Occupy Padania

Pubblicato da Blicero il 25.01.2012

E risuona il mio barbarico yawp sopra i tetti del mondo.
Walt Whitman

I “contestatori” sono confinati in una via limitrofa di piazza Duomo dietro un cordone di poliziotti in tenuta antisommossa. Sono in meno di dieci e si agitano e sventolano con gran foga i tricolori. I militanti leghisti che passano davanti a loro li ricoprono di insulti, gridano “Padania libera!” e mostrano diti medi a tutto spiano. Un leghista di mezza età, non troppo alto, cappellino e foulard padano d’ordinanza, li invita a “fare la secessione in Sicilia” e poi li apostrofa con “terroni, siete solo dei terroni!”. I poliziotti, che numericamente sono almeno il triplo dei contestatori, sembrano più imbalsamati degli animali impagliati alle pareti della taverna di un Giancarlo Gentilini medio. Oltrepasso il focolaio di protesta e mi lego al collo la bandana leghista, pronto ad entrare nella Zona De-Italianizzata.

Verso le 10.30 la piazza è già gremita e Calderoli si muove giulivo sul palco in giaccone da sci verde-fluo, accolto dagli applausi dei militanti. Gli agricoltori padani manovrano i loro trattori in mezzo alla folla e li parcheggiano in uno spiazzo alla destra dell’impalcatura. Un sosia di Karl Marx mi passa accanto e poi si confonde tra le bandiere. Resto a fissarlo sbigottito per qualche attimo finché un vecchio – vestito con una specie di tuta bianca con scritto “PADANIA” sul petto e con un basco verde scuro trafitto da spillette celtico-padane sulla testa – mi viene incontro e allunga un volantino spiegazzato. È il “Giuramento dei cittadini padani”:

IO
(ognuno dica il suo nome)

GIURO
Di essere sempre al fianco dei miei fratelli padani nella lotta per la libertà e l’indipendenza della Padania.

PROMETTO
Di difendere ogni fratello padano che sia toccato dalla prepotenza dello Stato italiano a motivo della libertà della Padania.

OFFRO
Ai miei fratelli padani, a testimonianza di questo giuramento, la mia vita, la mia fortuna ed il mio sacro onore.

Leggo il volantino mentre l’imponente corteo proveniente da piazza Castello (il “serpentone”, come lo chiama un tizio con un megafono) comincia a confluire in piazza Duomo. I militanti stappano dei fumogeni verdi che saturano l’aria, già oltremodo pregna dell’odore della benzina dei trattori, e cantano all’unisono “Mario Monti clandestino / Sulla nave con Schettino”, “Secessione / Secessione”, “Roma ladrona / La Lega non perdona” e altri innumerevoli slogan. Le varie sezioni locali del partito – tra cui figurano città che probabilmente conoscono solo i redattori di Cronaca Vera – sorreggono striscioni e tengono in mano una miriade di cartelloni, che possono essere approssimativamente divisi in tre categorie:

1) Mainstream: due foto appaiate di Fantozzi e Monti e la scritta “stesse capacità”; “Macelleria Monti”, con il premier che fa a pezzi un pensionato; “Ce l’abbiam nel deretano / anche grazie a Napolitano”; “Il governo è avvisato / il padano si è incazzato”.

2) Grandguignol: “Mentre in Padania gli imprenditori si suicidano, in Meridione cantano ‘O Sole Mio”; “Merkel e Monti ‘Arbeit Macht Frei’ = il lavoro rende liberi (come ad Auschwitz)”; “Milano cristiana, Roma musulmana”.

3) Contestazione: “Cerchio tragico / Salviamo il soldato Bossi” con al centro una foto del Caro Leader insieme a Rosi Mauro; “Bossi e Maroni in Padania / Quattro coglioni in Tanzania”; “Cerchio, se sei magico, scompari”.

