La Teppa Del Lavoro. Operai, Brigatisti, Ultras
Leggendo l’Amaca di Michele Serra del 1 dicembre ho attraversato velocemente le cinque fasi dell’elaborazione del lutto di Elisabeth Kübler-Ross: negazione; rabbia; contrattazione o patteggiamento; depressione; e infine accettazione. Vale la pena riportare il pezzo per intero.
Nelle drammatiche pieghe della vicenda Ilva, mi ha colpito come un nefasto presagio il dettaglio colto da Corrado Zunino nella sua cronaca romana di ieri. Descrivendo gli operai dell’Ilva di Cornigliano davanti al Parlamento,[…] Zunino attribuisce a molti di loro “una gestualità da ultras di gradinata”. Confermata dalle sciarpe e dagli slogan (Genoa e Samp) mutuati pari pari dai cori da stadio, dalle molte birre consumate e dalla propensione alla rissa, poi puntualmente avvenuta. Tutto cambia, ma che una delegazione di metalmeccanici possa offrire un colpo d’occhio da hooligans fa veramente pensare al peggio. Fa pensare al passaggio – epocale – dall’organizzazione di classe al vuoto identitario più colmabile. Un vuoto politico, e va bene; ma anche l’azzeramento definitivo di una storia e (di conseguenza) di un futuro. È annosa la paura che l’operaio, in tempi di crisi nera, possa trasformarsi in brigatista. Ora la paura è che si trasformi in ultras: tanto incazzato quanto impotente. Dalla fabbrica alla curva, il crollo è totale.
Il tono di Serra è estremamente apocalittico. Quelli che fino a poco tempo fa erano diligenti operai sindacalizzati, ora non sono nient’altro che una massa informe, impolitica, tutta intenta a trangugiare birra, far rissa e indossare – mon dieu! – le pericolosissime sciarpe delle squadre genoane. Ed infatti «il crollo è totale». Ma facciamo un passo indietro: cos’è successo il 30 novembre a Roma?
Quel giorno una delegazione di 300 lavoratori dell’Ilva, provienienti dalla Liguria e dal Piemonte, indice una manifestazione nella Capitale. Sono tutti in sciopero da tre giorni e in piedi dalle quattro di mattina. Il Secolo XIV descrive così la loro giornata: «Caschetti gialli in testa, tuta da lavoro, gli operai hanno tentato di arrivare davanti a palazzo Chigi ma sono stati bloccati e dopo qualche momento di tensione, soprattutto con i giornalisti, hanno raggiunto piazza Montecitorio». Sotto il Parlamento, mentre nel palazzo del Governo si decidono le sorti dell’Ilva, urlano per quattro ore contro i politici «ladri», i parlamentari «parassiti» e «assassini», insultando anche Monti, Fornero e i Riva, i padroni agli arresti. La cronaca del Secolo XIX continua così:
«Siete la rovina dell’Italia – hanno gridato gli operai sotto la pioggia battente – il lavoro non si tocca». «Guardateci, siamo tutti a volto scoperto, non abbiamo nulla da vergognarci, siete voi che dovete vergognarvi, ladri». Dal Palazzo, non un politico è uscito per affrontarli. Per ascoltare la loro disperazione. Solo il segretario della Fiom, Maurizio Landini, ha lasciato per qualche attimo il vertice a palazzo Chigi per spiegare loro cosa stava accadendo dentro.
Anche Landini si becca degli insulti: «Non me ne frega un cazzo di Landini, io voglio il mio lavoro», sbraita qualcuno. Nel frattempo, a Genova si verificano scontri tra la polizia e i 500 compagni rimasti in città, radunati in presidio davanti alla Prefettura. «Da Roma sono arrivate notizie frammentarie – dice uno degli operai al Secolo XIX – e Fulvio come tutti noi s’è preso paura. Ha cercato di andare a parlare con qualcuno e ha voluto passare in mezzo al cordone di polizia. I poliziotti hanno reagito e lui si è preso una manganellata in testa». Una reazione spropositata, tanto che il giorno dopo sono arrivate le «pubbliche scuse» dal sindaco Marco Doria.
L’apparizione di Landini, stando al resoconto di Zunino su Repubblica (nota bene: non secondo il quotidiano genovese), segna la trasformazione degli operai in ultras (grassetti miei):
Stressati e stanchi, impotenti e anche impauriti, i giovani uomini scesi a Roma con cinque pullman, hanno perso il controllo. Della serata e di loro stessi. Troppe birre corse per scaldarsi, una gestualità, per molti, da ultras di gradinata. Gradinata Nord e Sud, come dicevano le sciarpe.
