Anatomia Di Una Giornata Andata A Puttane

Pubblicato da Blicero il 14.01.2013

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Un Pomeriggio Visto Attraverso Il Prisma Di Un Blindato In Fiamme

A Piazza San Giovanni piovono sampietrini e bombe carta, i tonfi delle spranghe si mischiano alle urla e l’odore aspro dell’immondizia rovesciata controbilancia quello della plastica che brucia. Non si riesce a vedere nulla, una coltre di fumo e lacrimogeni separa i due schieramenti. Le gittate delle pietre diventano sempre più lunghe. Dentro un’auto ormai distrutta un poliziotto è sdraiato e si tocca il ginocchio. Grida dal dolore, non riesce a muoverlo. Intorno i fotografi cercano di immortalare quella che potrebbe essere un’immagine da copertina.

Poco più in là, un agente in tenuta antisommossa osserva la guerriglia, digrigna i denti e comprime i pensieri sotto il casco: «Maledetti! Guardate là il collega ferito, è la fine del mondo, è un’altra Genova, questa. Noi stiamo qui a fare le belle statuine mentre in testa ci piove di tutto. Siamo carne da macello». Un blindato dei carabinieri si lancia in piazza, s’incastra, è preso d’assalto. «Guardate quanti incappucciati circondano il blindato dei carabinieri. Altro che pochi violenti isolati, diamine. I colleghi al posto di guida vedono la morte in faccia e magari pensano a quello là, come si chiamava, a quello che ha sparato a Giuliani a Genova». L’agente sospira. «È una follia, cazzo. Una fottuta follia. Questa maledetta politica buonista è una follia».

All’interno del blindato, sotto una gragnuola di bastonate e sassi, il carabiniere Fabio Tartaglione non riesce ad andare né avanti né indietro. La portiera della camionetta è forzata e lo specchietto spaccato. Le ruote girano a vuoto, sull’asfalto c’è di tutto: cubetti di porfido, bastoni, assi di legno, segnali stradali. Mentre è ancora al volante, i colpi gli fratturano il naso e un osso del volto. Il carabiniere decide di scendere, abbandona il mezzo e scappa, correndo disperatamente con il terrore sulla faccia, la testa sul punto di esplodergli e gli inni di morte attorno a lui. «Meno male avevo il casco, solo così mi sono salvato», dirà ai giornalisti. E ancora: «Di manifestazioni ne ho fatte, ma non ho visto mai una cosa così».

La camionetta viene velocemente consumata dalle fiamme. Davide Rosci – un trentenne di Teramo con «precedenti come ultras abruzzese», militante di Azione Antifascista Teramo e primo dei non eletti alle ultime elezioni comunali nelle liste di Rifondazione Comunista – assiste alla scena. Non sta tirando pietre, non sta rompendo nulla, non si sta scagliando contro alcunché. Si limita a osservare. Una macchina fotografica lo cattura mentre ride di spalle al blindato. In una lettera, di parecchi mesi successivi a quel giorno, scriverà: «Eravamo in piazza per il nostro futuro, per un lavoro che ci garantisse sicurezza e stabilità, per una pensione che ci sostenesse nella vecchiaia, per un diritto allo studio. […] Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso».

Hanno perso tutti.

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L’8 gennaio 2013 il gup Massimo Battistini del Tribunale di Roma, al termine del rito abbreviato, ha condannato a sei anni di carcere (ciascuno) sei «soggetti provenienti da Teramo»1 imputati di devastazione e saccheggio, resistenza e lesioni pluriaggravate a pubblico ufficiale.

«Fu uno scenario tipico da guerriglia urbana – aveva scritto il Gip nell’ordinanza di custodia cautelare – dove centinaia di soggetti incappucciati, che risulta difficile pure qualificare come manifestanti, hanno assalito i blindati delle forze dell’ordine nel tentativo di bloccarne il transito, con il lancio di sassi, bombe carta, bastoni, spranghe, segnali stradali, formando anche delle barricate con cassonetti rivoltati e dati alle fiamme».

Per le forze dell’ordine, tutti gli imputati «sono risultati inseriti nel contesto delle tifoserie violente organizzate, già resesi protagoniste in passato di scontri feroci con le forze dell’ordine», ed avrebbero partecipato alla manifestazione del 15 ottobre 2011 «non per partecipare a una civile forma di protesta sociale, ma soltanto come pretesto ed occasione per dare sfogo ai propri sentimenti di ostilità e di avversione verso le forze di polizia».