Faccio un giro della piazza e circumnavigo il palco, passando di fianco ai trattori. Mentre cammino mi imbatto in un tizio che ha attaccato sulla schiena un foglio che recita: “Non sono un parassita!!! Sono terrone e voto Lega, Viva Bossi W Maroni”. Lo sorpasso, mentre in testa mi rimbombano i termini assimilazione, rovesciamento d’identità e mindfuck, e raggiungo l’ala sinistra del palco. Appoggiate alle transenne ci sono centinaia e centinaia di bandiere bianche con la scritta BOSSI in carattere rosso e la figura stilizzata di Alberto da Giussano. Ne prendo una e me la poggio sulla spalla, sventolandola di tanto in tanto con ingiustificato fervore.

Scorgo il sindaco di Verona, Flavio Tosi, sotto il palco1, mentre poco più lontano i giovani padani di qualche profonda provincia veneta gridano meccanicamente il solito coro secessionista: “Noi che siamo padani / abbiamo un sogno nel cuore / bruciare il tricolore”. Quello che mi sorprende di questi giovani militanti non è l’assoluta inconsapevolezza che gronda dalla violenza verbale dei loro slogan, ma la scarsissima evoluzione fisiognomica dei loro volti – è gente che sembra appena uscita dal casting per interpretare il ruolo di Sloth nel remake veneto de “I Goonies”. Poi capisco. Questa non è la piazza Duomo della protesta anti-Monti. Questa è la piazza Tahrir dell’orgoglio di chi è stato bocciato per due anni di fila all’Itis.

Sul palco, intanto, un presentatore interrompe le musiche pseudoceltiche-Braveheart e comincia ad introdurre gli oratori come uno speaker di San Siro strafatto di speed. Dopo un paio di interventi cominciano a parlare i pezzi grossi. “E ora, il Doge! Lucaaaaa…” Momento di sospensione. Il presentatore pronuncia il nome altre due volte. Il ruggito della folla cresce di intensità. “Zaiaaaaaaaaaa!” Boato. Un flacone di brillantina Linetti con attaccato il governatore della Regione Veneto prende posto sul podio, si posiziona davanti all’enorme poster dalla grafica simil-nordcoreana e manda “un abbraccio affettuoso ai tanti veneti che sono qui. Fatevi sentire!”. Altro boato.

Nel suo breve discorso, Zaia propone di ribattezzare Mario Monti “lo sceriffo di Nottingham, colui che insieme ai suoi controllava la foresta di Sherwood, la nostra Padania, e evitava che chiunque potesse pensare alla libertà”. Il governatore si scaglia poi contro la manovra: “Da professori come questi ci si sarebbe aspettato molto di più”. Mi mescolo in mezzo ai militanti. Di fianco a me, una donna sulla cinquantina si spella le mani e sorride. Applaudo anch’io, simulando egregiamente piena convinzione. L’intervento si sposta sui controlli a Cortina e sulla presunta persecuzione fiscale ai danni dei veneti: “Cos’è l’equità? Guardi i dati dell’Agenzia delle Entrate e vedi che il Veneto, il Nord, evade al 14%, e vedi che al Sud arrivano al 66%. Vai a controllare loro!” Ennesimo boato. L’eccitazione della folla sale a livelli da spareggio per evitare la retrocessione in terza categoria. Dopo circa sei minuti Zaia saluta la folla augurando a tutti “Buona Padania”. Scrosciano gli applausi. Io mi allontano un attimo dal centro della piazza per rifiatare.

È quasi mezzogiorno e mezzo e uno stormo di uccelli volteggia sopra i 70mila leghisti (secondo gli organizzatori) che cantano, gridano, agitano le bandiere e affollano il perimetro di questa antinazione temporanea che è piazza Duomo, in attesa del discorso conclusivo di Kim Jong-Bossi. Alla destra del palco noto un uomo di colore. Ha un cartello in mano. È lo stesso che hanno moltissimi militanti: “Il governo è avvisato / Il padano si è incazzato”. Il suo ha una piccola aggiunta: sotto la parola “incazzato” c’è scritto “nero” con un pennarello. Un padano incazzato nero – letteralmente. Prego in cuor mio che Calderoli non si accorga della sua esistenza e che Borghezio, presentatosi alla manifestazione con un’ascia bipenne, gli stia alla larga.