E qual è il passatempo preferito degli ultras, nell’immaginario collettivo e in quello dei Michele Serra? Pestarsi, ovviamente.
Le discussioni sono diventate pesanti. «Ho già speso settanta euro per venire qui, ho perso tre giornate per lo sciopero e non so come comprare le medicine per mio figlio». Chi è iscritto alla Fiom inizia a discutere con chi è venuto a protestare senza tessera: «Se mi parlate di sindacato, allora ci meniamo». La rissa scoppia davvero e il gruppo operaio vacilla: non si era mai visto. Sono solo in tre a picchiare, gli altri sedano, trattengono, urlano. Alla fine il segretario Franco Grondona impone la linea al megafono: «Figure così non le ho mai fatto in trent’ anni che vi rappresento, così siamo solo più deboli, torniamocene tutti a casa che è meglio»
Il 30 novembre abbiamo quindi assistito alle dolorissime conseguenze umane del combinato disposto tra l’agonia della grande industria italiana, l’austerità, il massacro del welfare e la totale mancanza di prospettive per questi giovani lavoratori. Un’assenza di speranza che lo stesso Zunino raccoglie da un ragazzo dell’Ilva: «Volevo fare il secondo figlio, ma in queste condizioni mi fanno passare la voglia». A differenza di quanto scrive Serra, però, la delegazione di metalmeccanici non offriva un «colpo d’occhio da hooligans»: offriva un colpo d’occhio da metalmeccanici oltre la soglia della disperazione, stritolati da un sistema di protezione sociale che sta crollando, le scelte scellerate di una dirigenza rapace ed irresponsabile e lo sfascio del diritto del lavoro1.
Insomma, per la Grande Firma Progressista bastano un paio di temibili «birre corse» (quelle belghe faranno lo stesso effetto?), dei cori, una scazzottata dovuta alla tensione (e alla sfiducia strisciante tra sindacati e lavoratori) e qualche sciarpa affinché dei semplici operai diventino degli autentici folk devil, «tanto incazzati quanto impotenti», magari ad un passo dall’entrare in clandestinità. Il sillogismo non potrebbe essere più pericoloso:
- Operai = Ultras;
- Ultras = Solo Violenza Insensata;
- Operai = Violenza Senza (Più) Pretese Politiche & Sociali [il «passaggio – epocale – dall’organizzazione di classe al vuoto identitario più colmabile»].
Lineare, no? Per il resto, il pezzo di Serra sembra quasi una versione aggiornata dell’«Enciclopedia di Polizia» degli anni ’50:
Esiste tra la folla un contagio morale, in modo che fa di un migliaio di persone sino a allora sconosciute le une delle altre, una belva innominata e mostruosa che corre al suo scopo con una finalità irresistibile.
Ora, il problema non è tanto Serra in sé, quanto piuttosto il clima odiosamente repressivo che si sta respirando in questi ultimi mesi di governo tecnico. Sempre più spesso i manifestanti di ogni tipo sono paragonati agli ultras-spauracchio – e questa comparazione ben si adatta ad una certa visione piuttosto retrograda dell’ordine pubblico. Dopo gli scontri del 14 novembre, la proposta di estendere il Daspo ai dimostranti è già stata avanzata a livelli ministeriali, coagulandosi intorno ad una buona fetta della maggioranza parlamentare e – pare di capire – della cosiddetta élite intellettuale.
L’intento non potrebbe essere più chiaro: smantellare le ragioni della protesta – non importa che siano lavorative, sociali, politiche, ecc. – e buttarla sul piano della caciara, del caos, delle bottigliate per strada e della famigerata violenza anomica, che tutto ricomprende, tutto annienta e tutto giustifica.
In un certo senso è la Tecnica “Jack Palance” applicata al dissenso di piazza: prima si lancia una pistola ai piedi dell’avversario di turno, invitandolo provocatoriamente a raccoglierla; poi, quando questo effettivamente la raccoglie, gli si spara addosso senza pietà. «Avete visto tutti, no? Aveva una pistola».
E, a ben pensarci, aveva pure l’aspetto di un ultras.
