Garbage Diorama

Pubblicato da Blicero il 29.04.2008

2 – Enumera – cave dismesse, discariche abusive, specchi d’acqua infranti. I laghetti della camorra sul litorale domiziano. Il sottosuolo dei fondi agricoli. I liquami di Marghera in Molise, a ridosso di greti di fiumi e torrenti, anche nei suoli coltivati. I Regi Laghi, centoventi ettari di terreno sul quale si sversavano olii minerali, piombo, scorie saline, schiumature di alluminio e polveri di abbattimento dei fumi degli altoforni. Il triangolo dei veleni formato dai comuni di Nola, Acerra e Marigliano, sede di venticinque discariche non autorizzate. Il dumping marino di rifiuti. Lo spiaggiamento della Jolly Rosso. Le scorie radioattive stoccate chissà dove, magari rilasciate in alto mare.
La spazzatura è la nuova religione. L’immondizia è l’affare del millennio.
Per noi la monnezza è oro.

1 – Ci sono i trasportatori, novelli Mercuri che girano il Belpaese alla ricerca del sito di smaltimento prescelto. Ci sono gli smaltitori finali, gestori di discariche o di impianti di compostaggio non autorizzati. Ci sono i titolari dei centri di stoccaggio che praticano la miscelazione abusiva tra rifiuti pericolosi e non pericolosi in modo da diluirne la concentrazione o la declassificazione illecita. Ci sono i colletti verdi, la criminalità ambientale raffinata, dei piani alti. Ci sono chimici compiacenti che compilano formulari di identificazione falsi e certificati di analisi con i codici Cer (Catalogo europeo dei rifiuti) completamente inventati. Ci sono i produttori di rifiuti industriali che per risparmiare vendono i propri rifiuti smaltiti illegalmente, magari alle organizzazioni criminali che in determinati frangenti arrivano ad assicurare un risparmio dell’80% sui prezzi ordinari. Ci sono funzionari e dipendenti pubblici che si lasciano corrompere per chiudere un occhio su quell’impianto o su quel carico di rifiuti. Infine, ci siamo noi: gli intermediari. Tutto il sistema gira intorno a noi. Siamo noi il motore che fa girare la macchina dello smaltimento dei rifiuti. Noi cerchiamo continuamente nuovi clienti, e sappiamo che li troveremo sempre: l’immondizia è l’unica cosa certa, di questi tempi; è potenzialmente infinita, altro che l’instabilità e la finitezza del petrolio. Il mondo finirà con il petrolio, ma i rifiuti continueranno a prosperare, anche senza il mondo.

Noi non ci sporchiamo mai le mani, non arriviamo mai fisicamente a contatto con i rifiuti, dato che il nostro compito è quello di organizzare le operazioni, coordinare gli attori, scrivere la sceneggiatura, incassare gli introiti. Il paesaggio per noi non è un’opera d’arte, non è un qualcosa di suggestivo; in un idillio bucolico non ci vediamo poesia: ci vediamo opportunità, ci immaginiamo soldi, palate di denaro, quintali di pecunia. Quanto materiale puoi stoccare su quel campo? Quanto profonda è questa cava? Ci sta una discarichetta là dentro? Quanti barili si riescono ad accatastare là in fondo? Guarda quanti metri cubi si possono interrare laggiù. Non è meraviglioso?

10 – 14.600 metri di altezza, tre ettari di base. La montagna più grande del mondo. La montagna dei rifiuti illegali, dei rifiuti che non vuole nessuno, dei rifiuti dei clan. La montagna è dentro una cornice, e dentro quella cornice c’è un quadro, e dentro quel quadro c’è un grande prato verde sovrastato dall’imponenza delle cime, io sono solo ma insieme a me c’è un intero paese, sono tantissimi, formano una maestosa punteggiatura sulla tela, hanno i volti cupi e gli occhi scuri, incavati, probabilmente non ne possono più, e c’è un ruscello che parte dal basso e risale alla sorgiva, sale fino in alto, si perde nell’atmosfera sempre più rarefatta, non ci sono appigli e quindi cado, ma la risalita è possibile, il sole finalmente – dopo tanto, troppo buio – si fa scorgere ed incendia con i suoi raggi le parti nere, inghiottite dall’ombra della notte, ed i rifiuti si trasformano in arbusti, in piante, in rocce, si fondono con il patrimonio naturale, il mio patrimonio che cesella pazientemente la sua stessa conformazione, l’inestimabile patrimonio nazionale che si ribella superbamente insieme a noi.

Resto ancorato al suolo. Sono ancora alla base, eppure sono già prostrato dalla difficoltà dell’impresa. La scalata sarà impervia.

Ma il futuro è quella montagna.

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#1

fabiola
Rilasciato il 01.04.09

il rissunto

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