Ecce Bossi. Avendo letto un numero incalcolabile di articoli e di saggi scritti sulla Lega, mi aspettavo scene di isteria collettiva, pire accese in onore del dio Odino, autoimmolazioni e padri di famiglia che regrediscono all’età pre-puberale al cospetto del Capo. Ed invece, niente di tutto ciò. L’accoglienza è estremamente tiepida, per non dire fredda rispetto ai soliti standard. “Devo ringraziare tutti, tutti quelli della Lega hanno dimostrato saggezza facendo un passo indietro per impedire ogni rottura”, esordisce Bossi. Partono i primi fischi. Il leader prosegue: “Chi montava le cose erano i giornali di regime che speravano nelle spaccature all’interno del nostro movimento. Questa è la scelta che hanno fatto tutti, da Maroni a Reguzzoni a me stesso. La Lega è lo strumento fondamentale per portare alla libertà i popoli padani.  Abbiamo messo da parte i rancori e ci siamo stretti le mani”. Dalla piazza sale l’invocazione a Maroni – un’invocazione che puntellerà più volte il comizio di Bossi. Quest’ultimo, oltre ad invitare Monti ad andare “fuori dai coglioni” (se vuole evitare che la gente venga a prenderlo a casa) e chiedere a Berlusconi di far cadere questo “governo infame” (pena il ritiro dell’appoggio in regione Lombardia), non riesce a dire molto altro2.

I militanti sono irrequieti. Quando Bossi, aggrappato al microfono, chiama Rosi Mauro (membro di spicco del “cerchio magico”), una gragnuola di fischi sommerge la piazza e sovrasta le parole del Capo. È una contestazione aperta? Non credo. Piuttosto, è un concentrato di delusione e frustrazione. Nel saggio del 1994 “La Lega ce l’ha crudo! Il linguaggio del Carroccio nei suoi slogan, comizi, manifesti”, Bossi diceva: “Con la gente devi semplificare e caricare, devi fare brillare i colori”. Da quando il Capo è malato, i colori si sono spenti sempre di più, fino ad arrivare ad un’indistinta tonalità di grigio. La “base” se ne rende perfettamente conto – come chiunque altro – ma non si azzarderebbe mai a rinunciare al suo fondatore, o peggio ancora a farlo fuori. In poche parole, non è pronta al parricidio. In questo frangente, i fischi sono il linguaggio del lamento, l’unico modo accettabile (in una logica leghista) di esprimere un sentimento d’impotenza.

All’una la manifestazione che doveva dare la spallata al governo è già finita. Padania Libera, Roma ‘Fanculo, Maroni che non viene fatto parlare, cori che reclamano l’intervento di Maroni, Va’ Pensiero. Le bandiere vengono arrotolate. Alcuni militanti cominciano a raccogliere le loro cose e dirigersi verso i pullman, altri formano piccoli capannelli di discussione. Gli agricoltori padani rimontano sui loro trattori.

Tutto qui? Questa gente ha macinato chilometri su chilometri, magari partendo alle due di notte, per appena tre ore scarse di manifestazione? Esattamente così. Ripenso a quello che scrive l’antropologa francese Lynda DeMatteo nell’ottimo saggio “L’idiota in politica”:

Tra il fervore di un militante e quello di un tifoso, a prima vista, non c’è alcuna differenza. La Lega è per lo più un luogo di socialità, forse nient’altro che questo. Sono felici di stare insieme, tra leghisti, felici di essere riconosciuti, se non altro per la loro appartenenza politica.

