Prossimamente Sul Vostro Posto Di Lavoro

Pubblicato da Blicero il 2.01.2013

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«Glielo avevo detto che sarei tornato.»

Il 14 settembre 1989 Joseph Wesbecker, chiamato “Rocky” dai colleghi, parcheggia la sua macchina di fronte all’ingresso della Standard Gravure, tipografia degli anni ’20 a Louisville, Kentucky. Alle 8.30 di mattina, Wesbecker entra nell’azienda armato di un AK-47 di fabbricazione cinese, una SIG Sauer P226 da 9mm e una sacca contenente due MAC-11, una Smith & Wesson calibro 38, una baionetta e centinaia di munizioni.

Una volta dentro la ditta, Wesbecker spara a vista su colleghi e capireparto, con spietatezza e determinazione. Dopo una mezz’ora di carneficina, l’impiegato si infila una pistola in bocca e preme il grilletto. Il bilancio finale è di 9 morti (incluso il killer) e 12 feriti.

Da tempo Wesbecker aveva rapporti tesi con la Standard Gravure. Nel 1989 l’azienda lo aveva messo in stato d’invalidità a lungo termine, gli aveva decurtato lo stipendio ed era intenzionata a ridurre ulteriormente la paga al 60% di quello che guadagnava prima. Il dipendente non aveva scelta: prendere o lasciare. Non ha aspettato lo stipendio di ottobre.

Il giornalista americano Mark Ames, esperto di “omicidi di massa per rabbia” commessi a scuola o nei posti di lavoro, inizia il saggio Social Killer proprio dalla storia di Wesbecker. La stampa dell’epoca l’aveva definito come un «pazzoide sull’orlo di una crisi di nervi», ma secondo Ames emergono altre due immagini: quella di «un combattente disperatamente ambizioso, schiacciato dalla brutalità della nuova cultura aziendale affermatasi durante l’era reaganiana» e quella di «un patetico sfigato che dai continui tentativi di reinventare se stesso aveva solo ricavato umiliazioni sempre più pesanti».

Nei mesi antecedenti la strage, Wesbecker si era appassionato alla figura di Patrick Sherrill, l’autore del primo grande massacro in ufficio postale americano. Sherril commise la strage (14 morti e 6 feriti) nel 1986 e innescò «un nuovo fenomeno di omicidio di massa che prese il nome di “sindrome da ufficio postale”» (Going Postal in inglese). Per Ames, Wesbecker

rappresenta l’anello di congiunzione tra i massacri negli uffici postali e le stragi nei luoghi di lavoro in generale. Ha infranto il tabù. Prima della Standard Gravure, nessuno avrebbe immaginato che un posto di lavoro, qualsiasi posto di lavoro, potesse essere lo scenario di una strage compiuta da un dipendente. Dopo Wesbecker, il linguaggio dei massacri sul posto di lavoro è entrato nel lessico americano. Chiunque, ovunque, in qualunque momento, avrebbe potuto farsi prendere dalla “sindrome dell’ufficio postale”.

L’ultima sparatoria (in ordine cronologico) si è verificato lo scorso 6 novembre a Fresno (California), dove un dipendente della Apple Valley Farms ha ucciso due colleghi, ne ha feriti altri due ed infine si è ucciso. Sebbene sia un fenomeno storico piuttosto recente (e molto complesso), dagli anni ‘80 in poi la scia di sangue sui posti di lavoro americani non si è mai interrotta.

Anzi: sembra aver raggiunto anche l’Europa – Italia compresa.

«Vado a un colloquio di lavoro.»

Il 23 luglio 2010 Paolo Iacconi, 51enne di Sacile (Pordenone), esce di casa alle 9 di mattina. «Vado a un colloquio di lavoro», dice alla famiglia prima di infilarsi nella sua Panda rossa. Dopo diverse ore di viaggio, Iacconi arriva verso le 16 davanti alla sede della Gifas Electric, impresa con sede a Massarosa (Lucca).

Iacconi ha un appuntamento con due dirigenti dell’azienda, l’amministratore delegato Luca Ceragioli e il responsabile delle vendite per l’estero Jan Frederik Hillerm. Il 51enne, che ricopriva l’incarico di rappresentante per il Trentino Alto Adige, era stato licenziato nel 2009 perché – secondo il racconto di una collega – «non era riuscito a raggiungere l’obiettivo richiesto dalla ditta». Stando al Corriere Fiorentino, sembra che Iacconi «volesse fare la proposta di aprire una sorta di sede di rappresentanza della ditta in provincia di Pordenone. Un modo per rientrare nel giro, dopo circa undici mesi passati da disoccupato. O, più probabilmente, un semplice pretesto per poter avere un colloquio con chi, quasi un anno fa, aveva deciso di licenziarlo, al termine di un breve periodo di cassa integrazione».