+ + +
(Illustrazione: Deviantart)
- Tra l’altro, resta da capire come si debba interpretare la gioia mostrata dagli operai di Genova subito dopo aver ricevuto la notizia dell’approvazione del decreto Salva-Ilva. Cori, applausi, fumogeni e cortei per le strade della città: degli autentici festeggiamenti da stadio. Anche qui si tratta di un «un colpo d’occhio da hooligans» che fa «veramente pensare al peggio»? [↩]
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Drop the Hate / Commenti (9)
#2
Callisto Tanzi
Finchè la truppa operaia marcia compatta e schierata dietro al berretto rosso della Camusso (chissà se lo mette pure quando va in barca con i suoi amici di regata), si tratta di classe operaia matura e responsabile, quando cambia strada e ahimè non si fa ammaliare da certi paludamenti “populistici” (anche la Camusso sarà grillina ?) – Bè allora non sono neppure più estremismi, malattia infantile del comunismo, si parla addirittura di Hooligans. In queste parole assistiamo ad una evoluzione epocale. Negli anni ’70, ci si sarebbe richiamati all’ortodossia del Partito, unica garanzia per un percorso sicuro e responsabile verso il Socialismo , più prosaicamente un futuro migliore per gli operai, le loro famiglie e il futuro dei loro figli e, per contro, ad una presa di distanze dalle pericolose devianze avventuriste di certi estremisti.
Oggi il linguaggio è cambiato. Messo da parte il Sol dell’avvenir, in fondo neppure loro ci avevano creduto per davvero (ma è stato così comodo per guadagnarsi opportunisticamente un posto al sole che…non vorrai mica rinunciarci ?) – Queste novelle “guide” autonominate della classe operaia devono rinnovare un vocabolario ormai datato e del tutto inutilizzabile. Accantonati i termini si cari a tanta pubblicistica stalinista anni ’60: (avventuristi, provocatori, populisti, assemblearisti, immaturi, infiltrati, nemici della lotta di classe, terroristi, fascisti ecc.ecc.) Devono coniare nuove icone per stimolare la fantasia di quegli “animi semplici e rozzi”, che costituiscono l’humus nel quale si ingrassano e che rappresenta la loro stessa ragione professionale…. e di “fruizione economica”.
La casta dirigente autonominata, costituita da questi intellettuali di gramsciana memoria e allocazione, si pone a traslare il vecchio lessico stalinista con termini in sintonia con i tempi che corrono. In questa operazione però commettono un’errore – il Re è nudo ! Traspare lampante l’atteggiamento razzista e classista della suddetta casta nei confronti di quella gente per i quali dicono di tenere e di cui, a parole, vorrebbero solo che il bene ! – Li amano, a sentir loro, ma non ci si mischiano (troppo semplici e rozzi per l’appunto). Mica sono dei populisti, perbacco ! Dimostrando così nei loro confronti di essere altrettanto classisti e razzisti degli stessi padroni fascisti delle “ferriere”, con l’aggravante che per ragione sociale si posizionano sempre alle spalle.
#3
Callisto Tanzi
Una funzione intellettuale che appartiene alla particolare categoria degli imprenditori morali, al prototipo dei creatori di norme, come codificato dal sociologo Howard S. Becker che in Outsiders scrive: «Opera con un’etica assoluta: ciò che vede è veramente e totalmente malvagio senza nessuna riserva e qualsiasi mezzo per eliminarlo è giustificato. Il crociato è fervente e virtuoso, e spesso si considera più giusto e virtuoso degli altri».
#4
QuotaMosquito
Le analisi sono tutte interessanti e allarmanti. E vero il ruolo giocato da Grondona nei confronti dei ‘suoi’ ragazzi, gestiti da bravo e monolitico dirigente di Lotta Comunista. La sua ‘gestione’ delle lotte metalmeccaniche in Genova ha fatto della FIOM genovese la più -destra- d’Italia. E’ da considerare, a mio parere, molto attentamente questo aspetto del tutto (ripeto) genovese.
Il degrado ed il vuoto politico e di coscienza, posti “all’indice” e/o analizzati qui ci stanno tutti.
Ora sarebbe utile fare proposte, ipotesi, delineare strategìe…, non sarebbe opera vana, NON fraintendete circa il ‘porsi’ -sopra e al di fuori- del conflitto pretendendo di indirizzarlo, ma semplicemente e appunto, -fomentare- in maniera realmente ed EFFICACEMENTE rivoluzionaria.
#5
Mattia Valloni
“Ora, il problema non è tanto Serra in sé” … Posto che non vedo l’ora di leggere una critica a Michele Serra, eh ma non ho ben capito, Serra sembra condividere e dare spunto proprio alle tue stesse riflessioni.
