La Battaglia Di Keratea

Pubblicato da Blicero il 13.10.2011

Black Tuesday, 08/02/2011

È stato quando un poliziotto in borghese gli ha sventolato in faccia una pistola carica che Alekos, a 25 anni, ha capito che la transizione dal confortevole e sicuro mondo che conosceva ad una cupa dimensione parallela sospesa tra l’incubo e la distopia era irrimediabilmente compiuta. Le squadre del MAT erano entrate in città verso le quattro e mezza di pomeriggio, da ogni lato. Non hanno fatto troppi complimenti. Si sono aggirati per le vie del centro con gli occhi che strabordavano rancore, protetti dai loro elmetti e dall’impunità garantita loro dai distintivi.

Prima sono entrati nelle case. Hanno minacciato, intimidito, insultato. I lacrimogeni venivano lanciati nelle terrazze, dentro le abitazioni, ad altezza d’uomo. Gridavano costantemente: “Viva la junta! Viva la junta!”. Più che una normale operazione di polizia, era una caccia all’uomo. Alekos aveva un’autentica passione per la storia, e aveva letto nei libri le imprese di molti eserciti di occupazione. Ma erano storie lontane, di epoche passate. Qualcosa che non lo avrebbe mai toccato. Almeno fino a quel martedì. Solo che questa volta non si trattava di nazisti: erano greci come lui. Come loro. Si era immediatamente fiondato fuori di casa. La madre di un suo conoscente urlava disperatamente, camminando a stento: “Mi hanno buttato giù per terra, colpita con il manganello e dato della troia!” Il volto della donna era opalescente, di un bianco Černobyl’. Aveva fatto fatica a riconoscerla.

Gli amici di Alekos in prima linea stavano buttando di tutto addosso alla polizia – e la polizia stava facendo altrettanto. Un’altra donna urlava: “Vergognatevi, potreste essere i miei figli! Vi rendete conto di quello che state facendo?”. Non era più la sua Keratea. La loro Keratea. Forse non lo sarebbe mai più stata. Quello che aveva davanti agli occhi era una Seattle delle molotov, una Saigon di gas lacrimogeni, una Vukovar di granate stordenti. Per evitare una selva di candelotti, Alekos e altri si erano rifugiati in una via laterale del centro. Era qui che si era imbattuto nel poliziotto in borghese con il ferro spianato. Sembrava completamente fuori di testa. Dei colleghi riuscivano a malapena a tenerlo fermo: “Ma che cazzo stai facendo?” Alekos & gli altri: impietriti.

I combattimenti si erano protratti fino alle 5 del mattino, ininterrottamente. Aveva tirato troppe molotov, la spalla destra gli faceva male. Forse era slogata. Avevano portato via numerosi concittadini, trascinandoli per terra e trattandoli come la peggiore feccia criminale. Ad alcuni la testa era stata aperta dai manganelli. Un terzo della città era caduto nelle mani delle forze di occupazione. Aveva visto piangere un uomo. Ma non erano lacrime di disperazione. No. Erano delle promesse di lotta. Il Martedì Nero aveva risvegliato le Erinni.

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“Le cose andavano meglio sotto la junta piuttosto a come vanno ora con questi partiti politici”. A dirmelo è l’anziano proprietario di un ristorante perso tra i campi vicino a Lavrio. Al suo fianco sono sedute la moglie, che sta controllando che la nipotina nella culla non si svegli, e un’altra donna anziana. Nonostante l’età avanzata e le convinzioni politiche non esattamente progressiste, quasi sicuramente tutti e tre hanno preso parte alla protesta – chi in un modo, chi nell’altro. Durante gli scontri, le “molotov di Keratea”1 erano preparate direttamente dalle vecchie del luogo: un po’ come se tua nonna, invece di metterti in mano 50 € per aver superato un esame, ti desse un’arma non convenzionale spronandoti a tirarla addosso alle forze dell’ordine.

Una vignetta ironica su Keratea ha ritratto piuttosto bene questa curiosa situazione. La scena è ambientata al bloko: ci sono volute di fumo che si alzano dai campi, le squadre del MAT in formazione, cittadini che lanciano pietre verso un blindato della polizia con un cannone spara-acqua montato sul tetto (in greco è chiamato “aura”) e, davanti a quest’ultimo, una vecchia che agita un ritratto di Cristo. Alcuni cittadini si lamentano col sindaco: “Le molotov sono finite!” Il primo cittadino, che sta trasportando una carriola piena di casse di molotov, strilla: “Stanno arrivando!” In primo piano, invece, c’è un vecchio con una pietra in mano che chiede al nipote: “Ma dove sono gli anarchici per aiutarci?” “Non preoccuparti, nonno, ora sono ad Atene ma stanno arrivando!”

Keratea è sempre stata e rimane una comunità decisamente conservatrice, sebbene la stampa locale e filo-governativa-imprenditoriale2 abbia fatto di tutto per dipingerla come un covo di pericolosi sovversivi, una popolazione patologicamente in preda alla sindrome NIMBY e risucchiata in un gorgo di dissidenza violenta pianificata a tavolino in qualche squat di Exarchia3. In realtà, il ruolo degli anarchici è stato marginale. Hanno preso parte ai combattimenti solamente durante la prima settimana, tornando sporadicamente nei mesi successivi per fornire supporto teorico/logistico durante le varie riunioni cittadine. Alcuni poliziotti hanno inoltre cercato di infiltrarsi nelle proteste spacciandosi per anarchici – un fatto che da un lato ha contribuito ad aumentare visceralmente l’odio nei confronti della polizia, ma dall’altro ha permeato di diffidenza dei rapporti (quelli tra cittadini e anarchici) che non erano mai stati distesi a causa di un fossato ideologico impossibile da colmare.

