Sei Pezzi Da Mille

Pubblicato da Blicero il 6.07.2008

Se già una poetica – perché di poetica si può cominciare a parlare: E. trasmette una visione della vita con le sue storie, non si limita al pur onorevole compito di divertire e/o sollazzare il lettore – di tal sorta inizia a far star stretta a E. la maschera di scrittore di genere, con American Tabloid e S.p.d.m. il discorso si amplia e lo cose trovano la loro deflagrazione naturale. Sono due le dimensioni diverse in cui E. espande la violenza.

La prima è: fuori dai canoni del poliziesco. Non ci sono più buoni contro cattivi, poliziotti alla ricerca di un colpevole. L’ultimo residuo formale della vecchia struttura bene contro male, ovvero l’assunzione di un personaggio solo come protagonista e, se non proprio buono, almeno avversario dei perversi, crolla. I personaggi si moltiplicano, i protagonisti anche e il tutto coincide con la Storia. Il che, come visto, non comporta alcuna trasposizione del racconto nel mondo della realtà, ma, al contrario, butta anche nella realtà le riflessioni e i valori espressi nella fiction poliziesca. È come se E. ci dicesse: Questa violenza metafisica non è una mia invenzione per rendere avvincenti le Los Angeles del detective Brown o Lloyd. Questo principio è nella realtà, è fuori in strada, è nelle nostre case. E c’è anche dentro di noi.

La seconda è: fuori dal mondo narrato. Se, come osservato, nei precedenti lavori di E. la violenza-principio-metafisico era onnipervasiva del mondo della finzione, e tendeva i cardini della gabbia fittizia in cui era stata rinchiusa, con la sua liberazione nella Storia (S.p.d.m.) essa esce dal mondo narrato e con un gesto fisico si impossessando delle parole scritte, delle pagine stampate su cui il lettore mette le mani. Per esprimere la violenza a fondo non basta più narrarla con mezzi tradizionali. E. lo sa e si trova costretto ad estremizzare il suo linguaggio, ad incattivire il suo già affilato stile. Ciò che ne esce è roba da far impallidirei futuristi, è un ripetuto pugno in faccia al lettore, specie a quello che cerca un po’ di svago in un thriller. Per capirci un esempio è d’obbligo. Tutto il romanzo è così:

Hate. It moved him. It ran him. It called his shots. He stayed cool with it. He stayed justified. He never said nigger. They weren’t all bad. He knew it and stayed justified. He found the bad ones. They knew him. Wayne Junior, he baaad. He worked the deuce, he threw hurt, he spared his hands and used his sap. He never said nigger. He never thought nigger. He never condoned the concept. He worked double shifts. He stayed double justified. The owner had rules, the pit boss has rules. Rules ruled the roost high and wide. Wayne had rules. Wayne enforced said. Do not paw women, do not hit women, treat whores with respect. He enforced his rules. He bridged race lines. He enforced his rule of intent. He predicted rude acts, he pre-empted them. He employed all due force. He tracked them, he trailed them, he prowled West LV. He looked for Wendell Durfee, it was feudal. He knew it. The hate drew him there.

Trentadue periodi, quarantuno predicati verbali, zero proposizioni subordinate. Come dice P. Dodd intervistando Ellroy: “nasty, short and deliberately brutish“.

La violenza verbale crea spezzettamenti, ripetizioni con variazioni (di solito soggetto fisso e verbi con significato a scalare) e prosciugamento assoluto del non necessario. Le considerazioni personali del soggetto inquadrato sono secche, prive di qualsiasi vagheggiamento psicologico. He never said nigger. He never thought nigger. He never condoned the concept. I pensieri diventano fatti, tutto diventa un fatto che colpisce direttamente l’attonito lettore. E i fatti sono esposti in uno scheletro assoluto della proposizione: soggetto + verbo + 1 o 2 complementi. Le relazioni tra i fatti? Che se le trovi i lettore.

Credo sia stata questa concretezza assoluta, insuperabile, a tramortirmi nella lettura. Esistono interi romanzi in cui succedono meno cose che in una pagina di S.p.d.m. Si potrebbe dire che S.p.d.m. è un concentrato di azione, una scarica inarrestabile di colpi. Settecento pagine di esplicitazione dei fatti.