Iacconi, entrato alla Gifas con una sacca (l’accessorio preferito degli “omicidi per rabbia”), appare sereno e saluta tutti gli ex colleghi prima di salire al primo piano e dirigersi nell’ufficio della direzione. Poi, all’improvviso, gli spari. Quattro o cinque colpi in rapida successione. «Niente faceva pensare cosa sarebbe successo – dice un testimone – La segretaria aveva pure portato il caffè a tutti. Ma dopo un po’ ho sentito gli spari. Ho avuto paura, non ho capito cosa stesse succedendo: sono corso fuori a dare l’allarme». Nella stanza di fronte, dove si trovavano 5 addetti alle vendite, si scatena il panico. I dipendenti fuggono e danno l’allarme a operai e addetti al magazzino al piano terra dell’edificio.

Dopo aver ucciso Ceragioli e Hillerm con una Beretta 7,65, Iacconi dà fuoco ad alcune carte e si barrica in bagno. Quando sente le sirene della polizia, il 51enne si spara un colpo in testa. Stando ad alcune testimonianze, tra gli obiettivi di Iacconi ci sarebbe stato un terzo dirigente con cui aveva avuto «qualche litigio per motivi di lavoro, di fatturato». Ma il dirigente non era in sede: è stato salvato – in maniera comicamente macabra – dal funerale di un parente.

In un primo momento, la stampa si concentra sul precario aspetto psichico di Iacconi, che dal 1987 aveva regolare porto d’armi. Nel 2007, l’omicida aveva tentato due volte il suicidio mentre era in cura presso il Centro di Salute Mentale di Pordenone. I vicini, tuttavia, lo descrivono come «una persona tranquilla e riservata» che «non si era mai fatto notare per atteggiamenti sopra le righe».

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Nel suo appartamento la polizia trova molti medicinali nell’armadietto, «retaggio di un paio di recenti ricoveri ospedalieri sui quali non si sono appresi altri particolari», ma nessun «biglietto d’addio o di spiegazioni del suo gesto». Come nel caso di Wesbecker, insomma, ci troviamo di fronte ad pazzo mentalmente disturbato e uscito di testa.

O c’è dell’altro?

Ora, non c’è alcun dubbio sul fatto che Iacconi non fosse a posto. In un’intervista al Gazzettino, tuttavia, la sorella di Iacconi ha fornito una “spiegazione” molto più straziante e decisamente meno confortante. «Il mostro che descrivono – dice Roberta Iacconi – non ha nulla a che vedere con la persona che era Paolo. Il suo ricordo lo porterò dentro me. Non so cosa sia scattato in lui, ma so perché: senza lavoro e soldi, con un mutuo da pagare, era disperato. Una disperazione che ho respirato e sentito forte questa mattina quando per la prima volta sono entrata nel suo appartamento per arieggiare le stanze».

L’ultimo periodo della vita di Paolo Iacconi – che a 51 anni era ormai diventato un relitto inservibile per un mercato del lavoro sempre più asfittico – è stato un autentico calvario. Dice la sorella: «Per Paolo, disoccupato dal 12 giugno del 2009 la rata del mutuo, che ha sempre pagato regolarmente, era diventata insostenibile. Pagava 3500 euro ogni 6 mesi e faceva fatica anche quando poteva contare sulla cassa integrazione (poco meno di mille euro). Poi è finita anche quella e lui si è ritrovato un grosso problema». Nel marzo del 2010, Roberta Iacconi si è recata in banca con in mano la lettera di licenziamento della Gifas per chiedere la sospensione di un anno del mutuo: «È previsto per legge, ma in banca mi hanno detto che per ora non avrebbero potuto concedere l’agevolazione e le rate andavano pagate regolarmente. Se ne poteva riparlare a settembre, quando avrebbero ripreso in mano la pratica di Paolo». Ma Iacconi non ha aspettato settembre.

«È stato detto che qualcuno – prosegue la sorella – medici o altri, non sapevano che mio fratello deteneva una pistola. Non è vero, tutti sapevano e i suoi momenti di sconforto erano regolarmente documentati, tracciati dai ricoveri e dall’assistenza che aveva avuto».

Già: tutti sapevano. E a nessuno poteva fregare di meno.

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Drop the Hate / Commenti (1)

#1

Lorenzo
Rilasciato il 07.03.13

Umbria, “Sono rovinato”. E fa strage.

Ho visto un titolo e ho pensato a te (semi cit. Massimo Volume)

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