Forza, Lupo!

Pubblicato da Tamas il 25.02.2011

Voi lettori, che siete gente sveglia, sapete meglio di me che la giustificazione dell’invidia per ogni atto ostile mosso contro qualcuno che spicchi per qualche motivo sulla massa (perché è ricco, intelligente, affascinante, famoso; quello che volete) regge fino a un certo punto, o molto spesso non regge per nulla e si rivela per quel che è, ossia un ridicolo alibi.

Resta il fatto, tuttavia, che la maggior parte della gente è noiosa e vive esistenze noiose. Giovanni Di Stefano, avvocato italo-inglese arrestato a Palma di Maiorca il giorno di San Valentino, non appartiene a questa stragrande maggioranza di grigi figuranti. Lo si accusa per l’occasione di frode e appropriazione indebita, e a occhio e croce non si tratta di teoremi tanto inverosimili (si tenga presente, tuttavia, che negli anni ’80 la giustizia inglese lo condannò per lo stesso crimine a cinque anni, salvo cancellare in appello, dopo tre anni, ogni attribuzione). Ma incastrare Di Stefano per simili criminucci sarebbe ridicolo.

Giovanni Di Stefano, nato nel 1955 a Petrella Tifernina e portato cinquenne a Northampton (ma lui definisce quel trasloco “un rapimento“, è il figlio di emigranti che si ribella al proprio destino anonimo, che a venticinque anni diventa ricco importando videocassette da Hong Kong, che a trentasette vola in Jugoslavia e diventa consigliere di fiducia, e amico, di Željko Ražnatović “Arkan” e di Slobodan Milošević. In seguito si vanterà di aver lealmente onorato quest’amicizia:

Quando arrivavano le bombe su Belgrado, nel 1999, tutti sono scappati via. Io invece il 24 marzo sono partito per Belgrado per essere con il presidente e con Arkan. Uno non può mangiare al tavolo di un amico, di un cliente e poi scappare nel momento in cui l’amico è in difficoltà. Questo sono io, Giovanni Di Stefano, di Petrella Tirfernina, figlio di gente leale. Neanche i romani ci hanno conquistato a noi.

Giovanni Di Stefano è l’uomo che forse non è neanche abilitato a comparire in tribunale – la questione è controversa, e nel 2004 la giustizia britannica ha indagato a proposito, senza risultati – e che però vanta tra i propri clienti Saddam Hussein, Charles Bronson, Alì il Chimico, Ronald Biggs1, Charles Manson e Ian Strachan2, Manuel Noriega, mentre sostiene di aver incontrato o conosciuto John Gotti, Bernie Cornfield, Mohamed Al Fayed, Hugh Hefner, Khomeini,  Gerry Adams, Rupert Murdoch, Yasser Arafat. Una volta, a Bagdad, Di Stefano ha anche stretto la mano di un certo Osama Bin Laden, ricevendone peraltro un’ottima impressione:

Ho trovato che avesse la stretta di un prete. Molto… soffice. Un effetto calmante. Quasi come uno psichiatra, in qualche modo. E la sua profonda conoscenza delle belle arti: ti ci sentivi a tuo agio. E aveva un meraviglioso sorriso, un naso aquilino che mi ha ricordato Dante.

Per quanto sia piccola la frazione di verità nelle sue parole e nei suoi aneddoti, non si può comunque negare che Di Stefano ha fatto molta strada, e che aveva totalmente sbagliato le proprie valutazioni il preside che scrisse di lui, novenne, che “non avrebbe combinato nulla nella vita” (pagella che peraltro giunse a casa Di Stefano opportunamente corretta: “farà qualcosa nella vita”). Bisogna anche dire che quel preside, ex prigioniero di guerra dei giapponesi, odiava gli italiani in generale. Lo ricorda bene l’avvocato: “Lo avevano appeso per i pollici, perciò aveva questi pollici rivoltati, ma cosa c’entrasse con questo un bambino di otto anni, davvero non lo so. Merda, non ero neanche nato”.

Giovanni Di Stefano, inoltre, è anche produttore musicale, manager sportivo, uomo politico3; ed è soprattutto la mente geniale, benché forse non candida e innocente, che dopo l’arresto di lunedì scorso si è paragonato a Julian Assange; colui che vede una persecuzione politica dietro il mandato di cattura emesso da Londra e che vuol rispondere chiamando sul banco dei testimoni, se e quando si celebrerà il processo, Anthony Charles Lynton “Tony” Blair, da lui recentemente denunciato per crimini di guerra e violazione della Convenzione di Ginevra.

In breve, Giovanni Di Stefano, meglio noto all’opinione pubblica anglosassone come l’Avvocato del Diavolo, è un personaggio letterario, prima ancora che un presunto criminale. Dev’essere chiaro, perciò, che è molto difficile condannare la letteratura, o accusarla di malversazione e appropriazione indebita; per meglio dire, è possibile farlo, ma è certo che da un processo simile non scaturirà altro che un’altra vicenda assurda, surreale, patetica, vile e grandiosa: in una parola, un romanzo, la cui redazione non si può che attendere con curiosità.

Nel frattempo, resta il dubbio se ad attaccare periodicamente l’emigrante di successo e a provare a ricondurlo al proprio posto nella società sia l’invidia, la giustizia, il fato, la decenza; o se non sia piuttosto un singolare miscuglio di tutto questo, immaginato e realizzato con maestria da un narratore onnisciente e invisibile.

  1. Uno della banda che assaltò il postale Glasgow-Londra in quella che è passata alla storia come la Grande Rapina al Treno. []
  2. Colui che tentò di ricattare con foto compromettenti un membro della famiglia reale. []
  3. È a capo del Radical Party of Great Britain. []

Condividi

Drop the Hate / Commenti (1)

#1

Cani Pazzi Per L’Avvocato Del Diavolo - La Privata Repubblica
Rilasciato il 05.05.11

[…] già parlato tempo fa dell’avvocato anglo-italiano originario di Petrella Tifernina (Campobasso), dietro […]

Fomenta la discussione

Tag permesse: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>