Così dunque E. taglia fuori l’istinto naturale del giallista a creare la tensione: non può esserci tensione e aspettativa per un fatto, senza un momento di rilassamento/flessione/psicologia nel quale mettere l’attesa. E S.p.d.m. spara fatti a ripetizione, senza pause o cali di ritmo che consentano al lettore di riflettere sulla vicenda. Se vuoi riflettere in S.p.d.m. devi chiudere il libro e guardare il muro. Farlo diventa difficilissimo però: quando stai in battaglia tra le coltivazioni di ero in Vietnam, infangato e sudato, non puoi appoggiare la testa al palmo della mano e domandarti fino a che punto l’autore faccia propria la concezione dei movimenti per i diritti civili.

In battaglia devi combattere. S.p.d.m. è tutto un conflitto. E. ti ci infila dentro, dentro l’odio e dentro le vicende dei personaggi e dentro le loro prospettive, semplicemente sommergendoti di fatti, eventi atomici narrati a ripetizione. In questo la tecnica è vagamente cinematografica. I fotogrammi sono i fatti-frasi e lo scorrimento fluido dell’immagine è l’azione generale – narrazione.

Superfluo dire che reggere per 700 pagine uno stile del genere senza generare ridondanze e senza confondere troppo il lettore, richiede capacità compositive mostruose. Unite a questo il cambio continuo di slang a seconda dell’appartenenza sociale del personaggio (i neri parlano un inglese, i mafia un altro, i mormoni un altro), miscelate il tutto con finti documenti che testimoniano retroscena verosimili sui rapporti tra Hoover, il KKK, i Federali, B.L. Johnson, il movimento per i diritti civili, i generali-narcos sudvietnamiti etc etc. e il risultato sarà esplosivo anche ad un primo approccio. Ma soprattutto, ci sarà un unico legame superstite con il genere giallo-thriller da cui E. ha preso le mosse: il nodo tematico della violenza e del delitto, la Via Nera.

Senza denunciarmi subito alle autorità competenti per l’enormità del paragone, E., come Dostoevskij, ha seguito la via nera per spedirci una raffigurazione dell’umanità. La Via Nera è il materiale sporco con cui l’uomo si trova a fare i conti, ovvero l’insieme di situazioni in cui entrano in gioco questioni riguardanti criminalità, delitto, colpa/innocenza, morale, e soprattutto morte. Prendere come base materiale e tematica la Via Nera è spesso il modo più diretto per giungere al nocciolo del problema, e cioè all’uomo dentro e fuori. Il genere giallo-thriller-mystery ci attrae proprio per questo: tocca l’oscuro, tocca i limiti a cui possiamo arrivare. Non c’è soluzione di continuità in ciò, tra Delitto e Castigo, Simenon, Il Grande Sonno, S.p.d.m. e Il Collezionista di ossa. La radice è comune.

Quello che porta su un altro livello Dostoevskij e i ‘Grandi Autori’ e rende per loro inapplicabile la categoria di scrittori-di-genere è l’uscita da schemi preconfezionati di narrazione, il possesso di uno stile e la proposta di una visione del mondo. Perciò, soddisfatti tali parametri E. può ora tranquillamente compiacersi di essere riuscito a “scrivere un libro non catalogabile come romanzo mystery, thriller o poliziesco” (“write a book that could not be categorized as a mystery, thriller, or crime novel“) e affermare, con la consueta modestia: “Fuck being a crime novelist when you can be a flat-out great novelist“.

In definitiva E. è slittato fuori dal confine del romanzo di genere finendo nell’ambiguo olimpo della Grande Letteratura. E il fatto che il passaggio sia stato morbido, sul tapis roulant della Via Nera, pone la questione se esista davvero una separazione tra romanzo-romanzo e romanzo-di-genere-giallo. Resta un dato innegabile: si nutrono entrambi della stessa terra nera, proprio quel tipo di terra spazzata dalle macchine sui bordi delle strade di Las Vegas.

Le citazioni inserite tra “… ” sono riportate da:
Allen Barra intervista J. E. su Interview, Dicembre 1996 (Su Findarticles.com)
Philip Dodd intervista J. E. su BBC Radio 3, 18 aprile 2001 (Su Ellroy.com)

(L’articolo originale dell’autore si può trovare qui, su Progetto Babele.)

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Drop the Hate / Commenti (1)

#1

"Libra" di Don Delillo. C'è Un Mondo Dentro Un Mondo - La Privata Repubblica
Rilasciato il 30.10.08

[…] come la fonte primaria di ispirazione per la sua Underworld Trilogy – American Tabloid, Sei Pezzi Da Mille, Blood’s Rover. [↩] STAMPA var staf_confirmtext = ” #stafBlock { position: […]

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