#6
Francesco Finucci
Non ero lì quando c’è stata la rissa in questione, ma in altri cortei sì, e il salto di qualità tra protesta da manifestazione a rabbia organizzata non la trovo poi così lontana, né trovo gradevole l’idea che proponendo scenari di questo tipo si debba per forza essere “apocalittici”. Mi sembra ormai evidente che, scaramucce a parte, alcuni scontri non sono assolutamente casuali, ma anzi ben congeniati, dall’una o dall’altra parte. Anche nelle manifestazioni si decidono i rapporti di potere, quindi è difficile soprendersi all’idea che il dissenso finisca per organizzarsi, nel momento in cui la crisi inizia a premere con maggiore forza. Ma organizzarsi come? Anche questo va indagato, magari scendendo a vedere il fenomeno, cosa che non tutti fanno. Senza che nulla tolga l’esigenza di andarsi un momento ad individuare per bene chi nelle forze dell’ordine fa repressione, in questa repubblica decaduta. Il problema è svelare la violenza, dovunque sia, e qui sì che lo scenario è inquietante, c’è poco da dire.
#7
I lavoratori tirano cinghiate e non la cinghia. Dicembre e l’Argentina ed nuèter. « Militantduquotidien
[…] Solo questa settimana è iniziata con arresti e perquisizioni ad orologeria a Milano e a Torino. Pure e semplici intimidazioni in chiaro stile mafioso. Se il divenire-mafia del capitale contagia anche le questure quegli argini che dovrebbero essere prerogative del mondo della cultura non solo fanno acqua da più parti ma si presentano come un vero e proprio dissesto idrogeologico. Il mondo giornalistico, un tempo ambiente nobile e rispettato, è ormai sinonimo di corruzione e di degrado morale. Così negli articoli di cronaca coloro che provano a difendere il proprio lavoro e la propria dignità sono gli stessi che tirano cinghiate. Ognuno deve stare al proprio posto anche quando questo risulta inccettabile e degrada sia lo spirito sia il fisico. Cosa domandare agli operai dell’Ilva e ai cittadini di Taranto se non di accettare remissivamente il luogo che gli è stato disegnato attorno come volontà divina? E cosa riservare a coloro che provano ad uscire dal seminato? La risposta possiamo lasciarla a una grande firma del nostro giornalismo, Michele Serra, che dalla sua cattedra bofonchia l’equazione operai=ultras e la genealogia della Teppa del lavoro come descritto in questo utilissimo articolo. […]
#8
I lavoratori tirano cinghiate e non la cinghia. Dicembre e l’Argentina ed nuèter. | Militantduquotidien
[…] Solo questa settimana è iniziata con arresti e perquisizioni ad orologeria a Milano e a Torino. Pure e semplici intimidazioni in chiaro stile mafioso. Se il divenire-mafia del capitale contagia anche le questure quegli argini che dovrebbero essere prerogative del mondo della cultura non solo fanno acqua da più parti ma si presentano come un vero e proprio dissesto idrogeologico. Il mondo giornalistico, un tempo ambiente nobile e rispettato, è ormai sinonimo di corruzione e di degrado morale. Così negli articoli di cronaca coloro che provano a difendere il proprio lavoro e la propria dignità sono gli stessi che tirano cinghiate. Ognuno deve stare al proprio posto anche quando questo risulta inccettabile e degrada sia lo spirito sia il fisico. Cosa domandare agli operai dell’Ilva e ai cittadini di Taranto se non di accettare remissivamente il luogo che gli è stato disegnato attorno come volontà divina? E cosa riservare a coloro che provano ad uscire dal seminato? La risposta possiamo lasciarla a una grande firma del nostro giornalismo, Michele Serra, che dalla sua cattedra bofonchia l’equazione operai=ultras e la genealogia della Teppa del lavoro come descritto in questo utilissimo articolo. […]
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Italpizza, 2018-2020. La lotta di classe prima e dopo il Covid, nel cuore del nuovo «modello emiliano» - Giap
[…] più che legittime, si stesse raccontando di «guerriglia», di «canaglie» , di «ultras», di teppa del lavoro o di autentici folk […]
#1
La Teppa Del Lavoro. Operai, Brigatisti, Ultras | Informare per Resistere
[…] Il 30 novembre abbiamo quindi assistito alle dolorissime conseguenze umane del combinato disposto tra l’agonia della grande industria italiana, l’austerità, il massacro del welfare e la totale mancanza di prospettive per questi giovani lavoratori. Un’assenza di speranza che lo stesso Zunino raccoglie da un ragazzo dell’Ilva: «Volevo fare il secondo figlio, ma in queste condizioni mi fanno passare la voglia». A differenza di quanto scrive Serra, però, la delegazione di metalmeccanici non offriva un «colpo d’occhio da hooligans»: offriva un colpo d’occhio da metalmeccanici oltre la soglia della disperazione, stritolati da un sistema di protezione sociale che sta crollando, le scelte scellerate di una dirigenza rapace ed irresponsabile e lo sfascio del diritto del lavoro1. […]