Un episodio raccontatomi da Kostas Eleutheriou, un laureato in ingegneria biomedica di 28 anni, evidenzia bene come l’alleanza tra nazionalisti e anarchici non posso che poggiare su un terreno estremamente friabile. Dall’8 al 10 aprile si è tenuto il festival “Keratea: Art is Resistance”, una specie di Woodstock locale a cui hanno preso parte circa diecimila persone ogni giorno. L’ultima sera un gruppo di anarchici ubriachi ha tentato di strappare la bandiera greca (“di cui noi abbiamo un rispetto sacro”) dalle barricate del bloko. La mossa ha fatto infuriare alcuni cittadini: ne è seguito un piccolo scontro, subito sedato.

Effettivamente, la protesta è stata completamente auto-organizzata da una popolazione che fino al dicembre 2010 aveva sempre vissuto pacificamente. Yiorgos Bintarchas è un uomo sulla mezza età, proprietario di un negozio di componenti elettronici. A vederlo, non sembra assolutamente possedere il physique du rôle di un ribelle. Eppure anche lui (come il resto della città) è ormai un brillante diplomato in Strategia E Tattiche Dell’Insurrezione Urbana. “Dopo il Martedì Nero e dopo aver vissuto sulla pelle la violenza istituzionalizzata, tutta la città si è unita”, mi spiega nel suo negozio. Una delle tecniche più raffinate utilizzate in battaglia è stata la c.d. “testuggine di Keratea”, ossia la formazione usata dai cittadini durante gli scontri in città. La prima fila era composta dai giovani del luogo che si lanciano contro la polizia; nella seconda fila c’erano genitori e parenti dei giovani; nella terza, infine, stavano donne, bambini e vecchi. In questo modo la polizia non era in grado né di sfondare il cordone (se non a patto di massacrare donne e bambini), né di accerchiarlo. “Inizialmente, la polizia pensava la resistenza fosse poco organizzata come a Grammatiko4. Dopo due settimane, però, il MAT e il governo hanno capito che qui avrebbero incontrato enormi problemi”.

Nei portali d’informazione alternativa, nei blog e più in generale in una certa Grecia, la battaglia di Keratea è diventata il simbolo della resistenza contro un governo dispotico. Tuttavia, l’intero affaire ha lasciato sul palato dei movimenti di protesta/anarchici un retrogusto amarognolo. La ribellione, infatti, è rimasta confinata all’interno del limes della cittadina e non si è mai riversata en masse nelle piazze e strade della capitale. “Non siamo riusciti a politicizzarli, a portarli con noi”, mi ha detto con rammarico una manifestante di piazza Syntagma. Per il ministro dell’Interno greco, invece, Keratea è stata una sorta di campo d’addestramento modello area-tribale-pakistana per gli anarchici, in vista delle proteste oceaniche dello scorso giugno. Secondo Iatrou, però, i termini della questione vanno rovesciati. “È il MAT che si è addestrato per Atene. Keratea è stata un anticipo rispetto a quello che sarebbe successo in seguito”.

  1. Per ammissione della stessa polizia, le c.d. “molotov di Keratea” sono diverse dalle molotov normali. Mentre le normali molotov, all’impatto col terreno, formano semplicemente delle strisce di fuoco che servono ad ostacolare/rallentare l’avanzata del l’avversario, quelle di Keratea esplodono in aria formando una specie di piccolo funghetto atomico: così facendo, la formazione della polizia viene spezzata. Nonostante ripetute richieste a più cittadini, nessuno mi ha voluto dire quale modifica sia stata apportata per rendere la molotov più potente. È una specie di formula della Coca-Cola applicata alla guerriglia urbana. La risposta di Sotiris, ad esempio, è stata: “Vuoi sapere come sono fatte? Cerca “petrol bomb” su Google”. []
  2. In questo momento al governo c’è il PASOK, il partito socialista. []
  3. Il quartiere anarchico di Atene. []
  4. Grammatiko, situata nell’Attica settentrionale, è una delle tre città (le altre sono Fyli e, appunto, Keratea) designate per il completamento della strategia di gestione rifiuti della regione Attica. I lavori per la costruzione della discarica sono iniziati nel 2009. La polizia ha attaccato il 7 luglio dello stesso anno, senza che si verificassero scontri significativi: la città è infatti molto piccola e il sindaco ha preferito rimanere passivo. La polizia ha preso controllo del paese in poco tempo. []

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Drop the Hate / Commenti (2)

#1

Peo
Rilasciato il 02.10.11

Grazie, bellissimo, che ci sia di guida e di sprone

#2

Vomito & Lacrimogeni: La Protesta #NoTav Secondo La Polizia | La Privata Repubblica
Rilasciato il 23.10.12

[…] nelle loro funzioni». Infine – similmente a quanto successo ai loro omologhi greci a Keratea – il sindacato accusa la politica di non voler prendersi le sue responsabilità e si riserva […]

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