Del resto, una partita di calcio – tra andare allo stadio, vedere il primo/secondo tempo e tornare a casa – dura circa tre ore. La militanza leghista, che i giornali riconducono sempre e comunque ad una forma grottesca di folklore, è una scelta totalizzante: o si è leghisti o non lo si è. Nessun compromesso. Nessuna via di mezzo. Quello che c’è in piazza oggi è il risultato di un processo di costruzione identitaria che va avanti da vent’anni.

Le troupe televisive iniziano i collegamenti con i vari telegiornali e la piazza progressivamente rientra in territorio italiano. Ad un certo punto incrocio un militante travestito da crociato, con tanto di spadone di cartapesta (spero), elmetto e scudo pieno di adesivi leghisti. Tiene in mano un cartellone dall’asta molto lunga. Il testo è un sussidiario della propaganda leghista degli ultimi anni, presumibilmente vergato tra fatiche disumane, litigi familiari e mexican standoff con la grammatica italiana e il vocabolario:

I porci kapò che col golpe hanno bloccato il federalismo son gli stessi che han deciso le delocalizzazioni, l’invasione delle cavallette migranti; proteggon i loro pari mafiosi, fanno drogare i giovani, ostacolano le nostre imprese (quindi i lavoratori) e le nostre famiglie, culture, tradizioni! Il loro mandante è la massoneria internazionale! I 30 denari arrivan dalla Cina, Germania, Arabia, Usa, UK: c’hanno venduti! Solo la Lega può fermarli!

Richiamo la sua attenzione per fotografarlo. Scatto. Lo ringrazio. Mi congeda con un “Padania Libera!”. “Augh”, gli rispondo.

(Continua a pag. 3)

  1. Lo scorso 3 ottobre, Tosi aveva dismesso i panni del sindaco e si era travestito da eretico per una giornata: “Possiamo discutere se la Padania esiste o non esiste, dove inizia o finisce. Possiamo parlare del popolo padano o veneto, siciliano, juventino o milanista. È filosofia, ma i problemi del Paese restano”. []
  2. Breve nota a margine: la posizione sui tassisti di Umberto Bossi (“Il  governo  se  la prende  con  i tassisti  che hanno comprato la licenza facendo  i  mutui.  Monti, noi questo non lo accettiamo.”) e quella di Beppe Grillo (“La licenza di un taxi è un investimento. […] Non si possono cancellare i risparmi di una vita con un decreto, con la parola ‘liberalizzazione’.”) è praticamente la stessa. []

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Drop the Hate / Commenti (7)

#1

INAUDITA ALTERA PARTE
Rilasciato il 26.01.12

Chi controllava la foresta di Sherwood non era lo sceriffo ma Robin Hood!

Ottimo lavoro!

#2

Fede
Rilasciato il 26.01.12

Ottimo reportage, al solito. Sarebbe bello poterlo leggere su qualche quotidiano nazionale… invece di doversi sorbire gli sproloqui di Merlo, Battista o Ostellino.

#3

kris
Rilasciato il 26.01.12

scritto proprio bene.

#4

Apple
Rilasciato il 26.01.12

Complimenti,ottimo articolo!Abitando nella profonda padania,anzi,proprio nell culla di nascita della lega,purtroppo certe cose me le devo sorbire in diretta.

#5

Occupy Padania | DUDEMAGAZINE
Rilasciato il 26.01.12

[…] bevanda di libertà sponsorizzata da Radio Padania Libera. Questo articolo è on-line anche su La Privata Repubblica. 1 «Non sono certamente alimenti che fanno parte della nostra tradizione e della nostra […]

#6

Akiller Dee
Rilasciato il 27.01.12

@Inaudita altera parte: è quello che ho pensato anch’io durante tutto il discorso di Zaia insieme alla difesa dei “loro tassisti” attaccando le banche,dimenticandosi che se i tassisti si sono indebitati,è perchè le banche hanno prestato loro i soldi per le licenze.

#7

Charlie
Rilasciato il 01.02.12

come fai…come fai a resistere in mezzo a quelli là? rabbrividisco!

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