Le Mille Luci Di Gubbio

Pubblicato da Blicero il 8.12.2011

Silencio. C’è un Vecchio (il Papa), vestito di bianco Immacolazione, rinchiuso in uno stanzino – un angusto perimetro di un potere intangibile e lontano. La scrivania sembra uscita da una costola di Kounellis. Nell’angolo a destra le fiammelle di due candele tremano flebili, adattandosi all’atmosfera angosciante, desaturata ed eliopetriana. Un LCD cinese piazzato davanti al Vecchio sparge il suo lucore in Technicolor. Le immagini trasmesse sono dei semplici riempitivi; l’audio assomiglia al rumore bianco di un elettrodomestico clandestino, una riedizione post-moderna di Radio Europa Libera. L’Ostalgia aleggia ectoplasmatica nell’aria.

Stacco. Ripresa frontale. Il Vecchio parla. Fino a due secondi fa non sembrava possibile: ma ora parla. Muove la mano destra, addirittura. Legge dai fogli appoggiati sopra una specie di cartellina in pelle di Velociraptor ed invoca l’ingresso della Luce in tutti gli ambienti della vita agra e post-fordiana: in famiglia: al lavoro; nel qvcartiere (una sublime staffilata alla società del lusso); nei paesi; nella città. Il climax è irresistibile. Se fossimo in un film di Fincher la telecamera avrebbe già cominciato ad oscillare in stile Tyler Durden. Ma non siamo in Fight Club. Siamo dentro ad una trasposizione in celluloide de La crisi della modernità dello studioso inglese David Harvey.

Stacco. Cambio brusco di location. Dove ci troviamo? Il vecchio è inscatolato dentro un altro schermo LCD, in un violento gioco di specchi escheriano. La sua voce si fa attutita, metallica. Delle persone lo ascoltano. La piazza sembra gremita. Il tendone bianco è un sottile rimando ai vestimenti del Vecchio. Passa qualche secondo e torniamo nello Stanzino del Potere. Un inserviente vestito di nero porge un iPad al Vecchio a mo’ di particola. Il sovvertimento simbolico è totale. La Tecnologia: il corpo di Steve Jobs. Il corpo di Cristo. Il vecchio preme qualcosa sullo schermo nero. App e così sia.

Applausi. La folla della location di paese applaude con sobrietà montiana, consapevoli dei rendimenti decennali dei Btp. Ma cosa applaudono, precisamente? La telecamera si muove leggermente verso l’alto. Ecco un fuoco d’artificio. Rosso. Si schiude come un petalo. Sboccia nell’oscurità. Un fotema nel buio. Diderot, Jay McIrney e gli scontri del 15 ottobre a Roma si fondono in un unico istante. Il pathos: ottundente. Delle piccole luci verdi (impossibile non pensare alla poesia Mediterraneo di Eugenio Montale1) vanno a formare un albero di Natale – simbolo del consumismo – su una collina che idealmente trascina l’ignaro spettatore in uno scenario balcanico. Scoppia un altro fuoco d’artificio sulla sommità destra dell’albero. È guerra.

Silencio. Si torna per qualche istante nello Stanzino del Potere. Non c’è il sonoro. Tutto tace. È la comunità internazionale che ignora i massacri. L’indifferenza elevata ad assioma politico. Gli scandali dello IOR. Fuori dallo Stanzino, intanto, infuriano i mortai. Boati terrificanti scuotono le fondamenta del cielo. Tutto si tinge di rosso Vietnam. Da un momento all’altro potrebbero spuntare il colonello Kurtz e Ratko Mladić. Ed invece niente: questo corto poderoso si chiude con uno sguardo obliquo à la Edgar Lee Masters sull’Albero di Natale addossato alla Collina. Mentre al popolo manca il pane, il circo dello spettacolo adorniano dispiega feroce i suoi soprusi, azionato dalle leve della Tecnologia 2.0. La critica al neoliberismo è spietata: mai si era vista una sottigliezza tale nel condannare i disastri della finanza creativa e la bolla del dotcom.

Un fitto vociare accompagna l’ultimo secondo. Ma è una voce, emblematicamente in inglese, che si staglia sopra tutte le altre: “I tell you…” Finisce così. Finisce un po’ come ad Ustica2. Non sapremo mai la verità. Il Potere (rappresentato dal Vecchio) e la Verità vivono in due mondi inconciliabili. Silencio.

  1. Antico, sono ubriacato dalla voce / ch’esce dalle tue bocche quando si chiudono / come verdi campane e si ributtano / indietro e si disciolgono. []
  2. Le ultime parole dei piloti registrate dalla scatola nera del DC9 sono state: “Gua…“ []

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