Un articolo de La Stampa li ritrae come persone «di umile estrazione socio-economica», che «possono lavorare solo al mattino e guadagnano tra i 200 e i 500 euro al mese» – dunque appartenenti in pieno a quella che Sandro Chignola ha definito una «composizione sociale nuova», composta da «pischelli, precari figli di precari per cui il no future diventa condizione materiale di esistenza». Per i loro difensori, i sei di Teramo (a cui non è stato concesso «di raggiungere i genitori per la cena di Natale») sono invece «vittime di un sistema iniquo che non solo non ha rispettato le diverse situazioni pregresse, considerato che alcuno sono incensurati e altri no, ma li ha giudicati con un metro diverso da quello adottato nei confronti di Fabrizio Filippi, detto “Er pelliccia”».

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Maria Cristina Gariup, avvocato di Davide Rosci, ha dichiarato in un’intervista a La Stampa che «l’attribuzione del delitto di devastazione e saccheggio non [è] condivisibile», poiché «non c’è la prova di quanto contestato agli atti». Tuttavia, la stessa Gariup ritiene che «il reato, in astratto o in concreto, possa anche sussistere. Roma si è svegliata dopo quel 15 ottobre in una situazione di disagio. Però quanto è accaduto per opera di centinaia di persone, è successo in 5 ore e in uno spazio fisico di decine di chilometri».

Ma come aveva vissuto quel pomeriggio Roma? Com’è andata a dormire la Capitale quella sera?

Una recente ricerca di Donatella Della Porta (autrice di Polizia e protesta e molti altri saggi) e Lorenzo Zamponi – intitolata Protest and policing on October 15th, global day of action: the Italian case e pubblicata nell’ottobre 2012 sulla rivista specializzata Policing and Society – è un’autentica manna dal cielo per tutti i Riot Nerd interessati a ricostruire in profondità i fatti del 15 ottobre e il contesto ideologico-giuridico in cui sono maturate le condanne d’inizio anno.

  1. Davide Rosci, 30 anni di Teramo, Marco Moscardelli, 33 anni di Giulianova, Mauro Gentile, 37 anni di Teramo, Mirko Tomasetti, 30enne svizzero di Baden, Massimiliano Zossolo, romano di 28 anni, e Cristian Quatraccioni, 33 anni di Teramo. []

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Drop the Hate / Commenti (4)

#1

El_Pinta
Rilasciato il 14.01.13

Ottimo post in margine a cui ti chiedo un’opinione personale.
Pensi davvero che l’intervista di Bonini sia attendibile?

#2

Girfalco
Rilasciato il 14.01.13

Complimenti, grazie per l’analisi, davvero ben fatta.
In merito, mi sembra un controsenso difendere una maggioranza (visto che in teoria dovrebbe autodifendersi in quanto tale).

#3

Gianni Gallina
Rilasciato il 15.01.13

Davvero un ottimo articolol
cosa ne pensate del servizio delle Iene su Barbareschi?

https://www.facebook.com/photo.php?v=10151417427555530

grazie vi ascolto sempre
complimenti per la trasmissione

#4

McLaud
Rilasciato il 28.01.13

Come al solito, un articolo ben scritto e ben documentato.

Aggiungo solo che se è vero che vi è parte della magistratura che condivide il genere di interpretazione ed applicazione del diritto penale che hai ricostruito, c’è anche una quantità di giudici che si sottraggono alla meccanica trasmissione dei meccanismi di tutela del potere o anche a quelle limitative della libertà d’espressione (e basta pensare alla sentenza della Corte costituzionale sul reato di associazione antinazionale o alla sostanziale disapplicazione che molti altri delitti “contro la personalità dello stato” conoscono nella prassi).

Per altro verso, non mancano giudici che si prestano a manovre di carattere politico e l’esito delle vicende processuali seguenti al G8 di Genova è in questo senso quanto meno emblematico, con De Gennaro assolto da ogni accusa, mentre diversi alti funzionari vengono condannati – alcuni ingiustamente – a mo’ di capri espiatori (senza che vengano inoltre concesse le attenuanti generiche, in genere automaticamente riconosciute a chiunque: da mafiosi a terroristi, da politici a delinquenti comuni…).

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