

Mancava un pezzo…
Diciamo che Thompson creò il gossip al riguardo, lo alimentò dicendo che era vero che c’era un gossip al riguardo, e la storia assunse un tono tra leggenda e realtà.

#4

Destrosio Al Magnesio
Rilasciato il 27.10.11

Muskie, vero.
Scusate.

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